Verona: al Filarmonico la Rondine fa primavera

La rondine non fa una brutta fine. Segue il suo istinto e vola via, ovvero torna da dov’era venuta, com’è nella natura degli uccelli migratori. Trasferita nella mortifera galleria dei personaggi femminili di Giacomo Puccini, la metafora applicata al personaggio principale della più controversa partitura del lucchese delinea una circostanza assai poco comune nel suo teatro musicale, peraltro già delineata pochi anni prima nella Fanciulla del West. In quel caso era la nobiltà del sentimento a prevalere nella vittoriosa autoaffermazione di Minnie, in un contesto sociale ancora rudimentale e di frontiera, mentre questa volta la vicenda è ambientata nel fatuo, cinico e interessato bel mondo parigino e la protagonista incarna una tipologia umana e sociale ben nota ai melomani: è una mantenuta che ha la debolezza di “innamorarsi dell’amore”. Non ci saranno lezioni morali, non ci sarà riscatto a costo della vita. Semplicemente, Magda de Civry pianta in asso il compagno di illusioni sentimentali e torna, per così dire, al “travaglio usato”. Quello è il suo mondo e lei è autonoma nelle sue scelte, per quanto opinabili esse siano. Come ha scritto Virgilio Bernardoni nella più recente monografia su Puccini (il Saggiatore, 2023, collana “L’opera italiana”), «la più comune fra le donne del teatro pucciniano, senza traumi e nel tono di una garbata commedia sentimentale, riscatta l’universo femminile dalla sconfitta e dalla capitolazione al destino». Non è chi non veda la modernità “femminista” di questa impostazione: Magda decide di vivere la sua vita e proclama un “Io sono mia” ante litteram, agli antipodi del melodramma senza speranza che aveva fatto la grandezza e la fortuna del compositore.

Questo spiega, fra l’altro, perché gli studiosi più avvertiti colgano nella Rondine (Montecarlo, 27 marzo 1917) una sorta di clima metateatrale: giunto alla fase conclusiva della sua vicenda creativa (dopo, solo il Trittico verrà completato, mentre Turandot resterà come si sa incompiuta), Puccini non cessa di guardare alla modernità come fonte di ispirazione ma lo fa spesso in chiave citazionistica, di sé stesso e di altri autori. Compreso Richard Strauss, quando uno dei personaggi, nell’enumerare donne famose nella storia e nella letteratura, pronuncia la parola “Salome”.

Con adesione naturale e sofisticata alla principale moda musicale del momento, quella dei ballabili di qua e di là dell’Oceano Atlantico (così rivisitato il tradizionalissimo valzer di tradizione mitteleuropea e francese, esondante in tutta la partitura, ma sono presenti anche tango, polka, slow fox, one-step…), Puccini supera di slancio la scaturigine operettistica della commissione iniziale giunta da Vienna nel 1913. Nell’autunno dell’anno seguente, fra tutte le difficoltà causate dallo scoppio della Grande Guerra, è già in grado di chiarire definitivamente di quale natura sia il lavoro che ha fatto: «È un’opera leggera sentimentale e un poco comica – ma simpatica chiara e cantabile», scrive in una lettera. Il compositore è lucidamente consapevole della particolarità di questo lavoro, per il quale – sempre sull’onda di Fanciulla – disegna una tavolozza strumentale straordinaria, affidando all’orchestra un ruolo protagonistico che illumina di luce nuova sia l’usato canto di conversazione che le aperture melodiche sempre rigogliose, affidate alle voci con notevole libertà formale. E bisogna pur sottolineare quanto il compositore aggiunge nella lettera appena citata, indirizzata all’amica e confidente inglese Sybil Seligman: La rondine «è una specie di reazione alla musica ostica moderna». Reazione che peraltro non rinuncia all’armonia “orientale” delle scale pentatoniche e perfino in qualche passaggio a una certa disinvoltura tonale.

Nella “commedia lirica” su libretto di Giuseppe Adami, c’è spazio anche per lo sberleffo: gli studiosi concordano nel ritenere che la figura del poeta Prunier – componente con la cameriera Lisette della seconda coppia protagonista dell’esile plot, essendo naturalmente la prima quella formata da Magda e dall’amoroso Ruggero – sia una caricatura di Gabriele D’Annunzio, con il quale peraltro ogni tentativo di collaborare del musicista era in precedenza caduto miseramente. Un altro elemento “leggero”, ancorché a suo modo sofisticato, che in qualche modo contribuisce a fare della Rondine un’opera che si sottrae alle classificazioni di genere nel teatro musicale di primo Novecento. Il che può contribuire a spiegare il non facile percorso di un titolo che nemmeno le recenti rivalutazioni critiche hanno aiutato a uscire dal ruolo di “cenerentola” del catalogo pucciniano, nonostante appartenga alla piena maturità di Puccini.

