Venezia: Cavalleria al ribasso
Un vecchio adagio, con tutta evidenza non nato in ambito musicologico dice “Cavalleria rusticana è come il maiale: non si butta via niente”; non è elegantissimo ma di fatto corrisponde al vero.
L’opera più rappresentata e di maggior fortuna tra quelle del catalogo mascagnano ha una serie di innegabili assi da calare e una serie di risvolti “rusticani” all’indomani della prima assoluta – avvenuta al Costanzi di Roma il 17 maggio 1890 – con Giovanni Verga, autore della novella omonima, ad accusare di plagio il giovane Mascagni e l’editore Sonzogno; per la cronaca lo scrittore siciliano vinse la causa portandosi a casa centoquarantatremila lire dell’epoca, una piccola fortuna.
In Cavalleria, lo si voglia o no, funziona tutto: l’eterno triangolo che qui diventa un quadrato, la gelosia, la mamma, il sole, il profumo di zagara, il sangue; tutto poggiato su temi travolgenti e un’orchestrazione di tutto rispetto.
Alla Fenice Cavalleria rusticana mancava dal 2009 evi fa ritorno in un nuovo allestimento che ha più di un motivo per lasciare perplessi.
Italo Nunziata, uomo di teatro di lungo corso, sposta l’azione nella Sicilia del secondo dopoguerra, tra brandelli di muri segnati dalle bombe – le scene funzionali, come i costumi, sono a cura della Scuola di Scenografia e Costume per lo Spettacolo dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, – mostrando subito la processione funebre di Turiddu e procedendo da lì a ritroso; il resto è dignitosa routine, compresi i parchi movimenti coreografici di Danilo Rubeca.
Più ombre che luci sul versante musicale.
Donato Renzetti, bacchetta solida, sembrerebbe scegliere la via di un’intimità fatta di tempi moderatamente sostenuti e agogiche centellinate, ma in breve cede ad impeti fin troppo irruenti e a volumi orchestrali debordanti: anche al Verismo c’è un limite.
A Jean-François Borras, al debutto nel personaggio, i panni di Turiddu vanno decisamente troppo larghi: la voce è educata e di bella grana, ma assai più adatta a Nemorino o a Nadir.
Silvia Beltrami è Santuzza scenicamente convincente ma in più di un momento affaticata nel canto, mentre Dalibor Jenis dà voce e corpo ad un Compar Alfio di paradigmatica rozzezza.
Brava davvero Martina Belli, Lola sensuale e sprezzante e più che corretta Anna Malavasi come Mamma Lucia.
Mariateresa Bonera urla benissimo “Hanno ammazzato compare Turiddu!”.
Generosamente presente il coro istruito da Alfonso Caiani.
Pubblico prodigo di applausi per tutti.
Alessandro Cammarano
(31 agosto 2023)
La locandina
Direttore | Donato Renzetti |
Regia | Italo Nunziata |
Regista collaboratore e movimenti coreografici | Danilo Rubeca |
Scene e costumi | Scuola di Scenografia e Costume per lo Spettacolo dell’Accademia di Belle Arti |
Light designer | Fabio Barettin |
Personaggi e interpreti: | |
Santuzza | Silvia Beltrami |
Turiddu | Jean-François Borras |
Lucia | Anna Malavasi |
Alfio | Dalibor Jenis |
Lola | Martina Belli |
Una donna | Mariateresa Bonera |
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice | |
Maestro del Coro | Alfonso Caiani |
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