Asolo: Malipiero per pochi intimi

Cosa rimane, oggi, della “Generazione dell’Ottanta”? Cioè degli autori accomunati dal fatto di essere nati all’inizio del penultimo decennio dell’Ottocento, che si trovarono a operare nel momento storico in cui la modernità europea novecentesca viveva i suoi anni più fervidi e innovativi? Se l’appassionato ponesse mente all’ultima volta che gli è capitato di ascoltare in un concerto una composizione di Malipiero o Respighi, di Casella o Pizzetti, o in teatro di assistere a una loro opera, scoprirebbe che soltanto gli anniversari gli hanno offerto la ventura di imbattersi in musiche che sono oggi perlopiù ignorate, con poche quanto benemerite eccezioni. Non soltanto dal pubblico, ma spesso anche dalla ricerca critica.

E quindi, ben vengano le ricorrenze, se servono a riscoprire (o più plausibilmente a scoprire) che cosa accadeva alla musica italiana negli anni in cui si affermavano Stravinskij e Schoenberg, Berg e Bartók, Šostakovič e Ravel. Ad esempio, cade quest’anno il cinquantenario della morte di Gian Francesco Malipiero, che dei quattro accomunati dagli storici fu l’autore più acutamente coinvolto nel problema dell’innovazione nel linguaggio musicale. Ma che fu anche quello che meno godette, durante la sua lunga carriera, di una notorietà arrisa invece a Ottorino Respighi o ad Alfredo Casella, e per certi aspetti anche a Ildebrando Pizzetti.

Si tratta in effetti – come, in anni ormai lontani, ha puntualizzato Fedele d’Amico – di un compositore incline a una scrittura spesso ben più radicale di quella dei colleghi coetanei, quasi per nulla propenso a fondarne i presupposti nella musica di epoche lontane, secondo i dettami del neoclassicismo in voga negli Anni Venti e Trenta. Anche se di quella musica (e pensiamo alle edizioni di Monteverdi e Vivaldi) fu uno dei primi e fondamentali studiosi. Un artista da un lato alla ricerca di un’affermazione che non fu probabilmente mai come la desiderava e dall’altro aristocraticamente riservato nelle scelte di vita: nel 1922, quando aveva 40 anni, si trasferì definitivamente dalla natia Venezia ad Asolo – il meraviglioso borgo nel Trevigiano amato dagli artisti dell’Ottocento e del Novecento, del quale oggi a buon diritto è una delle storiche glorie.

Così, appare naturale che Asolo Musica, una delle principali istituzioni concertistiche del Veneto, abbia messo a punto proprio nei giorni della scomparsa (avvenuta a Treviso l’1 agosto 1973) un sintetico ciclo in tre concerti intitolato “Dialoghi con Malipiero” (qui il programma delle prossime date: https://asolomusica.com/events/vansisiem-lied-duo/?l=L1&ri=0). La mini-rassegna, che fa seguito alla riesumazione dell’Ecuba da parte del festival Vicenza in Lirica all’Olimpico di Vicenza (https://www.lesalonmusical.it/vicenza-lecuba-di-malipiero-rinasce-allolimpico) è stata costruita in maniera tale da illuminare tre aspetti fondamentali nell’arte del compositore veneziano: la musica da camera, quella vocale non teatrale e quella per orchestra.

Meno naturale, ma sintomatico di quanto serva anche un lavoro promozionale oltre che progettuale per riportare Malipiero all’attenzione se non altro degli appassionati, il fatto che l’apertura di questo doveroso omaggio concertistico abbia avuto nella chiesa di San Gottardo (che dista poche decine di metri dalla casa in cui Malipiero visse per mezzo secolo) un pubblico che non sapremmo definire altrimenti che sparuto: una ventina di persone o poco più.

Si è trattato di un concerto per molti aspetti rivelatorio. Il programma proposto dal Quartetto di Venezia, infatti, era formato dal primo e dall’ultimo dei sette quartetti per archi scritti da Malipiero nell’arco di un trentennio, fra il 1920 e il 1950, inframmezzati dal più famoso quartetto di Ottorino Respighi, noto come “Dorico”, che risale al 1924. I primi due brani hanno messo a immediato confronto una delle composizioni più “moderniste” dell’autore veneziano con la pagina che secondo la critica costituisce uno dei momenti in cui il musicista bolognese più si distacca dalla sua concezione compositiva classico-romantica. Se qui Respighi – come sostiene d’Amico – afferma un novecentismo “estremistico”, allora Malipiero nel Quartetto n. 1, intitolato “Rispetti e strambotti”, risulta quasi “rivoluzionario” almeno in relazione a quanto la musica italiana andava proponendo in quel primo dopoguerra. La sua scrittura è volutamente aliena da soverchie elaborazioni tematiche: si distende in un ampio ma ramificato movimento unico, lontano dalle suddivisioni formali di tradizione (così peraltro fa anche Respighi), per delineare una pittura sonora di fascinose invenzioni timbriche e motiviche, che s’inseguono con alternanze espressive di grande impatto anche se forse il versante drammatico, pure delineato, appare un po’ di maniera. Lontanissimo dalla concezione di Malipiero – ma pur sempre intrigante – risulta in Respighi l’utilizzo di una sorta di sinopia della melopea gregoriana, che si basa anche sull’uso dell’antica modalità, come indica il titolo.

Trent’anni dopo “Rispetti e strambotti”, Malipiero si congeda dal quartetto d’archi con una pagina nella quale la rarefazione dell’invenzione disegna una dimensione sonora introspettiva, quasi arcana: come se il musicista ripercorresse intimamente l’esperienza nella composizione per i quattro archi, orgogliosamente affermando con una scrittura di alto e personalissimo artigianato la sua alterità da una tradizione gloriosa e imponente. Sia sul piano formale che su quello comunicativo.

Il Quartetto di Venezia (Andrea Vio e Alberto Battiston violini, Mario Paladin viola e Angelo Zanin violoncello) percorre da decenni questa musica di Gian Francesco Malipiero, della quale ha consegnato ormai da tempo un’integrale discografica da considerare a tutti gli effetti di riferimento. La qualità strumentale della formazione è densa ed eloquente, duttile e sempre precisa, mentre il fraseggio percorre gli scarti inventivi malipieriani con adesione di multiforme efficacia, capace di disegnare la modernità dell’invenzione illuminando tutti i particolari di cui è intessuta. Quanto a Respighi, la sua scrittura è stata esaltata in particolare nella sontuosa dimensione quasi orchestrale del suono e nel dialogo stringente fra le parti.

Molti applausi durante la serata e alla fine. Per bis un adattamento ai quattro archi della “Italiana” che apre la terza Suite orchestrale di “Antiche danze a Arie per liuto” di Ottorino Respighi.

Cesare Galla
(21 luglio)

La locandina

Quartetto di Venezia
Programma:
Gian Francesco Malipiero
Quartetto n. 1 “Rispetti e Strambotti”
Ottorino Respighi
Quartetto “Dorico” in Re minore
Gian Francesco Malipiero
Quartetto n. 7

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