Nel fervore per il centenario della morte, però, anche La rondine può trovare nuovo spazio. A Verona, ad esempio, eccola riapparire nella stagione del Teatro Filarmonico, 22 anni dopo la sua prima e unica presenza.

Il nuovo allestimento, in coproduzione tra Fondazione Arena e Fondazione Teatro Carlo Coccia di Novara, è firmato da Stefano Vizioli, che si avvale della collaborazione di Cristian Taraborrelli per le scene, di Angela Buscemi per i costumi e di Vincenzo Raponi per le luci. Spettacolo lineare ed essenziale, che ricostruisce con efficacia lo “spirito” di commedia parigina nel primo atto: un elegante interno con pochi arredi di design è dominato da un grande fondale in cui campeggia un nudo sdraiato che sembra alludere a Modigliani, fornendo quindi un raccordo fra gli Anni ’50 in cui il regista colloca la vicenda e l’epoca della nascita dell’opera. Meno intrigante, quanto ad immagine, l’atto che si svolge al Bal Bullier, con una grande testa femminile semovente come elemento di arredo caratterizzante e un po’ ingombrante.

Qui, le coreografie di Pierluigi Vanelli risultano funzionali al contesto. Nel finale, una stanza d’albergo di second’ordine è il luogo dove Magda si riprende infine la sua libertà, a costo di rinunciare all’amore sentimentale vagheggiato all’inizio, nonostante lo scherno del bel mondo. La libertà è nel cielo azzurro provenzale che occupa lo sfondo e illumina le schermaglie dei due amanti e della coppia “parallela” costituita dal poeta e dalla cameriera. In generale, assai ben curata la recitazione, con un tocco di ironico distacco nella narrazione che restituisce bene la caratteristica forse principale della partitura e “smonta” anche i passaggi (specie al terzo atto) in cui sembra prevalere il dramma. Assai ben coordinati con l’impostazione registica i costumi.

Sul podio è salito Alvise Casellati, sollecito nell’evitare languori ed eccessive pesantezze grazie ad un fraseggio di apprezzabile leggerezza, non sempre nitidissimo nell’atto da Bullier, musicalmente complesso nell’intersecarsi dei ritmi ballabili, ma comunque in grado di misurare appropriatamente le dinamiche e tratteggiare con gusto i colori. Precisa in tutte le sezioni l’orchestra dell’Arena.

Di notevole risalto la prova di Mariangela Sicilia nel ruolo di Magda, risolto con elegante scelta stilistica in equilibrio fra lirismo e distacco, non senza le appropriate accentuazioni drammatiche nell’ultimo atto. Il soprano calabrese ha timbro espressivo, ben articolato, e la sua linea di canto ha illuminato bene le caratteristiche del personaggio, dalla superficialità inziale alla maturità acquisita alla fine.

Al suo fianco, meglio l’irruenta Eleonora Bellocci nei panni della cameriera Lisette, interpretata con leggerezza mai banale, del manierato Ruggero (l’amante di Magda) disegnato dal tenore Galeano Salas e dell’ironico poeta Prunier proposto da Matteo Roma, bravo in scena e musicalmente consapevole, ma non del tutto a suo agio nella zona alta della tessitura.

Nel folto gruppi dei comprimari in prima fila il Rambaldo di Gëzim Myshketa, sussiegoso e superficiale come richiede la parte del banchiere che mantiene Magda. Gli altri, tutti precisi e disinvolti in scena, erano Amelie Hois (Yvette/Georgette da Bullier), Sara Rossini (Bianca/Lolette), Marta Pluda (Suzy/Gabrielle), Gillen Munguia (Gobin/Adolfo), Renzo Ran (Perichaud/Rabonnier) e Carlo Feola (Crebillon/il maggiordomo).

Il coro dell’Arena, istruito da Roberto Gabbiani, ha cantato e si è mosso nel secondo atto con brillante partecipazione.

Alla prima molti applausi a scena aperta e vivi consensi alla fine per tutti.

Cesare Galla
(18 febbraio 2024)

La locandina

Direttore Alvise Casellati
Regia Stefano Vizioli
Scene Cristian Tarraborrelli
Costumi Angela Buscemi
Coreografia Pierluigi Vanelli
Luci Vincenzo Raponi
Personaggi e interpreti:
Magda Mariangela Sicilia
Lisette Eleonora Bellocci
Ruggero Galeano Salas
Prunier Matteo Roma
Rambaldo Gëzim Myshketa
Yvette/Georgette Amelie Hois
Bianca/Lolette Sara Rossini
Suzy/Gabrielle Marta Pluda
Orchestra e coro dell’Arena di Verona
Maestro del coro Roberto Gabbiani

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