Nello Chénier alla Scala trionfa la musica

Quasi dodici minuti di applausi, con una improvvisa e sparuta contestazione in coda rivolta a direttore e regista, hanno salutato la fine dell’Andrea Chénier che ha inaugurato la Stagione 2017-18 del Teatro alla Scala.

Fugate dunque le voci che prevedevano bagarre: non è successo nulla e la serata ha avuto consacrazione pressoché piena.

Resta da capire se Chénier sia titolo da inaugurazione di uno dei teatri più importanti del mondo; per quel che ci riguarda la risposta e incline a qualche perplessità, fermo restando che si tratta di musica graditissima al pubblico e particolarmente cara a Riccardo Chailly, che come si dirà più avanti manifesta il suo amore per la partitura in maniera esemplare; tuttavia ad uno spettacolo d’apertura di stagione si richiederebbe, secondo noi, maggior spessore. Il pubblico ha gradito, e molto, e tanto basta a dar ragione a chi questo Chénier ha voluto. Noi non siamo che critici.

La lettura di Chailly è, per una volta, non votata al mero servizio del palcoscenico e, nonostante qualche intemperanza nei volumi sonori, mette in risalto le preziosità che la partitura contiene. Una vena sinfonica percorre questo Chénier dispiegando una gamma di colori raramente ascoltati, privandolo in certo qual modo da eccessi di verismo; le dinamiche sono gagliarde ed al contempo votate ad un‘intimità inaspettata che si sposa a scelte agogiche variegatissime.

Yusif Eyvazov era da settimane atteso al varco da melomani assetati di sangue che lo avevano anzitempo bollato come “inadeguato” o peggio al ruolo eponimo: spiace per loro ma lo Chénier del tenore azero alla fine è ben più che convincente. Certo il colore della voce è tutt’altro che gradevole, l’emissione non è sempre fluida ma il fraseggio è appropriato e da esso traspare uno studio lungo e puntiglioso che fa emergere un personaggio a tutto tondo, appassionato e dolente.

La Maddalena di Anna Netrebko è guardinga nel primo atto e per parte del secondo, come se il soprano russo sentisse troppo il peso della serata. Dal “proteggermi volete” cantato tutto sul fiato e che da solo varrebbe il prezzo del biglietto è un esplosione di accenti e colori, la linea di canto si fa imperiosamente sicura e si arriva a “La mamma morta” e poi al duetto finale sulle ali di una partecipazione emotiva di rara intensità.

Luca Salsi dà vita ad un Carlo Gérard ottimamente delineato, dal fraseggiare nobile, irruente ed al contempo tormentato. La voce corre sicura e “Nemico della patria” è risolto assai bene.

Annalisa Stroppa disegna con intelligenza e mezzi vocali di grande qualità il non semplice ruolo di Bersi, mentre Mariana Pentcheva è una Contessa di Coigny giustamente autoritaria sia nelle sfumature che negli accenti

Straordinario ancora una volta Carlo Bosi, Incredibile di caratura suprema, brava Judit Kutasi nei panni dell’odiosa Madelon e bravo pure Manuel Pierattelli nei panni di un poco remissivo Abate. Ottimo il Roucher di Gabriele Sagona.

Accomuniamo in un unico applauso Costantino Finucci, Fléville, Gianluca Breda, Fouqét Tinville, Romano Dal Zovo, il Carceriere, Riccardo Fassi, Dumas e Maestro di Casa e Francesco Verna,  Mathieu, detto “populus”.

Bruno Casoni prepara un Coro superbo.

Anello debole la regia di Mario Martone che a Liberté Egalité Fraternité aggiunge Inutilité.

Non basta Margherita Palli con sua la sontuosa ed agilissima scena rotante, capace di consentire cambi rapidissimi senza interrompere il flusso della musica, a dar vigore ad una regia statica e routinière che vuole i protagonisti costantemente al proscenio come ai vecchi e non tanto bei tempi. Peccato perché qualche idea c’è: il popolo che dagli specchi dorati mima il ballo dei nobili in un gioco di sdoppiamento non è male, come d’impatto sono le teste sulle picche, ma poi non c’è niente altro. Certo Chénier non offre grandi possibilità e non ammette voli drammaturgici o spostamenti d’epoca o di contesto, ma qualcosa in più, pur nella tradizione, si poteva fare. Elegante? Sì. Rassicurante? Pure. Noiosetta? Alquanto.

Belli i costumi che richiamano la gamma cromatica dei quadri di Delacroix, disegnati da Ursula Patzak, ed efficace il disegno di luci di Pasquale Mari. Gradevoli le coreografie di Daniela Schiavone.

Del successo si è detto; ci sono mancate le uscite singole dei cantanti, del direttore e degli autori dell’allestimento.

Alessandro Cammarano

(Milano, 7 dicembre 2017)

La locandina

Direttore Riccardo Chailly
Regia Mario Martone
Scene Margherita Palli
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Coreografa Daniela Schiavone
Personaggi e interpreti
Andrea Chénier Yusif Eyvazov
Maddalena di Coigny Anna Netrebko
Carlo Gérard Luca Salsi
La mulatta Bersi Annalisa Stroppa
La Contessa di Coigny Mariana Pentcheva
Madelon Judit Kutasi
Roucher Gabriele Sagona
Il romanziero, Pietro Fléville, pensionato del Re Costantino Finucci
Fouquier Tinville, accusatore pubblico Gianluca Breda
Il sanculotto Mathieu, detto “populus” Francesco Verna
Un “Incredibile” Carlo Bosi
L’Abate, poeta Manuel Pierattelli
Schmidt, carceriere a San Lazzaro Romano Dal Zovo
Il Maestro di Casa/Dumas, presidente del Tribunale di Salute Pubblica Riccardo Fassi

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