Trieste: Bolena è un successo

Si diceva un tempo che Anna Bolena di Gaetano Donizetti su libretto di Felice Romani (Teatro Carcano, Milano, 1830) fosse opera per le voci. E le voci furono le protagoniste assolute della grande ripresa scaligera degli anni Cinquanta del secolo scorso che la riportò alla ribalta e al successo. Certo, erano voci di lunga gittata, Callas, Simionato, Raimondi tenore e Rossi Lemeni, che fecero di tutto per ben figurare in uno spettacolo monstre che siglava l’avvento del teatro di regia nella raffinatissima mise en scéne di Luchino Visconti. Al maestro concertatore e direttore spettava il compito di accompagnare al meglio divi e Divine, aiutandoli a emergere con sostanziosi tagli alla partitura del bergamasco.

Oggi, in epoca di teatro di regia, rivediamo con piacere sul palcoscenico del Teatro Verdi di Trieste lo spettacolo che il compianto Graham Vick arealizzò attorno alla presenza catalizzatrice di Mariella Devia per il Filarmonico di Verona, che a Trieste arrivò, sempre con la Devia, nell’ormai lontano 2012. L’allora Sovrintendente Giorgio Zanfagnin volle proporre al pubblico triestino le tre opere donizettiane della trilogia Tudor che nella città giuliana mai erano state riprese in epoca moderna e mise in cartellone, per tre stagioni consecutive, Roberto Devereux, Maria Stuarda e, per l’appunto, Anna Bolena, prima tappa donizettiana del trittico e prima fra le tre a essere riscoperta dalla cosiddetta Donizetti Renaissance.

Riascoltata oggi, in un’esecuzione davvero pregevole, ci fa riflettere però sull’importanza della figura del concertatore e direttore proprio, nell’economia di un allestimento oneroso com’è quello di un’opera lunga e complessa quale Anna Bolena.

Affidandola al valoroso Francesco Ivan Ciampa il Teatro Verdi ha compiuto, dopo le défaillances direttoriali dei primi due titoli di stagione, una scelta oculata.

Ciampa, che a differenza di Gavazzeni “tagliator cortese” esegue l’opera nella sua integralità, sa come ottenere il meglio sia dall’orchestra e dal coro stabili del Verdi, che suonano e cantano benissimo, sia dai solisti in palcoscenico. Sa come accompagnarli e come valorizzarne le qualità, rispettando le voci, naturalmente, ma anche una regia che ai cantanti chiede di essere soprattutto interpreti convincenti di personaggi passati alla storia.

In fondo, in Anna Bolena si canta molto, ma i fatti che vi si narrano sono quasi tutti avvenuti prima dell’alzarsi del sipario. Pur con qualche forzatura nelle scene iniziali lo spettacolo di Vick, qui ripreso con grande accuratezza da Stefano Trespidi assistito da Yamal Das Irmich, tiene conto di questa situazione e lo restituisce con fedeltà, aiutato in questo dalle scene mobili e dagli splendidi costumi di Paul Brown e da un calzante disegno luci.

Rivediamo con piacere i tableaux vivants da Vick immaginati per la sfortunata vicenda di Bolena e ci immergiamo, complici un’orchestra che trova colori inediti per una partitura che ne ha necessità, nella vicenda cui il coro, magnificamente preparato da Paolo Longo, assiste impotente.

Quanta alla compagnia che abbiamo ascoltato ha i suoi punti di forza nella Bolena sensibile ma, a tempo e luogo impetuosa, di Salome Jicia e nell’accorata Seymour di Laura Verrecchia.

Lo spetttacolo gioca molto sulla relazione ambigua fra le due rivali e le due artiste, belcantiste a tutta prova, la sanno restituire con autorevolezza. Il soprano georgiano, che abbiamo ritrovato in netto progresso rispetto ai suoi debutti pesaresi, evita con intelligenza di “fare la Callas” e si pone, piuttosto, sulla scia belcantistica della Devia, ma con maggiore sapienza scenica, un fraseggio mobile e sottile, un legato d’alta scuola e un uso magistrale di pianissimo e mezzevoci. Verrecchia, dal canto suo, replica colpo su colpo alla rivale con un’esecuzione in crescendo che nello scontro fra regine trova i suoi spunti migliori.

Non meno convincente si dimostra il Percy di Marco Ciaponi – nel 2012, ammalatosi Celso Albelo ci fu una ridda di sostituzioni – che domina un personaggio tenorile che si è sempre considerato, per la sua tessitura elevatissima, impossibile da cantare. Ciaponi lo risolve con la calma dei forti, svettando sì in acuto, ma anche fraseggiando con acume e restituendo alla perfezione la parola scenica donizettiana.

Scritta per un basso in declino, il grande Filippo Galli, la parte de tremendo Enrico VIII vede in Riccardo Fassi un interprete ancora acerbo vocalmente, ma scenicamente autorevole.

Quanto al paggio Smeton “en travesti” della russa Veta Pilipenko, le è restituita un’aria onerosa e generalmente soppressa, che il giovane mezzosoprano esegue con grande energia di suono e movimento.

La locandina è completata più che decorosamente dal Rochefort di Nicolò Donini e da Andrea Schifaudo che disegna un Sir Hervey giustamente subdolo e di buoni mezzi vocali.

Al termine delle tre ore abbondanti di spettacolo applausi alla protagonista, magnetica nella scena della pazzia, e a tutti gli altri artefici della serata. Il nostro palmarés lo attribuiamo però al Maestro Ciampa, perché – alla fine – Donizetti è anche un autore da direttori.

Rino Alessi
(26 gennaio 2024)

La locandina

Direttore Francesco Ivan Ciampa
Regia Graham Vick
Ripresa da Stefano Trespidi
Scene e costumi Paul Brown
Personaggi e interpreti:
Anna Bolena Salome Jicia
Lord Riccardo Percy Marco Ciaponi
Giovanna di Seymour Laura Verrecchia
Enrico VIII Riccardo Fassi
Smeton Veta Pilipenko
Lord Rochefort Nicolò Donini
Sir Hervey Andrea Schifaudo
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Maestro del Coro Paolo Longo

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