Vicenza: il completamento del Torso mozartiano

Nel “non picciol libro” delle composizioni musicali lasciate incomplete dai loro autori, Mozart occupa un posto tutto sommato secondario. Del resto alla sua epoca la musica era un prodotto artigianale, che assumeva un valore sia economico che artistico solo quando era finita in tutte le sue parti. E la scelta di vita del salisburghese, “libero professionista” a Vienna dopo il lungo servizio alla corte dell’arcivescovo nella sua città natale, a maggior ragione non prevedeva lavori interrotti.

La sua “incompiuta” più celebre ed eseguita, il Requiem, nella narrazione generale raramente viene colta come tale: perché fin dai primi mesi dopo la morte del compositore prese piede la consuetudine esecutiva ancora oggi in vigore, conseguenza del completamento tosto ordinato dalla vedova agli allievi dell’autore, allo scopo di ottenere il pagamento della ricca commissione da questi pattuita. Diverso è il caso della Grande Messa in do minore K. 427 (1783), che nessun famulus musicale si prese la briga di completare durante la vita o subito dopo la morte del musicista. La spiegazione è piuttosto semplice: quella composizione era una cosa privata, l’adempimento di un voto di Mozart per la ritrovata buona salute della moglie, a rischio dopo la nascita del loro primogenito. Per quanto colossale, una pagina intima, si sarebbe detto il secolo dopo, che non a caso sovverte molte logiche stilistiche e financo formali del genere sacro – in una formidabile sintesi di linguaggio oggettivo e di soggettività espressiva – fino ad assumere l’aspetto di un’insolita Messa per soprano e orchestra. Perché soprano (anche se non bravo e famoso come sua sorella Aloysia) era stata Constanze Weber, la giovane consorte del compositore, l’unica che abbia cantato qualche parte di questa composizione finché visse l’autore. E che forse proprio per questo non pensò mai – e ciò le farebbe onore, mentre assai meno onorevole appare la storia del Requiem – di sfruttare economicamente la composizione facendola completare.

Resta il fatto che la Grande Messa, così come ci è arrivata, è uno dei “torsi” più celebri e affascinanti della musica non solo del XVIII secolo. Una di quelle composizioni che anche se Mozart musicò più o meno solo la metà del testo dell’Ordinario sono capaci di “proiettare” l’immagine di cosa sarebbe stata una volta completata: un monumento della musica sacra secondo molti storici paragonabile per dimensioni (e per concentrazione creativa) solo alla Messa in Si minore di Sebastian Bach.

Oggi la pratica esecutiva più diffusa è quella di eseguire solo ciò che lasciò l’autore: il Kyrie, il Gloria, il Credo fino all’Aria del soprano “Et incarnatus” e il Sanctus. Scelta che richiede comunque un certo “editing” per mettere a punto la strumentazione e le indicazioni del compositore, in qualche caso non complete. Meno diffusa l’esecuzione di “completamenti” veri e propri, che peraltro specialmente nel secolo scorso non sono stati pochi, di diversa ampiezza e profondità, in vari casi anche pubblicati.

Una nuova versione per l’esecuzione è stata proposta in occasione dell’inaugurazione della decima edizione del festival Vicenza in Lirica, che anche quest’anno, come nel 2021, è largamente dedicato a Mozart. L’ha realizzata il giovane musicista che poi è salito sul podio dell’Orchestra di Padova e del Veneto, Luca Guglielmi. Interessante la spiegazione, pubblicata sul programma di sala, del lavoro compiuto per dare veste sonora alle parti mancanti. In vari casi sono state utilizzate ed elaborate con apprezzabile attenzione di stile musiche mozartiane analoghe per genere o non lontane per epoca: una versione alternativa del Credo K. 337, un’Aria dall’Oratorio Davidde penitente K. 469, composizione per la quale il musicista utilizzò peraltro varie pagine della Grande Messa. In un altro punto (il conclusivo “Dona nobis pacem” dell’Agnus Dei) è stata realizzata una vera e propria pagina nuova, a partire peraltro sempre da temi e frammenti mozartiani.

Il risultato apporta una ventina di minuti di musica in più rispetto alle esecuzioni tradizionali e nell’insieme incide poco sul clima espressivo di enorme fascino che la Grande Messa realizza nelle sue parti “originali”, anche perché le parti “nuove” si ascoltano nella seconda parte del Credo e alla fine.

