Venezia: dov’era, com’era
Nella millenaria vita della Serenissima Repubblica, pre e post Napoleone, questa frase è ritornata spesso come mantra a contraddistinguere il carattere museale di Venezia. La discussione, ogni anno sempre più preponderante, sulla fragilità della città nei confronti delle masse turistiche, tornate ora ancora più fameliche che nei tempi pre-Covid, generalmente non indaga e non approfondisce il fatto che il capoluogo veneto sia a tutto gli effetti un museo a cielo aperto, inserito nella vetrina della laguna circostante.
Il mantra ha presumibilmente accompagnato la ricostruzione del Campanile di S. Marco, crollato nel 1902 e ri-eretto nel 1912, rispettandone location e forma, e qualche decina di anni dopo, è stato sicuramente lo slogan che ha accompagnato la ricostruzione del Teatro La Fenice, malignamente dato alle fiamme nel 1996 e ri-inaugurato nel 2003. Due avvenimenti che hanno segnato il XX secolo veneziano ma che ne hanno contraddistinto anche la grande forza di volontà.
C’è da dire che il motto, diventato quasi un’omelia sottocutanea, ha perso forse quella potenza energica di contrasto alle avversità che la contraddistingueva, diventando una semplice esternazione dell’ovvio e in alcuni casi del kitsch, che siano le ‘truly venetian experiences’ musicali nelle chiese sconsacrate o che sia la perenne difficoltà della città non solo a domandarsi cosa fare per il proprio futuro ma anche di agire per la realizzazione dello stesso.
Il mese di dicembre, per un momento, però ha fatto dimenticare di essere una città per quanto importante ma alla periferia dell’impero con una programmazione musicale da far concorrenza alle grandi città.
Se del felice successo del concerto inaugurale della stagione della Fondazione Teatro La Fenice ne ho parlato in un precedente articolo (https://www.lesalonmusical.it/venezia-quello-che-mahler-mi-narra/), la programmazione della fondazione lirico-sinfonica cittadina permetteva un secondo e anche un terzo appuntamento, indubbiamente peculiari, entrambi nella settimana che vent’anni fa contraddistinse il ritorno dalle ceneri proprio del teatro (che peccato non aver riservato neanche una parola a riguardo, in un momento in cui c’è tanto bisogno di ricordare momenti edificanti e di successo).
Il ritorno di Myung-Whun Chung sul podio del Teatro La Fenice ricorda quelle felici situazioni focolari in cui si torna sempre dove si è stati bene. Il direttore d’orchestra coreano ha sempre riservato uno o più appuntamenti, sinfonici e operistici, alla Fenice, elevando costantemente il risultato musicale, grazie anche a quella che a 70 anni può essere definita come una direzione che trascende essa stessa la direzione.
Come accade da qualche anno a questa parte, il maestro dirige costantemente a memoria, limitando i gesti ma non per questo risultando meno energico dove necessario, mentre spicca, agli occhi più esperti, la sempre essenzialità dei suoi movimenti senza che essi perdano un qualche carattere di praticità o teatralità. Un risultato unico nel panorama mondiale, affinato negli anni, che porta i musicisti stessi a fidarsi ciecamente del direttore che da capace demiurgo interpreta e crea.
Il forte contrasto, sulla carta molto efficace e incuriosente in quanto a programma naturalistico, della Sinfonia Pastorale di Beethoven e della Sagra della Primavera di Stravinskij, ha volto a favore del musicista russo. Se da una parte l’ascolto del Sacre è diventato da vera e propria follia timbrica e ritmica musicale ad essere quasi un’abitudine dei cartelloni, dall’altra c’è da dire che risulta ancora uno scoglio esecutivo non indifferente per qualsiasi orchestra.
Ecco dunque che l’esecuzione della Pastorale, pur precisa e delicata, sembra quasi un’attesa nervosa ma mai realmente drammatica, pure nelle famose pagine della tempesta, nei confronti del blocco successivo, che arriva e investe lo spettatore che riesce ancora a trovare qualcosa di stridente e contemporaneo. L’orchestra del Teatro La Fenice prende fiducia man mano che l’esecuzione avanza e affidandosi alle direttive del direttore, che osa sui timbri bassi, puntando molto alle viscere della partitura.
Successo molto caloroso da parte del pubblico, con vere e proprie ovazioni per il direttore.
Una delle migliori esperienze che Venezia possa offrire per il ‘dov’era, com’era’ è la programmazione della Basilica di S. Marco, centro musicale e culturale che ha cambiato il volto della storia della musica nei secoli scorsi e che ora permette, grazie ad una imponente eredità acustica-architettonica e archivistico-musicale, di poter riproporre concerti che nei tempi attuali definiremmo site-specific ma che nei tempi che furono era una caratteristica data per scontata.
Attraverso la programmazione e ricerca musicale della Cappella Marciana e del suo trentaseiesimo Maestro di Cappella, Marco Gemmani, settimanalmente tutte le funzioni liturgiche sono accompagnate dai brani della tradizione musicale colta veneziana, e occasionalmente raccolte all’interno di appuntamenti per tutta la cittadinanza, come il tradizionale concerto di Natale che da quasi dieci anni anima la programmazione del Teatro la Fenice, in collaborazione con la Procuratia di San Marco.
Splendide occasioni per godere la Basilica senza le orde di turisti che la assiepano giornalmente e per godersi musica eseguita piuttosto raramente ma soprattutto per avere una visione di come potessero essere gli intrattenimenti musicali del periodo.
Accompagnati dagli strumentisti della Schola Cantorum Basiliensis, i solisti della Cappella Marciana diretti dal proprio Maestro, hanno affrontato una parte del Vespro di Natale di Claudio Monteverdi, che della Cappella fu il nono Maestro, associando alcuni momenti strumentali di stacco di Biagio Marini.
Un viaggio nella musica del 1600 reso possibile non solo dalla sempre più alta qualità dei cantori e musicisti coinvolti, che fanno della qualità vocale un vanto portato in giro per l’Europa anche se alcune volte a discapito dell’intelligibilità testuale, ma anche dalla scelta di posizionare la stampa nello spazio sottostante alla cupola laterale della pianta a croce greca. Una posizione che preclude la vista di quanto avvenga oltre il transetto, producendo un misterioso effetto di generazione della voce al di là degli ori e dei marmi che lentamente si propaga di cupola in cupola fino ad arrivare all’orecchio.
Applausi ordinati per tutti i musicisti coinvolti.
Carlo Emilio Tortarolo
(15 & 20 dicembre 2023)
La locandina
15 dicembre | |
Direttore | Myung-Whun Chung |
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice | |
Programma: | |
Ludwig van Beethoven | |
Sinfonia n.6 in fa maggiore, op. 68 Pastorale | |
Igor Stravinskij | |
Le Sacre du printemps | |
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– | |
20 dicembre | |
Direttore | Marco Gemmani |
Cappella Marciana | |
Schola Cantorum Basiliensis | |
Programma: | |
Claudio Monteverdi | |
dalla Selva morale e spirituale: Vespro di Natale |
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