Foggia: rivive l’Isola Azzurra di Evemero Nardella
Evemero Nardella (Foggia, 1879 – Napoli, 1950), non solo autore di titoli “cult” e fra i più amati della Canzone classica napoletana piedigrottesca, da Surdate e Chiove su testi di Libero Bovio a ‘Mmiez’o ggrano sui versi di Eduardo Nicolardi o, ancora, Suspiranno e Matenata sui testi poetici di Ernesto Murolo, ma anche interessante compositore di alta formazione musicale partenopea (studiò al Conservatorio “San Pietro a Majella” con l’ultimo allievo di Mercadante, Paolo Serrao, con Giuseppe Martucci e con Camillo De Nardis) per la scena teatrale del primo Novecento. Ad attestarlo, la fonte unica e inedita della deliziosa operetta in tre atti per voci, coro e orchestra L’isola azzurra, composta nell’anno 1914 sul libretto a noi non pervenuto di Rocco Galdieri (in arte Rambaldo) per la Compagnia romana Baroni-Prosdocimi, ma non più rappresentata in concreto per le complicazioni di una vertenza giudiziaria o, più verosimilmente, per i venti imminenti della Prima Grande Guerra. Dunque, oggi rimasta esclusivamente consegnata ai pentagrammi dello spartito autografo manoscritto conservato presso la Biblioteca del Conservatorio “Umberto Giordano” di Foggia, l’Isola Azzurra è stata riportata in vita da quella fonte unica per voci e pianoforte grazie a un importante progetto di ricostruzione musicologica curata dal prof. Agostino Ruscillo e di produzione artistica fortemente voluta dal presidente dell’Istituzione musicale, il prof. Saverio Russo, e dal Direttore Francesco Montaruli, ponendo in virtuosa quanto fruttuosa sinergia i Dipartimenti della Ricerca, di Canto e Teatro musicale, la Classe di Direzione d’orchestra e le molteplici professionalità del Conservatorio “Umberto Giordano”, l’Accademia di Belle Arti di Foggia, il Comune di Foggia, il Teatro Giordano e la Fondazione dei Monti Uniti. Una ricostruzione tra l’altro possibile, perduto il libretto ricavato direttamente dal manoscritto musicale che comunque e per sole voci e pianoforte, grazie al lavoro sulla prosa di Carlo Antonio De Lucia e al fondamentale intervento di Vincenzo Celozzi responsabile dell’orchestrazione e dell’adattamento. «L’isola azzurra, operetta in tre atti di Evemero Nardella su libretto di Rocco Galdieri (Rambaldo) – spiega infatti il prof. Agostino Ruscillo, docente titolare della cattedra di Storia della musica per la Didattica presso il Conservatorio “Umberto Giordano” sarebbe dovuta andare in scena a Roma nell’ottobre del 1914, a pochi mesi di distanza dall’inizio del primo conflitto mondiale (28 luglio 1914).
