Jakub Hrůša: la Sposa dello Spettro è un thriller ottocentesco
Grande attesa per il prossimo concerto all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone con la prima italiana di un’opera di Antonin Dvořák, La Sposa dello Spettro, diretta in forma di concerto dal direttore musicale ospite principale dell’Accademia di Santa Cecilia, il maestro Jakub Hrůša considerato “l’arma segreta della musica ceca”, che a partire dl 2025 prenderà la direzione musicale del Royal Opera House.
Antonin Dvořák compose Svatební košile – questo il titolo originale – nel 1884 ispirandosi a un racconto di Karel Jaromil Erben, e la considerava uno dei suoi capolavori. È un’opera horror, selvaggia e spettrale, che oggi potrebbe prestarsi alla trama di un film di Tim Burton.
- Maestro Hrůša, può presentarla ai nostri lettori?
La trama è semplice. È una storia tragica che ruota intorno a una ragazza, uno spettro e un narratore. Niente di particolarmente ceco. È una storia comune a tutti i paesi europei, una mitologia diventata cristiana, che ritroviamo in tutti i paesi slavi e persino in Francia con alcune varianti. La storia racconta di una fanciulla innocente, che segue uno spettro il quale vuole portarla nel mondo dell’al di là, e grazie a una serie di preghiere e di buone intenzioni alla fine riesce a sopravvivere alla morte.
- Possiamo considerarla un thriller ottocentesco?
Sì, per noi sarebbe come un film giallo sul piano musicale. Per questo è importante che il pubblico vi si avvicini con menta aperta, senza pregiudizi, affidandosi alla bellezza della partitura, e magari leggendosi prima la traduzione del libretto dal ceco. Non c’è bisogno d’altro. Personalmente sono un grande fautore delle poche chiacchiere prima di un concerto, e molte chiacchiere dopo il concerto. Tutti noi siamo vittime di troppi pregiudizi e di troppe aspettative. Meglio coltivare una mente aperta, disporsi all’ascolto senza intellettualismi per scoprire l’anima meravigliosa di Antonin Dvořák attraverso questo suo capolavoro pressoché sconosciuto al pubblico italiano.
- Dirigendo l’Orchestra di Santa Cecilia aggiungerà qualcosa o eliminerà qualcos’altro dalla sua lettura di quest’opera del repertorio nazionale ceco?
Capisco la sua domanda, ma francamente non me la pongo. Da musicista non penso mai in questi termini. Non speculo su aggiunte o eliminazioni. A me piace la musica e basta e, e cerco di guardare solo alla partitura di Dvořák per comunicarla con passione, e trasmettere nel modo più perfetto possibile tutto quello che il compositore ha lasciato.
- Dunque il giudizio di Milan Kundera su Janáček e la tradizione musicale ceca, confinata entro i confini nazionali, eppure in costante dialogo con la tradizione degli altri paesi d’Europa, la lascia indifferente?
Conosco quel saggio e lo trovo interessante quello che scrive Kundera, sempre acuto sebbene poco incline al compromesso. Ma non credo che ciò che ha scritto su Janáček valga per altri musicisti. Conosco tanta gente che si è messa a studiare il ceco e può di capire Janáček meglio dei molti nativi cechi. Certo, è più facile iniziare il viaggio per capire la musica ceca se sei nato in quella regione, ma quello che conta è la passione, la determinazione, lo studio. Quanto a Dvořák, anche lui come Janáček, era legato alla tradizione ceca e anche lui voleva creare qualcosa di nuovo, senza copiare quello che si faceva oltre frontiera, in Germania o in Italia. Entrambi volevano partire dalla tradizione musicale centroeuropea, colorata di musica locale, con qualcosa di orientale, e però restare vicini e ancorati alla tradizione occidentale. Janáček più che ai tedeschi e agli italiani guardava ai russi, come a Čajkovskij, anche se l’opera di Verdi fu importante per il suo realismo, ma Janacek non è in programma. Invece Dvořák in un certo senso è più facile da capire, nonostante alcune specifiche del suo linguaggio musicale che richiedono tempo e approfondimento. Tutti conoscono le sue opere più famose come la Sinfonia del Mondo nuovo, o i Quartetti americani. Ma la Sposa dello spettro non è un pezzo universale come lo sono le sinfonie.
È per questo che nel programma del suo concerto romano ha incluso un’opera di Smetana?
La sposa venduta di Smetana è un capolavoro nel genere dell’opera comica, dell’opera buffa tipica della tradizione italiana del bel canto, anche se è un po’ diversa. Gustav Mahler, quando gli domandarono qual era la sua opera buffa preferita, rispose citando Le Nozze di Figaro di Mozart, il Barbiere di Siviglia di Rossini, e La Sposa venduta. È composta da un’ouverture e tre danze e si può suonare anche senza cantante, tanto è ricca la summa di autentico folclore nazionale, e tanto è ricco il virtuosismo della partitura, che suonarla con una grande orchestra come quella di Santa Cecilia è per me un’occasione ideale.
Marina Valensise
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