Parma: i Lombardi conquistano il Regio

Sui confini del repertorio la discussione è aperta, ma i numeri aiutano a capire. Quelli che si trovano sfogliando il denso catalogo del Festival Verdi 2023, per esempio, dicono che I Lombardi alla prima Crociata sono ai margini della tradizione rappresentativa: a Parma, quest’opera ha avuto – a partire dal 1844 – dieci allestimenti in tutto, compreso quello che giovedì sera ha inaugurato al Teatro Regio la ventitreesima edizione della rassegna. Quasi la metà delle proposte risalgono al primo decennio dopo il debutto assoluto, poi le presenze si rarefanno. Un certo ritorno di interesse si è registrato negli ultimi 20 anni (2003, 2009 e oggi), ma l’edizione del 1973 era stata seguita da un vuoto lungo 30 anni.

Cronologicamente schiacciati fra il grande successo di Nabucco (1842) e l’importante riuscita di Ernani (1844), più che per i valori musicali i Lombardi (Teatro alla Scala, 11 febbraio 1843) sono stati a lungo riconosciuti come un caso interessante essenzialmente dal punto di vista storico. Un “prodotto” che illustra non tanto le ancora acerbe qualità del compositore trentenne alla sua quarta prova, quanto le caratteristiche del sistema-opera in Italia verso la metà dell’Ottocento. Un sistema caratterizzato da esasperati ritmi creativi e produttivi, conseguenza della popolarità dilagante di questo genere, del quale Verdi sarebbe stato fra i protagonisti principali per quasi un decennio, salvo poi definire quel periodo “i miei anni di galera”.

Quali fossero i rischi di tale contesto è chiaro se si pone mente al fatto che a differenza del Nabucco, i Lombardi – fortemente voluti, come si direbbe oggi, dall’impresario scaligero Bartolomeo Merelli – ebbero un’accoglienza positiva ma ben presto l’interesse del pubblico si affievolì, anche (ma non solo) a causa delle riserve della critica.

Per sfruttare l’onda del precedente trionfo, Merelli aveva adottato il motto “squadra che vince non si cambia”, ma il librettista Temistocle Solera non era riuscito a ripetere l’exploit di Nabucco, sfornando (a partire dal fluviale poema omonimo di Tommaso Grossi, pubblicato nel 1826) un libretto farraginoso e divagante, nel quale la vicenda si disperde e si fa confusa, continuamente spostando luoghi e momenti dell’azione. E Verdi, con pochi mesi a disposizione, aveva dovuto adattarsi a lavorare su quel guazzabuglio. Non per caso, nel seguito della sua carriera, avrebbe controllato sempre più da vicino la costruzione del testo, imponendo progressivamente in maniera stringente le proprie esigenze.

E tuttavia, l’edizione critica e gli studi più recenti tendono oggi a riconoscere nella partitura dei Lombardi qualità fino a poco tempo fa non considerate. In particolare, si individua in quest’opera una sorta di taglio “sperimentale”: idea condivisibile se si intende con questo termine indicare la duttile capacità del musicista di andare oltre i limiti librettistici e di costruire – per quanto dentro alla “koinè” del linguaggio operistico dell’epoca e secondo lo stile caratteristico di quella fase della sua carriera – una drammaturgia musicale in vari momenti caratterizzata da una significativa originalità specialmente nella strumentazione.

Come deve accadere in un festival di alto lignaggio, la produzione presentata al Teatro Regio di Parma, basata appunto sull’edizione critica a cura di David R.B. Kimbell, ha messo in evidenza queste caratteristiche in maniera per molti aspetti rivelatoria e con accattivante coesione fra la rappresentazione e l’esecuzione musicale.

Lo spettacolo è di Pier Luigi Pizzi ed è impaginato con la lucida ed essenziale efficacia che ha sempre caratterizzato il suo stile, ammirevolmente aggiornato – oggi – alla luce delle più recenti possibilità tecnologiche. E dunque, il novantatreenne uomo di teatro milanese oltre a regia, scene e costumi firma anche i video, elemento fondamentale in una lettura dalle forti suggestioni visive.

