Pordenone: la GMJO in tour con la Nona di Mahler

Opera indecifrabile ed estrema di Gustav Mahler, la sua Nona Sinfonia fu composta fra il 1909 e il 1910, ed è l’ultima delle Sinfonie che il musicista boemo riuscì a completare. Vi coesistono il tema della morte e il suo presentimento: Mahler morirà un anno dopo averla terminata, nel 1911, a soli cinquantun anni.

Analizzarla è un’impresa improba, Mahler, infatti, vi adotta un contrappunto a due parti indipendenti che coinvolgono un organico mastodontico. Malgrado certe apparenze, che la apparentano a precedenti composizioni mahleriane, per esempio, il tema lamentoso esposto all’inizio del primo movimento, che rimanda ad analogo tema esposto in Das klagende Lied, composta fra il 1878 e il 1880 – e klagen in tedesco significa lamentarsi, – che ci immette, nell’Andante comodo in Re maggio d’avvio, in uno stato quasi ipnotico. La morte è attesa, e temuta al tempo stesso. Pure, la morte è quasi desiderata come una liberazione, pare di capire.

Formalmente la Nona Sinfonia di Mahler si divide in quattro movimenti, e il pubblico in sala, al Teatro Verdi di Pordenone, ha accennato timidamente a un applauso dopo il terzo, ma i due tempi centrali sono concepiti come un’entità unica. Come dire, l’applauso non era opportuno, ma aveva una sua ragione d’essere.

Sono due tempi, quelli centrali, di grande virtuosismo e vitalità, una specie di analisi delle prodezze compiute in una vita spericolata, che introducono al quarto, che è un Adagio, molto lento e ancora ritenuto, in cui il vitalismo subisce una lenta e inesorabile rarefazione. Il suono si riduce man mano, fin quasi a spegnersi nel finale, come una candela cui manca la cera per continuare ad ardere.

Ma non è di rassegnazione che ci parla l’autore, o di forze che si attenuano e ti tolgono la vita, è un assopimento lento e dolce, desiderato e, parrebbe, aproblematico. Il karma cambia dimensione o se vogliamo, è un consegnarsi all’Aldilà in modo sereno.

Ascoltare la Nona Sinfonia di Gustav Mahler dal vivo è esperienza rara, in tanti anni di musica amata e ascoltata con passione, ho avuto anch’io il mio periodo mahleriano negli anni in cui abitavo a Roma e regnava all’Accademia di Santa Cecilia, il geniale Giuseppe Sinopoli che di Mahler fu apostolo fedele. Mahler ne ho ascoltato tanto, mai, però, questa grande cattedrale della musica d’arte del primo Novecento.

È accaduto invece l’altra sera al Teatro Verdi di Pordenone, dove i centoventi giovani musicisti selezionati per far parte nell’anno in corso della Gustav Mahler Jugendorchester, hanno incatenato il pubblico alle poltrone per quasi due ore filate, con un concerto di cui Pordenone può andare orgogliosa.

Le residenze estive dei giovani della GMJO nel Friuli occidentale sono diventate ormai una consuetudine, hanno superato il grande ostacolo della pandemia, e ora – che ci stiamo lasciando alle spalle, si spera, lo stato d’emergenza –sanitaria – riprendono vigore con mete sempre più elevate, la presenza di Kirill Petrenko sul podio il prossimo anno, per esempio, e un livello sonoro che ha dell’incredibile.

Cosa non è riuscito a cavare da quella che può essere definita una grande orchestra di prime parti, un musicista carismatico come Jakub Hrůša, ceco, classe 1981, un curriculum incredibile per un talento altrettanto incredibile, cosa sia riuscito a ottenere, dicevamo, il Maestro di Brünn, dalla compagine giovanile induce a stupore e ammirazione.

La circolarità del racconto mahleriano è pienamente rispettata, i trapassi repentini da pieni d’orchestra a estenuati e filiformi pianissimi, realizzata come meglio non si potrebbe. La vita e la morte che si confrontano, sono lì, in quell’orchestra di giovani concentratissimi, e in quel Maestro che li accompagna verso il finale utilizzando tutto il corpo per dirigerla.

La preparazione di tutto ciò, che nel finale ha visto il pubblico portato a un entusiasmo fatto di applausi a non finire e di sonori “Bravi!”, è avvenuta nella provinciale Pordenone, che ha dato il via a un Sommer Tour che toccherà Bolzano e Salisburgo, Dresda e Berlino, Amburgo e Amsterdam. Non sarà che sono diventate provinciali le metropoli?

Rino Alessi

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