Firenze: Tre volte John Zorn

Noi che lo abbiamo sempre amato siamo convinti che sintetizzare la frenetica attività creativa di John Zorn, che prende le mosse fin dagli anni Ottanta, sia praticamente impossibile. Convinzione che ci garantisce anche che a nessuno verrà l’idea di metterci le mani, di classificare il sassofonista, compositore, agitatore culturale newyorkese. Ci è sempre piaciuto così, inclassificabile, libero e contradditorio provocatore, la sua forza geniale. Forse la pensava così anche Mathieu Amalric nel 2008 quando conosce il musicista americano grazie alla collaborazione come voce narrante in una sua opera (Shir Hashirim-The Song of Songs). Da lì parte l’innamoramento. L’attore-regista francese viene travolto dalla personalità multiforme, irrefrenabile di Zorn, decide di filmarlo standogli alle calcagna, seguendolo costantemente nei suoi mille percorsi, concerti, prove, sale di registrazione, viaggi, passeggiate, vita privata. Il cinema, amore condiviso, viene messo in gioco come strumento possibile, linguaggio per raccontarci Zorn. Ben presto però Amalric comprende che il progetto di un documentario per il canale televisivo Arte non può contenere tutto Zorn, soprattutto risulterebbe opera parziale rispetto alla realtà schizofrenica di un ricercatore instancabile, onnivoro e multidisciplinare, in continuo movimento. Allora perché fermarsi. Nascono allora Zorn I (2010-2016), Zorn II (2016-2018), Zorn III (2018-2022). Zorn IV è in preparazione. Non a caso ogni lavoro termina con una scritta significativa in fondo a destra dello schermo…to be continued

Al Cinema La Compagnia di Firenze, nell’ambito della VIII edizione di Secret Florence, abbiamo avuto la fortuna e il privilegio, in prima nazionale, di vedere nella loro sequenza temporale questi tre lavori di Amalric.  Il regista francese sceglie di rinunciare ad una cifra stilistica riconoscibile, scelta che diventa stile, documenta tutto ciò che avviene così d’istinto, camera a mano, fuori fuoco, primissimi piani, movimenti avventurosi, per poi, in postproduzione, concepire un montaggio apparentemente caotico, con salti e incastri,  un andare avanti e indietro, che rende bene sia il personaggio Zorn che la sua musica, la sua arte, la sua vita.

Zorn I ha un taglio più tradizionale, probabilmente perché il regista è ancora alla ricerca di una sintonia, una vicinanza maggiore con il musicista. Vengono documentati molti concerti, soprattutto le formazioni del progetto Masada, legato alla rilettura della tradizione musicale ebraica attraverso i linguaggi del free jazz, la lezione di Ornette Coleman. Si percepisce bene lo Zorn leader, il sassofonista stratosferico ma soprattutto il suo ruolo di coordinatore dei suoni, che con una propria grammatica gestuale cambia continuamente direzione alla musica. Lo attorniano musicisti di grande spessore, improvvisatori e talenti assoluti, che non elenchiamo per ragioni di spazio (tutto è disponibile). Convincente il punto di vista di Amalric di riprendere da dietro le quinte, il backstage, non solo ma di documentare le prove, i momenti prima del concerto nei camerini quando si percepisce il calore rumoroso del pubblico che sale come l’emozione dei musicisti. In tutte queste fasi Zorn è sempre tranquillo, positivo, carica tutti con battute, smussa qualche incomprensione. In questo primo capitolo scopriamo anche il compositore contemporaneo, la composizione Freud per archi (violino, due violoncelli), il rapporto con gli esecutori durante le prove, gli appunti, qualche ritocco, sempre in una situazione di rispetto e collaborazione reciproca.

Zorn II prova ad entrare più nell’intimità zorniana, il musicista non è disturbato dalla presenza costante e ravvicinata di Amalric, ormai fa parte del panorama. Scorre naturalmente tanta musica, radicalità, energia che sprizza da tutte le parti, formazioni più o meno ampie in location diverse, club, spazi polivalenti, grandi teatri. Il regista sottolinea ancora con più dettagli come nelle fasi preparatorie dei concerti, nel backstage, il musicista newyorkese giochi un ruolo da leader quanto sul palco. C’e Zorn che ascolta la sua musica eseguita ed è un piacere vedere la  concentrazione, il godimento, quasi la sorpresa di ascoltare certi suoni, certe soluzioni. Lo vediamo anche davanti ad un organo, sua grande altra passione, svelandosi come personaggio inquietante al comando di un’astronave colorata dai suoni inudibili proveniente da un altro pianeta. Ci sono momenti di relax, Zorn che passeggia per New York. In questo secondo capitolo Amalric sceglie di sovrapporre alle immagini alcune frasi, di congelare sintesi, dichiarazioni del musicista. Scelta discutibile perché è soprattutto con la musica, i suoi progetti, le sue visioni che l’americano ci trasmette intimità, valori esistenziali, le proprie passioni. Non è mai stato un grande esploratore della parola, dei suoni sì, è lì che si svela l’artista. Quelle frasi poco ci dicono, un tentativo di spostare la lettura dell’artista, l’intellettuale Zorn, un po’ forzata e rischiosa.

Il terzo capitolo che ci regala Amalric è il più lungo, se vogliamo anche il più statico, ma se possibile il più coinvolgente perché approfondisce il rapporto vitale tra compositore (l’opera è Jumalattaret) e gli interpreti-esecutori, soprattutto la soprano Barbara Hannigan (il pianista è Stephen Gosling). Il regista ci racconta bene le crisi interpretative della cantante verso un’opera dalle difficoltà tecniche estreme, che prende spunto da un poema epico finlandese. Possiamo leggere anche il fitto scambio di e-mail tra la Hannigan e Zorn, dove alle non velate volontà della soprano di mollare per le difficoltà incontrate in alcuni punti della partitura, il compositore risponde con una apertura mentale, una empatia sorprendente che smussa angoli, responsabilizza la cantante e contemporaneamente le offre chiavi di lettura. Ma sono le riprese nella sala prove che di questo processo esaltante, tra le visioni del compositore e le problematiche interpretative, ci offrono  il massimo del coinvolgimento, tra crisi ed esaltazioni. In fondo Zorn è chiaro, non ricerca la perfezione che è statica, ma una lettura creativa e profonda. L’abbraccio finale tra i due ci dice tutto.

Tornando alla domanda d’apertura, noi zorniani doc restiamo convinti che sintetizzare i percorsi creativi del nostro eroe resti operazione complessa. Ma l’approccio visivo e contenutistico, al netto di qualche rischio di santificazione, di Amalric ci piace. In fondo anche lui, che condivide la nostra passione, non fa altro che raccontarci a modo suo le gesta esaltanti di un americano contemporaneo con sax e pantaloni mimetici da guerrigliero del suono.

Paolo Carradori
(5 giugno 2023)

La locandina

“Lo schermo dell’arte” presenta
Mathieu Amalric-Tre Film su John Zorn
Lunedì 5 giugno – Cinema La Compagnia, Firenze
VIII Edizione Secret Florence (Comune di Firenze-Estate Fiorentina 2023)

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