Nel Credo, l’Aria dal Davidde penitente ripercorre con brillantezza – ma senza la stessa ineffabile poesia – l’elegante coloratura che decora quasi sempre il discorso del soprano. Il coro finale appare meno appropriato, perché risulta nettamente più acerbo della sontuosa scrittura polifonica a due cori – in realtà senza precedenti e senza conseguenti nella sua arte – intarsiata da Mozart nelle parti originali della Grande Messa.

Sulla falsariga di quanto siamo abituati ad ascoltare nel Requiem, l’Agnus Dei di questa versione si apre con una ripresa dei temi del Kyrie. Il che vuol dire una sorta di bis con parole diverse (e tonalità parzialmente mutata) della meravigliosa parte solistica del soprano. Poi arriva la parte più lavorata da parte di Guglielmi: una doppia Fuga indubbiamente ben costruita, basata su appunti e frammenti del salisburghese. Musica oggettiva, come suol dirsi, ovviamente molto lontana dalla potente soggettività che Mozart attribuisce alla scrittura contrappuntistica, partendo dai prediletti modelli bachiani e händeliani.

Del resto, Guglielmi nel suo breve saggio non nasconde alla fine l’inoppugnabile dato di fatto: «La “consolazione” di poter presentare un’altissima percentuale di materiale musicale originale compensa del fatto di essere coscienti che in diversi punti le intenzioni di Mozart avrebbero preso molto probabilmente ben altra direzione rispetto alle scelte operate». Come dire che la Grande Messa in do minore resta incompiuta e che ogni tentativo di completarla è solo un esercizio di “avvicinamento”, che lascia il tempo che trova. Ma se proprio si vuole sperimentarlo e proporlo all’ascolto, la sede ideale è proprio un festival vocale-strumentale come quello diretto a Vicenza da Andrea Castello, che come tutti i festival non deve perdere l’occasione di proporre ben meditate ricerche, sorvegliati allargamenti del discorso esecutivo, senza limitarsi a ripercorrere il repertorio secondo tradizione.

Dal punto di vista esecutivo, apprezzabile la prova dell’Orchestra di Padova e del Veneto per risalto strumentale e pertinenza di suono, in un contesto acustico niente affatto facile con il Teatro Olimpico, che solo una “vulgata” dura a scomparire vorrebbe da questo punto di vista ideale. Ne ha fatto ad esempio le spese il pur ottimo coro Iris Ensemble, istruito da Marina Malavasi, che ha dimostrato di sapere il fatto suo dal punto di vista dell’equilibrio d’insieme e della precisione polifonica, ma poco ha potuto nel gestire con più sottigliezza masse sonore necessariamente talvolta imponenti ma apparse a volte poco rifinite. D’altra parte, quando un coro di quasi 40 elementi canta “fortissimo” sul palcoscenico dell’Olimpico, l’effetto saturazione è difficile da evitare. Dal podio, Guglielmi ha cercato e spesso trovato un fraseggio accurato, espressivamente severo eppure capace di accensioni liriche di giusta forza emotiva, nel quale ruolo primario hanno avuto fiati e ottoni. Trascurabili alcune imprecisioni nel rapporto fra orchestra e parti vocali.

Intermittente l’apporto dei solisti di canto. Il soprano russo Nina Solodovnikova ha mezze voci interessanti e buona tenuta nella zona bassa della tessitura, ma perde spesso il controllo dell’emissione e del colore nella zona acuta. Le cose migliori le ha fatte sentire nel Kyrie iniziale e quindi nel conclusivo Agnus Dei. La sublime Aria “Et incarnatus”, capolavoro di dolcezza introspettiva nel solco del belcantismo di marca italiana, ha visto Paola Leoci proporsi con linea di canto corretta, timbro un po’ freddo, emotività fin troppo rattenuta. A posto il basso Giacomo Nanni nel quartetto del “Benedictus”, non abbastanza incisivo – anche se si è intuita una voce interessante – il tenore Giuseppe Di Giacinto, spesso sovrastato dai soprani nel terzetto del “Quoniam”.

Pubblico discretamente folto in una serata afosissima e forse per questo spezzata da un intervallo piuttosto incongruo dopo il Gloria. Accoglienze di vivissimo apprezzamento per tutti.

Cesare Galla
(3 settembre 2022)

La locandina

Direttore Luca Guglielmi
Soprano I Nina Solodovnikova
Soprano II Paola Leoci
Tenore Giuseppe Di Giacinto
Basso Giacomo Nanni
Orchestra di Padova e del Veneto
Coro Iris Ensemble
Maestro del coro Marina Malavasi
Programma:
Wolfgang Amadeus Mozart
Messa in do minore, K427 per soli, coro e orchestra
Nuova performing version a cura di Luca Guglielmi

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