Pisa: una Bohème dagli esiti alterni

La Bohème, che tornava a Pisa dopo cinque anni precisi, si è presentata al pubblico in una veste di certo non memorabile, tuttavia munita di apprezzabili e lieti distinguo per le prove di orchestra, direttore e una manciata di interpreti. Togliamoci subito il dente avvelenato: l’idea registica di Cristina Mazzavillani Muti, in coppia con la sua realizzazione, ci è parsa solo brutta, inquietante, oppressiva, spesso sconnessa dal dramma musicale e sociale del libretto. Di fronte a ingenuità più o meno infelici e scene di un’oscurità quasi medioevale, a nulla è valso il pur nobile desiderio di risultare originali, caduto sostanzialmente nel nulla. La scenografia – composta da una scalinata e da pareti scorrevoli, regno di incessanti videoproiezioni – nel primo quadro marciava in direzione opposta alla musica, con immagini e colori bronzei, grigi, forse più adeguati ad una Norma, che alla malinconica leggerezza e vitalità sprigionate da un’orchestra briosa e appassionata. La situazione non migliorava nei quadri successivi, con il terzo totalmente dominato da un ipnotico ripetersi di nevischio proiettato sul buio: stucchevole. Il lavoro sui protagonisti, allo stesso modo, non andava oltre il routinier, con guizzi soprendenti verso l’inverosimile, come nell’ultimo quadro, quando una Mimì moribonda, e in sottoveste bianca (si vede che nella fretta si era dimenticata il resto), ha fatto irruzione in scena trascinandosi, stesa a terra, su per le scale, con un effetto a dir poco grottesco. Insomma, un raro orrore visivo.

Musicalmente le cose sono andate certamente meglio.

L’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini si è comportata molto bene, ricercando suoni puliti e nitidi, personali e compatti, uniti ad una varietà di colori non comune, da orchestra navigata. Merito, va detto, anche della direzione di Nicola Paszkowski, che se prima di tutto si è impegnato a trovare un buon equilibrio col palco, nient’affatto scontato, poi ha anche saputo imporsi come interprete, senza limitarsi a condurre in porto la recita: belle le ironiche atmosfere del primo quadro, limpide nel loro gelo quelle del terzo, intimo e commosso il dramma sonoro del quarto. Ben dirette pure le complesse scene che vedevano protagonista il Coro del Teatro Municipale di Piacenza, qui non al meglio delle sue note possibilità. Pregevole, infine, l’apporto del Coro di Voci Bianche Bonamici e della Banda della Società Filarmonica Pisana, efficacissima.

Il cast ha avuto esiti molto diversi: tra i migliori in campo, di certo, è risultato il soprano Elisa Verzier. Nonostante una vocalità leggera, meno drammatica di quel che ci si aspetterebbe per Mimì, la giovane cantante si è distinta per timbro piacevole, ottima emissione, sicurezza in acuto e bei pianissimi, nonché per limpidezza vocale, unita a buon fraseggio, bella dizione e recitazione. Festeggiatissima a fine recita.

Poco incisiva, con acuti opachi e talvolta gridati, la Musetta di Alessia Pintossi, comunque scenicamente disinvolta e molto applaudita.

Da rivedere il Rodolfo di Alessandro Scotto di Luzio: il personaggio non è emerso quasi per nulla, limitato da un’emissione che tendeva a gonfiare i suoni e distorcere i versi cantati. Gli acuti, poi, erano fin troppo avventurosi, con un vibrato stretto che penalizzava la voce in ogni registro: un Rodolfo bidimensionale, ahimè, sbiadito nel fraseggio e nelle dinamiche. Comunque applauditissimo.

Corretto il Marcello di Christian Federici, più soddisfacente nella resa scenico-attoriale che in quella vocale, non sempre a fuoco. Anche per lui un buon successo di pubblico.

Ottimi, quasi soprendenti per caratterizzazione, precisione, musicalità e bella vocalità, lo Schaunard di Clemente Antonio Daliotti e il Colline di Vittorio De Campo: il primo ha cantato una gustosissima scena “del pappagallo”, il secondo una Vecchia zimarra struggente e avvolgente.

Troppo macchiettistico il Benoit di Fabio Baruzzi, che avrebbe cantato anche bene se non fosse stato costretto a fingersi vecchio pure nella voce, storpiandola troppo spesso.

Bene, infine, l’Alcindoro/sergente dei doganieri di Graziano Dallavalle e il Parpignol di Ivan Merlo.

Mattia Marino Merlo
(2 febbraio 2024)

La locandina

Direttore Nicola Paszkowski
Regia e ideazione scenica Cristina Mazzavillani Muti
Costumi Manuela Monti
Luci Vincent Longuemare
Visual designer David Loom
Video programmer Davide Broccoli
Personaggi e interpreti:
Mimì Elisa Verzier
Musetta Alessia Pintossi
Rodolfo Alessandro Scotto di Luzio
Marcello Christian Federici
Schaunard Clemente Antonio Daliotti
Colline Vittorio De Campo
Benoît Fabio Baruzzi
Alcindoro Graziano Dallavalle
Sergente dei doganieri Graziano Dallavalle
Parpignol Ivan Merlo
Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Coro Teatro Municipale di Piacenza 
Maestro del coro Corrado Casati
Coro di Voci Bianche Bonamici 
Maestra del coro  Angelica Ditaranto
Banda della Società Filarmonica Pisana
Direttore Paolo Carosi

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