Salisburgo: le Nozze di Figaro tra sesso e pistole
Delle ventun opere composte da Mozart l’unica a presentare connotazioni esplicitamente politiche è le Nozze di Figaro, che infatti – al pari della pièce di Beaumarchais che ne è la fonte in prosa – ebbe i suoi bei problemi di censura prima di andare in scena il 1º maggio 1786 al Burgtheater di Vienna.
Lo scontro di classe non era ovviamente ben visto dalla censura imperiale e già all’epoca spiravano quei venti di cambiamento che da lì a tre anni avrebbero portato alla Rivoluzione Francese: dunque i principi illuministi di eguaglianza sociale, con una coppia di servitori a sovvertire lo status quo a danno dei padroni era argomento fortemente osteggiato soprattutto da una corte che a Da Ponte avrebbe preferito di gran lunga gli epigoni delle arcadie metastasiane. Si andò in scena e fu un successo clamoroso: come avrebbe potuto essere altrimenti?
Nella nuova produzione presentata al Festival di Salisburgo Martin Kušej, coadiuvato dal Dramaturg – categoria per la quale bisognerebbe creare un apposito girone infernale – Olaf A. Schmitt, punta tutto sull’altro aspetto saliente dell’opera, ovvero il sesso che può una chiave di lettura, tralasciando però il sottile gioco di possesso e tutta la componente politica da cui non si dovrebbe prescindere.
Prima di procedere urge però un preambolo: nel 2023 non si possono operare tagli di arie e soprattutto di recitativi che nemmeno negli anni Trenta del secolo passato e men che meno aggiustamenti del libretto perché “drammaturgicamente” fanno comodo. Non si fa!
Peccato perché di idee buone ce ne sono parecchie.
L’ambientazione contemporanea – le scene dalle geometrie mobilissime sono di Raimund Orfeo Voigt – ci porta in un albergo elegantemente minimalista in cui il Conte è il padrone di tutto e soprattutto di tutte, facendo svolgere il lavoro sporco a Don Basilio, Antonio e Don Curzio, qui barman.
Il Conte è armato, ne sanno qualcosa le contadine insanguinate e presumibilmente vittime di stupro – il cadavere di una di loro sarà fatto “sparire” da Curzio tra le frasche del giardino nel quarto atto – anche se alla fine non spara mai; a voler fare i freudiani la pistola potrebbe essere una proiezione di un organo sessuale che spara a salve e da qui la frustrazione.
Le donne sono tutt’altro che dimesse, soprattutto Susanna la quale comunque una tresca con il principale ce l’ha già, ma anche la Contessa e Marcellina si difendono.
Kušej alterna momento di teatro assai riuscito – con dei tempi perfetti – ad altri parecchio fastidiosi.
Pessima, ad esempio, l’dea – ma lo spiegare, o peggio “rafforzare” l’ovvio è tipica di certo Regie-Theater di stampo germanico finendo col cadere in una sorta di calligrafismo alla rovescia – di farci vedere, durante l’ouverture che tra i protagonisti, ben vestiti da Alan Hranitelj, qualcuno si droga, altri bevono e altri ancora fanno entrambe le cose, così come svilire l’agnizione di Figaro da parte di Marcellina derubricata ad una diatriba fra ubriachi e far torto ad una delle scene più importanti dell’opera in quanto segna il momento dell’elevazione del protagonista ad un livello sociale che fino a poco prima aveva avversato, con tutte le conseguenze del caso.
Centratissima, di contro la Contessa che canta “Porgi amor” guardando l’”Origine du Monde” che fa bella mostra di sé sulla parete della sua camera, così come risultano efficaci il finale del secondo atto, con uno stallo alla messicana che coinvolge tutti, e quello del terzo, con la festa di nozze piazzata nel garage sotterraneo dell’hotel con un “banchetto” che ricorda quello di “Miseria e nobiltà”.
Alla fine lo spettacolo funziona, con momenti di vero godimento; peccato che il pubblico si “diverta” e ridacchi solo alle cadute pecorecce, temiamo anche a causa delle traduzioni dei sopratitoli.
Lodi incondizionate all’esecuzione musicale.
Raphaël Pichon – con lui i Wiener in serata luminosa – opta per una lettura tesa, fortemente teatrale, fatta di tempi brillanti, agogiche cesellate e spunti dinamici croccanti il tutto a dar vita ad un narrato sapidissimo e scevro da qualsiasi indulgenza al “bello” fine a se stesso.
Bravi davvero Pedro Beriso, fortepiano e Julian Barrie, violoncello a dar vita ad un continuo e a recitativi assai vividi.
Krzysztof Bączyk è Figaro generoso e capace di supplire con la recitazione e la presenza ad un timbro non sempre felicissimo, di contro Andrè Schuen è un Conte dalla voce incantevole per colore, padrone di un fraseggio meraviglioso e dalla presenza scenica dirompente.
Sugli scudi la Contessa dolente e volitiva di Adriana González, che canta le sue due arie giocandole su pianissimi rapinosi, così come Sabine Devieilhe, Susanna di straordinaria freschezza e dai colori lussureggianti.
Lea Desandre è un Cherubino di riferimento, cantato e recitato in maniera impeccabile e ricco di nuances mai scontate.
Molto bene fanno Peter Kálmán, Bartolo gangsteresco, Kristina Hammarström, Marcellina vogliosa e Manuel Günther, Basilio prete-sicario.
Ottima anche la Barbarina di Serafina Starke.
A completare il cast il Don Curzio squillante di Andrew Morstein e Rafał Pawnuk, Antonio ombroso.
Molto bene il Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor diretto da Jörn Hinnerk Andresen.
Un plauso a Rita de Letteriis, la language coach che fa cantare tutti in un italiano esemplare.
Successo travolgente, con applausi a scena aperta e ovazioni alla fine per Pichon, Devieilhe, Desandre e Schuen.
Alessandro Cammarano
(17 agosto 2023)
La locandina
Direttore | Raphaël Pichon |
Regia | Martin Kušej |
Scene | Raimund Orfeo Voigt |
Costumi | Alan Hranitelj |
Luci | Friedrich Rom |
Sound Design | Max Pappenheim Sound |
Drammaturgia | Olaf A. Schmitt |
Personaggi e interpreti: | |
Il Conte di Almaviva | Andrè Schuen |
La Contessa di Almaviva | Adriana González |
Susanna | Sabine Devieilhe S |
Figaro | Krzysztof Bączyk |
Cherubino | Lea Desandre |
Marcellina | Kristina Hammarström |
Bartolo | Peter Kálmán |
Basilio | Manuel Günther |
Don Curzio | Andrew Morstein |
Barbarina | Serafina Starke |
Antonio | Rafał Pawnuk |
Wiener Philharmoniker | |
Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor | |
Maestro del coro | Jörn Hinnerk Andresen |
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