Zurigo: che gran pezzo d’Italiana
Aveva ragione Stendhal quando ebbe a definire l’Italiana in Algeri “una follia organizzata e completa”, cogliendo in una battuta il senso più intimo del primo grande capolavoro giocoso di Rossini.
Mettere in scena questa “pazzia”, composta da un Rossini ventunenne pare in soli ventisette giorni per il veneziano Teatro San Benedetto, è compito tutt’altro che facile in quanto il rischio di scivolare nel grottesco o, peggio, di cadere vittime di gag variamente becere è sempre in agguato.
La “follia organizzata” è nella musica ancor prima che nel libretto di Angelo Anelli, tra cambi di ritmo repentini e contrappunti arditi che sostengono un’orchestrazione caleidoscopica e soprattutto alle voci cui si richiedono continui funambolismi.
Non cadono in trappola Moshe Leiser e Patrice Caurier, navigata coppia di registi, nel riproporre alla Opernhaus di Zurigo il loro fortunato allestimento presentato per la prima volta nel 2018 al Festival di Salisburgo e che è un capolavoro..
L’azione si svolge ai tempi nostri, in una “Algeri” di periferia tra palazzoni punteggiati di parabole – le scene funzionalissime sono di Christian Fenouillat – e popolati da un’umanità ciarliera e alquanto litigiosa sulla quale spadroneggia una ghenga decisamente scalcinata di pirati in tuta da ginnastica – belli i costumi di Agostino Cavalca – capitanati da un Mustafà più ras che bey che guida una berlinona quasi rottame tanto da necessitare qualche spinta per partire.
Durante la sinfonia vanno in scena le avances di Elvira, moglie trascurata, nei confronti del bey sempre più infastidito dalla vita coniugale, il tutto sotto un quadro animato – il video parecchio divertente è di Étienne Guiol – nel quale una coppia di cammelli si corteggia in modo discretamente eloquente.
Da lì in poi l’idea registica di Leiser e Courier si dipana in un susseguirsi di trovate brillanti che finiscono per mettere in ridicolo gli stessi cliché cui in più di un’occasione è stato dato – e sarà dato, ahinoi – assistere.
La macchina teatrale è perfettamente oliata e corre sicura a tempo di musica tanto che i personaggi sembrano a tratti danzare e le dimensioni in questo caso ideali del teatro zurighese permettono di godere pienamente delle espressioni del viso degli interpreti.
Tra i cliché portati all’eccesso per poi scotomizzarli l’arrivo di Isabella a dorso di una cammello con evidenti problemi di meteorismo, i “pirati” dal grilletto facile intenti a trasportare televisori e computer rubati e i prigionieri italiani che si rivelano essere calciatori della Nazionale per i quali Taddeo allestisce una spaghettata pantagruelica che rievoca quella di Miseria e nobiltà.
Il punto più alto è sicuramente il quintetto “Ti presento di mia man …” costellato di tempi comici degni della miglior Commedia all’Italiana.
Funziona davvero tutto, si ride al momento giusto, senza forzature e senza caccole.
Se l’aspetto visivo convince del tutto, il versante musicale è entusiasmante grazie ad una direzione illuminata e un cast che un tempo si sarebbe definito “discografico.
L’impressione è quella di un gruppo di artisti in piena sintonia tra di loro che si divertono molto e rendono il pubblico partecipe e complice del loro divertimento.
Gianluca Capuano – e con lui l’Orchestra La Scintilla, che suona su strumenti d’epoca questa volta accordati su un diapason moderno a 440 – coglie nel profondo il dettato rossiniano e le sue “schizofrenie” rendendole all’ascolto attraverso una narrazione nella quale la tensione si mantiene sempre viva attraverso scelte dinamiche frizzanti ed un’attenzione costante al palcoscenico col quale trova un’intesa pressoché perfetta.
Un plauso ai corni naturali che non sbagliano un colpo e ad Esteban Dominguez Gonzalvo che al fortepiano accompagna con fantasia rigorosa i recitativi.
Cecilia Bartoli, eroina eponima, si conferma ad ogni ascolto interprete ideale del Belcanto e mattarice assoluta sulla scena, illuminando la sua Isabella di una fantasmagoria di accenti e rendendosi protagonista di una prova ancora una volta maiuscola alla quale si aggiunge una recitazione sempre calibrata.
Da incorniciare il Mustafà di Pietro Spagnoli, incardinato su una linea di canto di impeccabile fluidità e ravvivato da un fraseggio cesellato oltre che giocato con una recitazione mai forzata eppure partecipatissima.
Il Taddeo di Nicola Alaimo è una summa di vis comica e di canto, capace di godere di ogni nota e di ogni gesto e trasmettendo il tutto ai colleghi ed al pubblico con grazia e intelligenza.
Non è da meno Edgardo Rocha che affronta e supera brillantemente le vette impervie che Rossini ha immaginato per la tessitura di Lindoro e dimostrandosi una volta di più rossiniano di gran classe.
Bene il giovane bass-bariton russo Ilya Altukhov nei panni di un Haly impertinente al punto giusto così come davvero brave Rebeca Olvera come Elvira e Siena Licht Miller in veste di Zulma.
Le voci maschili del Chor der Oper Zürich, preparato da Ernst Raffelsberger si comportano benissimo.
Successo al calor bianco, col pubblico alla fine tutto in piedi ad applaudire per una decina di minuti e bis del coro finale.
Alessandro Cammarano
(6 gennaio 2024)
La locandina
Direttore | Gianluca Capuano |
Regia | Moshe Leiser, Patrice Caurier |
Scene | Christian Fenouillat |
Costumi | Agostino Cavalca |
Lighting designer | Christophe Forey |
Video designer | Étienne Guiol |
Drammaturgia | Kathrin Brunner, Christian Arseni |
Personaggi e interpreti: | |
Isabella | Cecilia Bartoli |
Mustafà | Pietro Spagnoli |
Lindoro | Edgardo Rocha |
Taddeo | Nicola Alaimo |
Haly | Ilya Altukhov |
Elvira | Rebeca Olvera |
Zulma | Siena Licht Miller |
Orchestra La Scintilla | |
Chor der Oper Zürich | |
Maestro del coro | Ernst Raffelsberger |
Fortepiano | Esteban Dominguez Gonzalvo |
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