La notizia della messinscena romana ad opera della compagnia di operette Iole Baroni-Astro Prosdocimi era stata annunciata il 20 aprile 1914 sulle colonne della testata giornalistica napoletana «Il Proscenio», con un allestimento scenico curato da due importanti artisti, il pittore napoletano Luca Postiglione e lo scenografo Antonio Rovescalli, che, ricordiamo, nel 1907 aveva firmato le scene della prima italiana de La vedova allegra di Lehár al teatro Dal Verme di Milano». Quanto alla musica, il prof. Ruscillo aggiunge: «Il musicista foggiano, in conformità a quanto prescritto dal genere operettistico, pratica nell’Isola azzurra il concetto di ‘numero musicale’, ricco di romanze solistiche, canzoni strofiche, assiemi e danze, e con un discreto numero di interventi autonomi dell’orchestra, quasi sempre con funzione descrittiva e narrativa. Per costruire il suo racconto diegetico, l’autore della musica fa ricorso alla tecnica della reminiscenza o più precisamente, secondo la definizione di Joseph Kerman, del “recalling theme” (tema-richiamo). Diversi sono i motivi utilizzati per richiamare all’attenzione dello spettatore alcuni eventi drammatici visti in precedenza. La presenza di musica da ballo e una conditio sine qua non di questo genere musicale. Nell’Isola è privilegiato il valzer, sia per accompagnare l’estasi amorosa di Minnie nella sua romanza del primo atto («Strano signore: “Che nome vi dirò?”»), sia per suggellare il gaudente lieto fine dell’opera («È una turchese la sua marina»), senza tralasciare che anche l’incontro amoroso nel grande duetto del secondo atto e scandito da un moderato ritmo di valzer, che cesella le parentesi liriche dei due protagonisti». Singolare, e forse neanche troppo casuale, è poi la scelta del nome della protagonista, Minnie: un nome che «richiama quello del personaggio principale femminile della Fanciulla del west di Puccini (la cui ‘prima’ ebbe luogo al Metropolitan di New York il 10 dicembre 1910, sotto la direzione di Arturo Toscanini). L’omonimia – conclude Agostino Ruscillo – non è un semplice omaggio: è la chiave di lettura per l’interpretazione corretta del nostro titolo operettistico. In altre parole, la Minnie caprese è fortemente imparentata (o indebitata) con la Minnie californiana: in moltissimi punti, le trame dei due lavori lirici sono sovrapponibili».
La produzione, firmata da Carlo Antonio De Lucia per la regia e da Francesco Arrivo per il coordinamento delle scene realizzate dalla Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Foggia, si avvale della concertazione e direzione musicale di Andrea Palmacci, dei costumi della sartoria Shangrillà, delle videoproiezioni di Francesco Curci, Andrea Sponsillo e Lucia Zullo, dei movimenti coreografici di Giada Ordine. L’esecuzione è affidata all’Orchestra del Conservatorio “Umberto Giordano”, al Coro Lirico Pugliese preparato dal maestro Agostino Ruscillo, al Corpo di Ballo “Tersicore Danza”. Taglio registico ispirato ai film anni cinquanta – caccia al ladro, totò a colori, l’imperatore di capri – con realizzazione scenografica su fondali video in 3d «Aver potuto studiare questa preziosa partitura declinata dall’autore in un’operetta dai toni gentili e idilliaci – sottolinea il regista Carlo Antonio De Lucia – è stata non solo una gioia ma un vero viaggio di emozioni. La musica, e con essa la drammaturgia, creata nel decennio precedente al fenomeno dell’avanspettacolo, subisce in molti punti il retroterra degli Strauss e dei Lehár, ma ciò che la rende davvero suggestiva è che sia stata pensata dai due autori come una sorta parafrasi de La fanciulla del West di Puccini. Ho ricostruito rispettosamente la prosa andata perduta, cercando di riprodurre la sveltezza e lo stile originario dei dialoghi ed ho pensato, posticipandola, di ambientare la vicenda negli anni Cinquanta del Novecento: gli anni di Caccia al ladro, di Totò a colori e dell’Imperatore di Capri. Tutti i personaggi dell’operetta concorrono a finalizzare la trama fino allo scioglimento finale con romantica leggerezza, attraverso anche momenti evocativi degli antichi fasti romani del regno di Tiberio che ho cercato di far rivivere».
Quanto all’impianto scenografico, infine, Francesco Arrivo dichiara: «L’intervento per le scene impiega essenzialmente fondali videoproiettati, più qualche semplice elemento di arredo scenico. Le scelte fatte ad opera degli studenti della Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Foggia, sotto la mia guida, e in piena sintonia con Antonio De Lucia, regista dello spettacolo, si basano su una visione abbastanza semplice, tradizionale e descrittiva di allestimento, vertendo però sull’uso di fondali scenografici da videoproiettare, realizzati con perizia dagli studenti mediante il programma di modellazione 3D Blender, che simulano degli scorci di Capri e sono fedeli alle indicazioni del libretto». Ingresso allo spettacolo su invito da ritirare presso il Conservatorio a partire dal giorno 17 ottobre.
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