Siena: il Trio Montrose in un programma inaspettato

Ultimo programma della settimana inaugurale della centesima edizione di Micat in vertice vede la partecipazione del Trio Montrose. La formazione nasce nel 1993 dall’unione del primo violino Martin Beaver e del violoncellista Clive Greensmith che facevano parte dell’ultima formazione del Tokyo String Quartet che collaborarono proprio in quartetto con il pianista Jon Kimura Parker. Questa formazione si è subito imposta come uno dei trii con pianoforte di maggior rilievo della scena americana e poi internazionale.

Il programma presentato stasera è sicuramente qualcosa che non si vede spesso nei cartelloni presentando musiche di Baker, Tower, Weinberg e Mendelssohn-Bartholdy.

Da “Roots II” (1992), una piccola suite di cinque movimenti, di David Baker il trio propone il quarto intitolato “Boogie Woogie”. Il pubblico si lascia trascinare immediatamente dal suo ritmo che è la prima cosa che appare sotto forma di ostinato al pianoforte. Gli altri due strumenti si aggiungono poco dopo in modo sincronico. Si susseguono vari episodi per poi tornare alla configurazione iniziale fino alla dissolvenza conclusiva. Il brano, è evidente, fa parte da molto tempo del repertorio del trio che sa benissimo dove andare a colpire il pubblico e che riflette nell’esecuzione l’intenzione musicale di un unico soggetto: il Trio stesso. Con “Big sky” (2000) di Joan Tower l’atmosfera in sala si incupisce. Il brano è un’unica campata in tempo lento di sette/otto minuti che, dalle parole della stessa Tower, è un ricordo d’infanzia in Bolivia quando andava a cavallo. L’ascolto però è discrepante rispetto a queste indicazioni della compositrice: il brano è più angosciante e cupo piuttosto che nostalgico o contemplativo. Intensa e capace di mutare l’umore del pubblico l’esecuzione del Montrose, pubblico che sembra ricevere sollievo dalla fine del brano che lo aveva tenuto per alcuni minuti in una posizione scomoda in cui non si sarebbe voluto trovare.

Dalla scomodità passiamo direttamente all’angoscia e alla drammaticità del trio di Weinberg op.24. Weinberg fu uno dei pochi compositori che accusato di modernismo dal regime comunista sovietico nel 1948 non si pentì pubblicamente della sua opera. Anni dopo fu incarcerato e salvato grazie all’intervento di Šostakovič. Il suo Trio fa riferimento al periodo della seconda guerra mondiale quando Weinberg sfugge ai nazisti e si rifugia in Russia. L’esecuzione del Montrose procede inarrestabile come qualcosa di meccanicamente ineluttabile, ma non asettica: siamo posti davanti a qualcosa estremamente più grande di noi che siamo costretti a subire nel suo incedere regolare. Questa percezione raggiunge l’estremo con il secondo movimento “Toccata” che è scandito da un inarrestabile moto percussivo del pianoforte. Quando questo moto si placa la situazione non pare migliorare: l’aria è torva e ostile, inquietante. L’aspettativa di un movimento conclusivo liberatorio, che potrebbe sembrata suggerita del finale del terzo, viene prontamente disattesa da Weinberg. Il Montrose fa di tutto per svolgere l’arduo compito di non lasciare all’uditorio neanche un briciolo di speranza, riuscendoci perfettamente con un brano che nel suo incedere conclusivo ci porta sull’orlo del nulla. La prospettiva incerta del vuoto nel nostro futuro ci pare forse migliore rispetto al passato appena trascorso.

A conclusione di questo interessantissimo programma, dopo l’intervallo, il Trio n.2 per pianoforte, violino e violoncello op.66 di Felix Mendelssohn-Bartholdy datato esattamente cent’anni prima del trio di Weinberg. Si tratta di un lavoro della maturità del compositore amburghese, composto a soli due anni dalla sua prematura scomparsa. L’equilibrio e la perfetta fusione apollinea tra struttura e forma, tra contenitore e contenuto si rispecchia perfettamente nella lettura del trio americano che ancora una volta stupisce per capacità di ascolto e compattezza dell’insieme: un’unica entità che porta al pubblico una comune visione del brano. Brillante e calzante il bis di commiato tratto dal Trio in do maggiore Hob. XV:27 di Franz Joseph Haydn: il terzo movimento è quello proposto che con la sua scattante giocosità, la sua giovialità e la vena umoristica tipiche di Haydn saluta il pubblico senese, dopo pagine di un certo spessore drammatico, con un sorriso.

Luca Di Giulio
(25 novembre 2022)

La locandina

Trio Montrose
Violino Martin Beaver
Violoncello Clive Greensmith
Pianoforte Jon Kimura Parker
Programma:
David Baker
da “Roots II” IV. Boogie Woogie
Joan Tower
Big Sky
Mieczysław Weinberg
Trio per archi e pianoforte in la min. op. 24
Felix Mendelssohn-Bartholdy
Trio n. 2 in do min. per violino, violoncello e pianoforte op. 66

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.