Silvia Colasanti: «L’arte è comunicazione e empatia»

Sarà la compositrice Silvia Colasanti ad aprire, il 16 ottobre, il nuovo ciclo tematico Ritratti all’interno della stagione concertistica 2022/2023 degli Amici della Musica di Firenze presso il Teatro della Pergola. Il Maestro Andrea Lucchesini, nuovo direttore artistico da questa stagione, con questo format, all’interno di un vasto programma che conferma continuità riguardo alla storia di una delle principali associazioni concertistiche europee, intende smontare pregiudizi e resistenze che ancora persistono presso una gran parte del pubblico della classica riguardo al repertorio contemporaneo. Quindi non solo programmare musica di oggi ma invitare i compositori, per conoscere, direttamente dalla loro voce, le esperienze, le passioni, le problematiche creative e professionali di chi oggi percorre questa strada complessa e affascinante. Una scelta programmatica condivisibile, coraggiosa quanto indispensabile per infrangere confini e steccati.

Abbiamo chiesto alla Colasanti di condividere alcune riflessioni sulla sua presenza il 16 ottobre presso il Teatro della Pergola, evento che vedrà impegnato l’Ensemble In Canto diretto da Fabio Maestri, nel primo incontro di Ritratti.

  • Lei negli ultimi anni ha conquistato nella sua attività di compositrice una visibilità non riscontrabile tra la maggioranza dei suoi colleghi o colleghe. Come si raggiunge oggi una maggiore sintonia con pubblici più ampi superando i luoghi comuni del difficile?

L’arte per me prima di tutto è comunicazione, empatia, incontro tra chi scrive e chi ascolta. Quando compongo tengo sempre a mente chi mi ascolterà, in modo da poter raccontare anche cose complesse in maniera chiara. La musica ci riguarda, ci parla, quando i pensieri più profondi e le strutture più complesse riescono ad arrivare attraverso il sentire.

  • Scorrendo le sue opere, soprattutto di teatro musicale, si percepisce una marcata fascinazione verso il mito. Dal punto di vista compositivo e drammaturgico come gestisce questo elemento?

Il mito ha ancora oggi una grande potenza e per me rappresenta un modo di parlare del presente, di chi siamo ancora oggi, delle nostre ombre o fragilità, raccontando delle storie che hanno oltrepassato i secoli e sono arrivate fino a noi con la forza della verità. Ed è esattamente quello che succede con la grande musica.

  • Ci parli del repertorio che presenterà domenica 16 ottobre al Teatro della Pergola di Firenze.

A Firenze Andrea Lucchesini mi ha chiesto di presentare un mio lavoro assieme a pezzi di     altri autori che parlano di me: ho scelto di proporre un melologo tratto dall’opera ‘Minotauro’ su testo di Giorgio Ferrara e René de Ceccatty, che trae origine dalle riletture novecentesche del mito del Minotauro, da Borges a Cortazar a Durrenmatt. Il mito di un mostro terrificante si trasforma, in questo melologo, in un dramma “umano”: alla forza del Minotauro non s’accompagna il pensiero e la capacità di distinguere il bene dal male, la consapevolezza dei propri sentimenti, ma solo un sentire confuso e innocente, che fanno del mostro, del diverso, non un nemico, ma una vittima, un ingenuo condannato a vivere nel corpo di un essere mostruoso. A lui si contrappone l’uomo come reale carnefice, capace d’inganno e falsa amicizia – qui rappresentato da Arianna, un soprano, sorellastra del Minotauro perché figlia della stessa madre Pasifae. Alla solitudine del Minotauro si contrappone il ricordo delle giovani vittime a lui destinate, che lo accerchiano minacciosamente prima di essere uccisi, uno dopo l’altro. La tensione sfocia nel lirismo quando il Minotauro, vedendo una delle giovani vittime a lui destinate se ne innamora, senza però conoscere davvero questo sentimento. Il lirismo si fa invece subdolo con l’ingresso di Arianna, entrata nel labirinto con Teseo per ingannarlo con un finto sentimento di amicizia e amore fraterno, e per poi ucciderlo. Il finale è affidato alle ultime parole del Minotauro prima di morire: una lunga preghiera intima e sofferta su cupi rintocchi di campana.

Accanto ad Arianna e il Minotauro ho scelto di fare ascoltare un brano di Debussy e uno di Monteverdi, evidenziando che il compositore oggi ha la possibilità di uno sguardo molto largo sul suo passato: due autori distanti nel tempo, entrambi grandi rivoluzionari. Debussy con una lezione diretta sulle avanguardie novecentesche dal punto di vista formale, timbrico, armonico, Monteverdi perché ancora oggi, per chi fa teatro, resta imprescindibile nella sua grande lezione nel rapporto tra musica e parola, per come i suoni debbano scaturire dalla verità drammaturgica del testo.

Paolo Carradori

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