Vicenza: Lonquich, la OTO e la modernità dell’Ottava
L’Ottava Sinfonia di Beethoven è stata confinata fin dal secondo Ottocento in una sorta di limbo critico dal quale fatica a uscire ancora oggi, nonostante i volenterosi tentativi di liberarla dall’etichetta di “opera minore”. Come dimostrano le sue non particolari fortune esecutive, essa resta comunque fuori dal canone che considera gemme della corona (e dunque del repertorio) la Terza, la Quinta, la Sesta, la Settima e naturalmente la Nona. Non le arride la benevola considerazione di cui sono destinatarie la Prima e alla Seconda, le opere giovanili considerate una sorta di “saldo” del debito contratto dal compositore tedesco con la tradizione del Classicismo viennese di fine Settecento; non l’interesse (peraltro un po’ distratto) riservato alla Quarta, opera di transizione fervida di suggestioni timbriche che troveranno compiuta realizzazione specialmente nella Pastorale.
Niente di tutto questo: l’Ottava resta la singolare Sinfonia senza movimento lento nata quasi in contemporanea con la ben più famosa e amata Settima. Un momento di “disimpegno”, con qualche concessione all’umorismo non propriamente sottile di Beethoven; un’esercitazione sul ruolo del ritmo nell’invenzione musicale, condotta con poca attenzione alle ragioni formali: musica quasi “astratta”, tanto da far individuare in questo una specie di sua modernità, di anticipazione del modernismo in chiave neoclassica. Considerazione intrigante, ma che non è valsa a risollevare più di tante le sue sorti.
L’ascolto di questa composizione al Teatro Comunale di Vicenza, con Alexander Lonquich sul podio dell’Orchestra del Teatro Olimpico, ha invece chiarito che l’Ottava merita di aggiungersi, gemma fra le gemme, alla corona sinfonica beethoveniana. Per i valori del suono, sottolineati da un’esecuzione ricca, concentrata, capace di improvvise illuminazioni e di un nerbo nei tempi che rispetta pienamente il pensiero ritmico beethoveniano. Per la densità di un’invenzione che fa scoprire quanto il discorso orchestrale non sia affatto rinunciatario o semplificato.
Specialmente nel conclusivo Allegro vivace, allora, questa interpretazione peculiare ha acceso una luce non tanto sul futuro modernismo, ma sul Beethoven che verrà, perché anche lo Scherzo della Nona, di lì a un decennio, presenterà qualche traccia dell’esplosiva forza ritmica che qui il compositore maneggia con originale e rivelatoria efficacia. Mentre il Trio del Minuetto – con l’inedita scelta di affidare la parte dei violoncelli a uno solo di essi (parte magistralmente realizzata da Jacopo Di Tonno, il “tutor” di questa sezione) – ha acceso una luce diversa sull’insolito ritorno alla tradizione del Classicismo, abbandonata almeno nominalmente fin dall’epoca dell’Eroica. E dunque, non un ripiegamento fine a sé stesso, ma un modo di esaltare la riflessione sul colore orchestrale nel dialogo – magnificamente “inattuale” – fra questo arco grave, i corni e i clarinetti.
Se la lettura dell’Ottava proposta da Lonquich ha offerto ai fiati della OTO una vetrina insolitamente illuminata e ricca di sfumature, il Concerto per pianoforte K. 491 di Mozart – clou e conclusione di questa serata tutta all’insegna del Classicismo viennese – ha sancito il magnifico equilibrio, l’elegante definizione coloristica, l’attenzione stilistica ben affinata dell’orchestra giovanile vicentina. Questo capolavoro cupo e introverso è costruito su un dialogo di straordinaria profondità fra lo strumento solista e l’orchestra, a sua volta protagonista di un’affascinante complessità di particolari timbrici e di collegamenti tematici, in un linguaggio anche armonicamente di palpitante autenticità espressiva, specialmente nel sublime Larghetto. E questa trama è stata resa dal gruppo strumentale con una concentrazione e una precisione di assoluto livello.
Impegnato alla tastiera e come direttore, Lonquich ha dipanato i fili del capolavoro con l’intensità di quando il pensiero diventa suono con rivelatoria naturalezza. Impeccabile il suo controllo sul fraseggio orchestrale, con i fiati sugli scudi e gli archi capaci di splendida misura e di equilibrio impeccabile le sezioni. Affascinante la profondità del suo tocco pianistico, a definire un suono che racconta le dolorose meditazioni mozartiane a ciglio asciutto, con una forza drammatica lucida e coinvolgente, che schiude profondità inquietanti riscattandole tuttavia sempre con la dolente eleganza del suono.
Aperta dalla brillante Sinfonia dall’opera Armida di Haydn, la serata si è chiusa fra gli applausi del folto pubblico presente al Teatro Comunale di Vicenza con un doppio bis mozartiano. Particolarmente sofisticata la scelta del primo: una prosecuzione del discorso in Do minore con l’Andante del Concerto per pianoforte K. 482: una pagina che sembra delineare un dolore senza confini, a sottolineare (lo ha chiarito lo stesso Lonquich in un breve intervento) il drammatico clima creato dalle notizie provenienti dalla Turchia, devastata da un terrificante terremoto.
Cesare Galla
(6 febbraio 2023)
La locandina
Direttore e pianoforte | Alexander Lonquich |
Orchestra del Teatro Olimpico | |
Programma: | |
Joseph Haydn | |
Sinfonia da Armida | |
Ludwig van Beethoven | |
Sinfonia n. 8 in Fa maggior op. 93 | |
Wolfgang Amadeus Mozart | |
Concerto per pianoforte e orchestra n. 24 in Do minore K 491 |
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