Vicenza: Pappano, Rana e Fantasia
Sette concerti in otto giorni. Da Reggio Emilia al Musikverein di Vienna, passando per Pordenone e Vicenza, Rimini, Essen e Berlino. Se tutte le serate sono come quella a cui abbiamo assistito, in un Teatro Comunale vicentino gremito – e la conferma viene subito, basta un’occhiata alle biglietterie online – la tournée della Chamber Orchestra of Europe diretta da Antonio Pappano con Beatrice Rana al pianoforte costituisce la dimostrazione di una semplice verità: al cospetto del carisma degli interpreti, non c’è repertorio che tenga. Ne discende una considerazione immediata: bisogna essere riconoscenti a questi musicisti per il fatto che hanno impaginato un programma niente affatto comune, nel quale un “greatest hit” come il Concerto per pianoforte di Schumann era incastonato in due pagine tanto importanti quanto poco frequenti nelle sale da concerto, per non dire rare, l’Introduzione e Allegro di Elgar per orchestra d’archi e quartetto d’archi e la Sesta Sinfonia di Dvořák.
In Italia, la composizione di Elgar, scritta nei primi mesi del 1905 ed eseguita per la prima volta nel marzo di quell’anno alla Queen’s Hall dalla neonata London Symphony Orchestra, che non aveva ancora compiuto un anno (aveva cominciato la sua attività nel giugno precedente), è a tutti gli effetti una rarità. Ne è consapevole lo stesso Pappano, se sente la necessità di rivolgersi al pubblico, prima di attaccare, spiegando le caratteristiche di una pagina per vari aspetti sofisticata, comunque in grado di contraddire l’immagine semplicistica del compositore “ufficiale” del vittorianesimo e dell’era edoardiana, magniloquente per quanto abile nella non semplice arte dell’orchestrazione, retorico e anche pomposo alla bisogna. Una figura spesso considerata secondaria in un’epoca che conosceva i batticuori e i sovvertimenti della modernità. E basterà por mente al fatto – ha spiegato Pappano – che sono contemporanee a questa pagina due partiture fondamentali del Novecento come La mer di Debussy e la Salome di Richard Strauss. Il quale peraltro, aggiungiamo noi, tre anni prima aveva espresso entusiasmo per l’arte del collega d’oltre Manica dopo avere ascoltato in Germania il suo Oratorio Il sogno di Geronte, definendolo “il primo musicista progressista inglese”.
L’ascolto dell’Introduzione e Allegro rende evidente che Elgar ha inteso qui, in certo modo, sfidare sé stesso in una scrittura – quella per soli archi – che si può definire “senza rete”, nel senso che non ha le “uscite di sicurezza” tipiche della strumentazione per grande orchestra, nella quale del resto questo autore aveva già trionfato sei anni prima con le Variazioni Enigma, che restano la sua composizione più nota. Una prima soluzione consiste nella definizione di due gruppi strumentali, uno costituito dall’orchestra d’archi e l’altro da un quartetto, che in via generale rimanda ai “soli di concertino” del Barocco, ma nella pratica si distacca da una concezione meramente concertante per affermare un ruolo ben più significativo. E non è un caso che una delle trovate più intriganti del compositore, l’utilizzo di un tema gallese annotato “sul campo”, prima di arrivare al tutti venga variamente elaborato dal quartetto e principalmente dalla viola. In generale, la scrittura è sempre virtuosistica, sia nel tutti che nel quartetto. Ma si tratta di un virtuosismo del colore, come benissimo intende Pappano, che offre di questa composizione una lettura affascinante proprio per la sottigliezza della tinta dentro alla complessità della scrittura. E basterà dire, al proposito, come viene risolta la brillante Fuga che campeggia nello sviluppo dell’Allegro: il direttore italiano-inglese prende un tempo leggermente comodo (viene da dire: si prende il suo tempo) per scavare nelle sfumature timbriche con una delicatezza poetica che esalta i valori melodici anche all’interno del contrappunto. Una soluzione affascinante, che si basa sull’eccellenza della compagina orchestrale – un’omogeneità di qualità solistica semplicemente magistrale – non meno che sulla profondità del pensiero del direttore.
Il valore della Chamber Orchestra of Europe è risaltato al completo nell’altra “perla rara” della serata, la Sesta di Dvořák, composizione del 1880 che all’epoca sancì la sua affermazione internazionale, ma che oggi non è facile trovare nei programmi dei concerti. Spesso gli storici hanno parlato per questo autore di “epigonismo brahmsiano”, ma con un direttore come Pappano l’autonomia di pensiero e di invenzione del boemo brillano come raramente è dato ascoltare: la sua franca vena melodica dai chiari addentellati “etnici”, la sua magistrale sottigliezza nella strumentazione, l’elegante capacità di non rimanere invischiato nei lacciuoli della forma per entrare in una dimensione espressiva personalissima brillano e “passano” con un’immediatezza espressiva nella quale il ritmo assume un ruolo primario. Lo ha dimostrato la resa della danza popolare che funge da terzo movimento, una “Furiant” nella quale l’istintiva forza degli scarti ritmici è stata inquadrata in un controllo lucido e sempre preciso nelle articolazioni timbriche.
Il cuore di una serata a tutti gli effetti da ricordare, che costituiva l’inaugurazione della stagione della Società del Quartetto di Vicenza, è stato comunque rappresentato dalla rivelatoria interpretazione che Pappano e Beatrice Rana hanno offerto del Concerto per pianoforte op. 54 di Schumann. La trentenne pianista salentina ha al proposito le idee molto chiare: il nucleo originario della composizione, la Fantasia sinfonica con pianoforte scritta da Schumann nel 1841 e completata con gli altri due movimenti solo quattro anni più tardi, è il cuore di questo capolavoro e ne detta il clima poetico in affascinante equilibrio con la scrittura sinfonica della parte orchestrale. Ecco allora che la forza delle perorazioni solistiche non viene certo a mancare, all’insegna di un’adamantina precisione, ma il primato spetta alla poesia di un tocco di rara sensibilità, nel quale le voci interne della scrittura emergono nitidamente, il fraseggio diventa meditazione e il colore un elemento dialettico rigoroso ed eloquente nel dialogo con l’orchestra. Da parte sua, Pappano esalta la qualità strumentale della Chamber Orchestra of Europe con un rigore e un’intima “presenza” che solo raramente si apprezzano con simile articolata evidenza sinfonica. Un romanticismo asciutto e pensoso, quello delineato dai due interpreti, che libera il Concerto da ogni eccesso di inutile retorica.
Ovazioni dopo ogni esecuzione, ripetute chiamate per Beatrice Rana, che per il bis si è spostata nei territori di un funambolico Debussy, attraversando i paesaggi dell’Isle joyeuse con virtuosismo pari alla sensibilità coloristica. Per il commiato, Pappano alla fine ha scelto Nimrod, la nona delle Variazioni Enigma di Elgar, che costituiscono, ormai è noto, una sorta di sinfonica celebrazione dei valori dell’amicizia. Di questi tempi, un pensiero che non è superfluo rinfrescare.
Cesare Galla
(27 novembre 2023)
La locandina
Direttore | Sir Antonio Pappano |
Pianoforte | Beatrice Rana |
Chamber Orchestra of Europe | |
Programma: | |
Edward Elgar | |
Introduzione e Allegro per archi | |
Robert Schumann | |
Concerto per pianoforte e orchestra in La minore Op. 54 | |
Antonín Dvořák | |
Sinfonia n. 6 in Re maggiore Op. 60 (B. 112) |
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