Trieste: con Vengerov la Società dei Concerti apre un corso nuovo

C’è sempre una prima volta, recita il vecchio adagio, e per la prima volta a Trieste di Maxim Vengerov, uno dei solisti più richiesti al mondo, il Teatro Lirico Giuseppe Verdi è tornato agi antichi splendori.

Pubblico numeroso e, rarità, in gran parte giovane. Volti felici fra gli spettatori, coinvolti dall’energia e dalla forza propulsiva del violino, un ex Kreutzer Stradivari del 1727, che Vengerov impugna con determinazione e suona con generosità.

Che cosa volere di più da un musicista universalmente noto come uno dei migliori al mondo, spesso definito come il più grande violinista e violista oggi in attività, nonché vincitore di un Grammy Award?

Che sia arrivato il momento, per la gloriosa Società dei Concerti di Trieste, di mettere nell’armadio il suo indefesso entusiasmo per l’Uto Ughi anziano e le sue esternazioni? O la nostalgia per i bei tempi del “nostro” Trio, ti ricordi quando il violoncello lo suonava ancora Libero Lana?

Non dimentichiamo il passato, per carità, ma cerchiamo di guardare anche al futuro musicale di una città che si stava troppo sedendo sugli allori del tempo che fu.

Classe 1974, Vengerov è nato nella fredda città russa di Novosibirsk, in Siberia. A Trieste si è presentato in duo con la pianista Polina Osetinskaya, russa anche lei, che ha l’energia sufficiente per reggere il confronto con il solista principale del concerto e, anzi, gli è di stimolo più che di supporto. Vengerov e Osetinskaya dialogano da pari a pari, in un programma monstre che alterna pezzi celeberrimi a pagine meno note.

La prima parte iniziava en douceur come direbbero i cugini d’Oltralpe, con le Tre romanze per violino e pianoforte Op. 22 di Clara Wieck Schumann che il celebre e celebrato Scherzo brahmsiano in Do minore dalla Sonata F-A-E WoO2, di grande presa sul pubblico, separava dal di lei consorte Robert, di cui era eseguita integralmente la Sonata n.3 in la minore.

Brano indecifrabile, che rivela il carattere inquieto dell’autore, in cui la calma diffusa dei tempi lenti dispari, Ziemlich langsam, abbastanza lento, il primo, e Bewegt, doch nicht zu schnell, Andante ma non troppo, il terzo, lasciavano il varco ai due intermedi pari, in cui la calma rappresentata si rivela solo apparente.

La seconda parte è tutta dedicata a Prokofiev con i poco noti Cinque canti senza parole op.35 bis a fare da apripista alla celeberrima ed estenuante – per l’esecutore e per l’ascoltatore – Sonata n.2 op.94 bis. Qui l’anima slava dei due artisti sul palcoscenico si è potuta rivelare in tutto il suo splendore di suono, purezza di legato, arguzia nel gioco di rimandi fra strumenti che rivelava una complicità che il pubblico ha ben accolto e apprezzato.

Il finale, pirotecnico, ha provocato un’autentica ovazione premiata con tre bis: Rachmaninov, ancora Prokofiev, e di nuovo Rachmaninov per chiudere in bellezza.

Per la cronaca, fra il pubblico in sala è stato notato Jordi Savall che la sera prima aveva inaugurato il nuovo Festival di Trieste, Il Faro della Musica ideato dal Direttore artistico Marco Seco che è riuscito a coinvolgere, nella Trieste del no se pol, Comune, Conservatorio e Scuola di Musica 55, per non parlare dell’ospitante Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi che per una volta, ha salutato i vecchi abbonati per essere invasa da un brulicante pubblico under 30, sotto i trent’anni, insomma.

Due riflessioni del cronista.

Fra grandi artisti non c’è invidia, ma solo ammirazione reciproca.

Tra il serio e faceto. Chissà che a Marco Seco non riesca addirittura di far ripartire il Tram di Opicina e di organizzarci sopra un percorso musicale? In ogni caso, grazie per le magnifiche serate.

Rino Alessi

(6 settembre 2023)

La locandina

Violino Maxim Vwengerov
Pianoforte Polina Osetinskaya
Programma:
Clara Schumann 
Tre romanze per violino e pianoforte Op. 22
Johannes Brahms 
Scherzo dalla sonata F-A-E
Robert Schumann 
Sonata per violino e pianoforte n.3 in la minore
Sergej Prokofiev
Cinque melodie
Sonata per violino e pianoforte n.2 Op.94 bis

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