Lo spazio scenico è occupato da pochi elementi fissi: una pedana circolare, un praticabile, alcuni gradini sui quali trova posto quando serve il coro, personaggio a tutto tondo. Il grande schermo a fondo scena è il luogo dell’illustrazione dei molti luoghi dove si svolge l’opera: architetture stilizzate sia della Cristianità che dell’Islam, ma anche paesaggi aspri e suggestivi. Nell’insieme, il risultato è una rappresentazione che non rinnega la tradizione degli spettacoli operistici “all’antica italiana” – con i personaggi, comunque, al centro dell’azione – ma ne offre una rivisitazione multimediale e stilizzata, nella quale hanno un ruolo fondamentale anche le luci “narrative” di Massimo Gasparon. Mentre gli effetti tridimensionali dei video regalano suggestioni insieme fantastiche e realistiche. Così, l’immagine che giunge allo spettatore ha i connotati di una regia di innovazione senza però forzature di sorta. E s’impone la forza comunicativa che deriva dal seguire attentamente – vorremmo dire devotamente – la partitura. L’opera di metà Ottocento raccontata secondo un moderno linguaggio rappresentativo, ricostruita con fedeltà ma senza polveroso tradizionalismo.

Un aspetto importante (e di grande effetto) di questa lettura consiste nell’idea di fare della ricchezza strumentale della composizione verdiana un elemento drammaturgico anche visivamente. E quindi, Pizzi manda sul palcoscenico non solo Mihaela Costea, eccellente solista al violino nel singolare Preludio che conclude il terzo atto (un vero e proprio movimento di Concerto per violino “alla Paganini”), ma anche il clarinetto e il flauto concertanti che accompagnano il “Salve Maria” di Giselda nel primo atto, e l’arpa che trapunta la scena della visione dello stesso personaggio nel quarto atto. Così, il raccordo fra quello che si vede sulla scena e la buca dell’orchestra è particolarmente fluido ed efficace.

Del resto, teatrale a tutto tondo è la lettura dei Lombardi proposta dal direttore Francesco Lanzillotta, debuttante a Parma, che ancora risente dei postumi dell’incidente stradale in cui è incappato quest’estate e si è presentato sul podio con un collare a proteggere le cervicali, restando seduto per tutta l’esecuzione. La sua è un’interpretazione illuminante, che senza concedere più del necessario alla banalità ritmica di cui è trapuntata l’opera nelle marce e in molti accompagnamenti, disegna un fraseggio mobile e pieno di sfumature, capace di mettere in evidenza la ricchezza coloristica della partitura verdiana (esemplare la Filarmonica Arturo Toscanini), esaltandola con dinamiche di notevole forza espressiva e tempi nitidi, sempre incisivi.

La compagnia di canto è di alto livello. L’esperienza di Michele Pertusi nel ruolo di Pagano (assetato di vendetta nei confronti del fratello, parricida per errore, poi eremita nei Luoghi Santi) si risolve in una linea di canto sapientemente modellata sulla parola, anche se talvolta la vocalità appare un po’ affaticata. Sua nipote Giselda ha la voce importante di Lidia Fridman, benissimo gestita in ogni zona della tessitura e condotta con impeccabile equilibrio e pregevole precisione fra lirismo e drammaticità, in particolare nel quarto atto. Notevoli entrambi i tenori: Antonio Corianò disegna un Arvino (fratello di Pagano) dagli accenti nobili ed espressivi, mentre Antonio Poli propone una lettura di grande intensità espressiva, fra passione e lirismo, del personaggio di Oronte, l’islamico innamorato di Giselda.

Bene tutti i comprimari, fra i quali citiamo il Pirro tenebroso (complice di Pagano) di Luca Dall’Amico l’accorata Viclinda (madre di Giselda) di Giulia Mazzola, l’imperioso Acciano, tiranno di Antiochia, di William Corrò. Molto bene il coro del Teatro Regio di Parma istruito da Martino Faggiani: omogeneo, abile nel muoversi in scena, misurato e presente al punto giusto anche nei non rari interventi fuori scena. Del brano corale più famoso in quest’opera, “O Signore dal tetto natio”, ha proposto un’esecuzione interiorizzata, a fior di labbra, di notevole effetto.

All’anteprima aperta, cui abbiamo assistito, frequenti convinti applausi a scena aperta e grande successo alla fine, con vivi consensi anche per gli strumentisti che nel corso dello spettacolo si sono avvicendati sul palcoscenico.

Cesare Galla
(16 settembre 2022)

La locandina

Direttore Francesco Lanzillotta
Regia, scene, costumi e video Pier Luigi Pizzi
Luci Massimo Gasparon
Coreografie Marco Berriel
Personaggi e interpreti:
Arvino Antonio Corianò
Pagano Michele pertusi
Viclinda Giulia Mazzola
Giselda Lidia Fridman
Pirro Luca Dall’amico
Un Priore Zizhao Chen
Acciano William Corrò
Oronte Antonio Poli
Sofia Galina Ovchinnikova
Violino solista Mihaela Costea
Filarmonica Arturo Toscanini
Orchestra Giovanile della Via Emilia
Coro del Teatro Regio di Parma
Maestro del coro Martino Faggiani

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