Trilogia d’autunno a Ravenna

Siete a teatro? Accendete i cellulari. Con il suo imprevisto invito il Ravenna Festival ha proposto agli spettatori, nelle serate della Trilogia d’autunno, un’app dedicata all’opera, impiegata per la prima volta nel 2015 proprio a Ravenna e poi adottata da altri teatri. Lyri, che si scarica gratuitamente, fornisce le principali informazioni sullo spettacolo, ma soprattutto offre la possibilità di leggere il libretto in più lingue in contemporanea con il canto; si evita così il ricorso ai sopratitoli fissi, lasciando agli spettatori la possibilità di scegliere autonomamente. Il ricorso alle nuove tecnologie è d’altronde abituale per la manifestazione ravennate e lo è in particolare per le soluzioni sceniche, con un occhio all’efficacia della rappresentazione e uno al taglio dei costi eccessivi; ecco quindi, per fare un solo esempio, i velari su cui si proiettano video e immagini fisse, celando in alcune occasioni i cambi di scena che, in questo modo, non interrompono l’azione.

Cristina Mazzavillani Muti, presidente e anima del Festival, si riserva per consuetudine di firmare regia e ideazioni sceniche di questa propaggine autunnale (inaugurata nel 2012) della manifestazione. Accanto a lei, un team rodato di cui fanno parte il light designer Vincent Longuemare, il visual designer David Loom e il costumista Alessandro Lai. «Sull’orlo del Novecento» era il tema della Trilogia di quest’anno, incentrata su Cavalleria rusticana (1890), Pagliacci (1892) e Tosca (1900). Le tre opere sono state date come al solito al Teatro Alighieri in tre sere di seguito, tra il 17 e il 26 novembre, con due repliche dopo la prima; nei primi anni, a dire il vero, la replica era solo una, ma la grande richiesta del pubblico, composto sia da ravennati sia da turisti in gran parte stranieri, ha suggerito di programmare un’ulteriore rappresentazione: il Teatro, in effetti, è sempre stracolmo.

Già a partire dal primo titolo, Cavalleria rusticana, in cui ha primeggiato il Turiddu dalla limpida vocalità di Aleandro Mariani, era evidente l’intenzione – ormai per fortuna ben diffusa – di superare le più retrive consuetudini interpretative del verismo in favore di una generale pulizia delle linee di canto e di una modalità recitativa di notevole sobrietà e scioltezza. Se l’opera successiva, Pagliacci, ha confermato quasi in pieno questa impostazione, Tosca ha fatto un passo indietro soprattutto per via della protagonista, Virginia Tola.

Cristina Muti non ha potuto o voluto temperare la gestualità del soprano argentino, tutta atteggiamenti stereotipati come quelli dei cantanti d’altri tempi. Anche nella voce questa Floria Tosca non convinceva del tutto, tra il frequente ricorso a forzature e la quasi totale assenza di pathos, tanto che perfino nel momento toccante di «Vissi d’arte» risultavano ben poche le emozioni trasmesse. Al suo fianco, il Cavaradossi non impeccabile ma meglio rifinito di Diego Cavazzin, tenore che occorre citare anche per la sua disponibilità eroica: infortunatosi gravemente al braccio sinistro durante le prove, Cavazzin ha subito un’operazione, ma è subito risalito in palcoscenico con il braccio ingessato per sostenere con onore, in due serate successive, gli impegnativi ruoli di Canio dei Pagliacci e appunto di Cavaradossi.

Tra le passioni che Cristina Muti e suo marito Riccardo hanno in comune c’è il lavoro con i giovani. Non a caso diversi dei cantanti che sono stati coinvolti in questa Trilogia sono freschi d’esordio e non a caso il direttore prescelto per tutt’e tre le opere, il bielorusso Vladimir Ovodok, è stato tra i partecipanti alla prima edizione (2015) dell’Italian Opera Academy di Muti. Tempi sovente allargati, atteggiamento contemplativo, ma appropriate sottolineature drammatiche: alla testa dell’impeccabile Orchestra Cherubini, Ovodok ha mostrato qualità interessanti. Se poi in qualche momento il volume di suono dell’Orchestra ha sopraffatto quello delle voci in palcoscenico, si è trattato di pura inesperienza: Ovodok sembra avere buone doti, deve solo avere il tempo di farsi le ossa.pag

Ma i giovani hanno avuto anche due grandi occasioni tutte per loro, durante questi appuntamenti ravennati: Cavalleria e Pagliacci sono state precedute dai remix appositamente creati dalle «Giovani energie creative per Ravenna Festival», un folto gruppo di bambini e ragazzi tra gli 8 e i 18 anni. Raccontate con voce nuova, tra rap e break dance, tra canzoni al pianoforte e testi recitati, le storie antiche hanno trovato una dimensione del tutto attuale. Vasta la gamma di talenti dispiegata con catturante freschezza dagli interpreti, tra i quali vorremmo citare almeno i due dotatissimi fratelli Elena e Francesco Faggi.

Patrizia Luppi

La locandina

Direttore Vladimir Ovodok
Regia e ideazione scenica Cristina Mazzavillani Muti
Costumi Alessandro Lai
Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Maestro del coro Corrado Casati
Coro di voci bianche Ludus Vocalis diretto da Elisabetta Agostini
Cavalleria rusticana
Santuzza Chiara Mogini
Turiddu Aleandro Mariani
Alfio Oleksandr Melnychuk
Lola Anna Malavasi
Lucia Antonella Carpenito
Pagliacci
Nedda Estibaliz Martyn
Canio Diego Cavazzin
Tonio Kiril Manolov
Beppe Giovanni Sala
Silvio Igor Onishchenko
Tosca
Tosca Virginia Tola
Cavaradossi Diego Cavazzin
Scarpia Andrea Zaupa
Angelotti Paolo Gatti
Sagrestano Giorgio Trucco
Spoletta Filippo Pollini
Sciarrone Ion Stancu
Un pastore Julie Cassanelli

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