Stefania Bonfadelli: le Primedonne hanno una marcia in più
Scrivere è arte non facile e ancor più difficile è scrivere con garbo e soprattutto con cognizione di causa.
Stefania Bonfadelli, interprete tra le più raffinate del repertorio belcantistico e oggi regista affermata, è autrice di “L’opera delle primedonne. Vite straordinarie di dive del belcanto” (Ed. Lindau, collana Le Comete, pagg. 144, € 16,00), volumetto agile e sapido che si legge tutto d’un fiato per poi tornare a rileggerlo, nel quale si prendono in esame alcune tra le più significative mattartici della scena lirica dal Settecento a oggi.
Abbiamo incontrato l’autrice, tante volte ammirata a teatro, per farle qualche domanda, non solo sul libro.
- Come è nata l’idea del libro?
L’idea del libro è nata durante il lock down di 3 anni fa. Ho pensato che anche nel passato erano accadute pestilenze e chiusure dei teatri perciò ho pensato alle artiste del passato, che conoscevo per studi fatti e per il mio passato di cantante, a cui era successa la stessa cosa e così è arrivata l’idea di ricordarle. E da lì si è aperto un vaso di Pandora. Ho cominciato le mie ricerche, perché anche se il libro è tutto sommato piccolo ci ho messo quasi due anni per farlo, ma è stata una grande gioia perché mi sono addentrata nelle loro vite scoprendo dei particolari entusiasmanti, come il fatto che Anna Renzi, nel 1600, si autofinanziata gli spettacoli, o l’autoironia di Benedetta Rosmunda Pisaroni che era molto brutta e con il viso distrutto dal vaiolo mandava ritratti a chi voleva scritturarla…e tanto altro.
Noi cantanti, come ben sa, perché lo è stato anche lei, abbiamo in rapporto particolare con il passato, cantiamo cose scritte talvolta centinaia di anni fa e per interpreti che hanno vissuto pure loro tantissimi anni fa.
Questo crea un legame indissolubile tra passato e presente nell’opera. Oltretutto alcune primedonne si sono date una nuova possibilità dopo la fine della loro carriera, come Vittoria Tesi, o Emma Carelli o Toti dal Monte, diventando costumista, o direttrice di teatro o attrice, confermando la loro grande passione e la loro impossibilità di vivere senza il teatro, essendo stato il luogo del loro riscatto. Questo particolare me le ha fatte sentire molto vicine, perché anche io nel mio piccolo ho fatto la stessa cosa, mi sono data un’altra possibilità perché anche io non posso vivere senza il teatro
- Quale criterio ha seguito nella scelta dei soprani cui hai dedicato i vari ritratti?
Le cantanti che ho scelto non sono solo soprani e le ho scelte perché ognuna di loro ha segnato una fase importante per l’opera, come Anna Renzi senza la quale non ci saremmo state, e qualcuna per un tocco di colore come Giulia Grassini che è stata l’amante sia di Napoleone che di Wellington o Lina Cavalieri, passata dal café chantant all’opera, poi diventata attrice di cinema, poi ancora inventrice dei primi istituti di bellezza e prima testimonial della ” Palmolive”, mi sembrava carino anche raccontare queste storie.
Sono tutte primedonne italiane non per nazionalismo ma per circoscrivere il racconto partendo dal fatto che l’opera è nata in Italia. Le ho scelte tenendo presente coloro che reputavo più importanti dal punto di vista musicale e più intriganti dal punto di vista biografico. Voglio precisare che anche se racconto tutte storie vere frutto come dicevo di una importante ricerca non è un saggio storico né tantomeno musicologico. È scritto in modo semplice e narrativo per avvicinare chi dell’opera non sa nulla
- Che differenza c’è tra una cantante, anche brava, e una primadonna?
La differenza tra una cantante e una prima donna è la stessa che c’è tra un esecutore ed un interprete. Una primadonna è sicuramente colei che ha la responsabilità di un ruolo importante che ” regge” in un certo senso l’opera stessa nella presenza femminile, la parte più importante di un’opera come può esser Tosca o Lucia di Lammermoor, ma anche Lady Macbeth e per essere prime donne e non primi ruoli serve un talento particolare.
Poi ci sono le dive che oltre ad essere primedonne hanno una marcia in più, un carisma particolare non solo artistico ma anche umano, che riescono ad essere al centro dell’attenzione sempre, da quando entrano in palcoscenico a quando ne escono. Sono casi rari
- Le primedonne del passato sono diverse da quelle del presente?
Che differenza c’è tra le primedonne del passato e quelle del presente? Il coraggio e la determinazione delle prime. Oggi le primedonne si trovano tutto pronto in un certo senso e sono le cantanti del passato che hanno lottato per noi che ci hanno permesso di avere dei capolavori scritti per loro, ci hanno permesso di andare in scena quando non potevamo, ci hanno dimostrato – pensiamo a Vittoria Tesi nel 1700 – che nell’opera conta solo il colore della voce e non quello della pelle, che conta la bellezza del suono, vedi la Pisaroni, e non quello del viso; ci hanno insegnato a darci un’altra possibilità anche dopo il canto.
Dovremmo essere loro più grati e ricordarle di più.
Io avevo il bisogno di ricordarle, anche perché in epoche in cui le donne non potevano parlarle loro hanno alzato la voce per tutte, conquistando libertà, economica, personale, etnica
- Ultima domanda, rivolta ad una primadonna: dove sta andando il teatro d’opera?
Il teatro d’opera va, e andrà sempre perché è un bisogno di tutti perché è un modo per capire meglio noi stessi, dal punto di vista personale, civico e sociale. Ne abbiamo continue conferme. Ora il canto lirico è anche patrimonio dell’Unesco e la cosa mi rende molto felice.
Trovo che la disputa che ora c’è tra regie cosiddette, semplificando, tradizionali e moderne crei una disputa che può fare solo bene al teatro d’opera, perché il teatro deve essere anche questo un luogo di confronto e talvolta di protesta che lo rende vivo.
Alessandro Cammarano
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