Diego Ceretta: «Mi piace sempre partire dal testo»

Protagonista dell’appuntamento del 6 marzo, prossimo alle ore 20:45, per la Società dei Concerti di Milano, sarà Diego Ceretta, alla guida dell’Orchestra della Toscana. Il giovane direttore milanese torna nella Sala Verdi della sua città assieme alla compositrice, pianista e scultrice Lera Auerbach, che si esibirà sia in veste di pianista che di compositrice (il programma, infatti, comprende un brano suo e due di Mozart). Ceretta viene da una famiglia di musicisti: papà fagotto nell’orchestra dei Pomeriggi musicali di Milano, mamma flautista, sorella pianista. Come dire, un predestinato e nulla più? Ne abbiamo parlato con lui.

  • Figlio d’arte, vero, ma quando e come è nata la “sua” passione per la musica?

La musica è sempre stata di casa nella mia famiglia ed era inevitabile che in un modo o nell’altro il suo fascino finisse col rapirmi.

È difficile per me ricordare quando è scattata la scintilla, i miei genitori mi hanno sempre raccontato che fin da piccolissimo (a circa due anni) desideravo tanto avere un violino tra le braccia e tutto è nato così, quasi per gioco.

Quello che ricordo benissimo, però, è l’entusiasmo che mi suscitava ogni concerto che andavo a sentire di mio padre, ritornavo a casa con tanta voglia di suonare e di studiare.

  • Che ci racconta della sua carriera di violinista?

È stato un percorso meraviglioso, che tengo stretto con grande affetto, fortunatamente è sempre stato un viaggio molto consapevole e mirato, con l’obiettivo di poter suonare da sempre in orchestra.

Di fatto la mia esperienza orchestrale è stata la costante di tutta la mia formazione violinistica, a partire dai complessi giovanili quasi infantili fino ai gruppi giovanili “maturi”, affrontando il grande repertorio per orchestra. Questa esperienza è quella che ancora oggi tengo molto stretta anche nel mio ruolo da direttore d’orchestra.

  • Dal violino alla direzione d’orchestra: quando è scattata la molla della scelta? Qual è stato il primo concerto che ha diretto?

La scelta definitiva è scattata intorno ai vent’anni, ma prima, per circa tre anni, ho portato avanti entrambi i percorsi. Mi sono reso conto però che dovevo e volevo scegliere, per potermi focalizzare su una strada ed investirci sopra con tutto me stesso.

Il primo concerto che ho diretto è stato piuttosto precoce, a 19 anni in una chiesa nel bresciano: in programma un brano contemporaneo per violino e archi, il Concerto di Mozart in re maggiore per violino e orchestra ed infine la Prima sinfonia di Beethoven, uno di quei concerti che certamente ricorderò per sempre.

  • Chi sono stati i suoi sostenitori e maestri e a chi si ispira?

Ho sempre avuto la fortuna di incontrare Maestri che in generale mi hanno sostenuto, stimato e provavano sincero affetto nei miei confronti.

A tutti i miei Maestri devo un pezzo della mia formazione e dello sviluppo della mia persona, sia come artista che come uomo.

Inizio quindi dai miei genitori che mi hanno sempre insegnato il valore etico necessario a servire questa professione, per poi passare a Fulvio Luciani, Daniele Parziani, Gilberto Serembe, Elisabetta Brusa, Daniele Agiman, Luciano Acocella e Daniele Gatti.

Sono riconoscente a tutti loro per l’importanza che hanno avuto nella mia formazione e sono sempre dei fari a cui faccio riferimento.

  • Come si pone davanti alle partiture che deve dirigere? Che approccio di lettura ha?

Mi piace sempre partire dal testo. Cerco di “ripulirmi” da quello che ho già interiorizzato con l’ascolto frequente di certi brani per provare sempre ad avere un approccio fedele a ciò che è scritto in partitura. Non amo interpretare i brani in un determinato modo perché “si fanno così” o perché li ho sempre ascoltati in quella maniera, la chiave di lettura voglio trovarla di volta in volta.

  • Quali sono gli autori che preferisce?

In assoluto Beethoven. Poi certamente Mozart, Mendelssohn, Schumann, Brahms, Wagner, Bruckner, Mahler e Verdi.

  • Più la sinfonica o la lirica?

Entrambe, sono repertori comunicanti, che permettono di arricchire l’uno con l’esperienza dell’altro.

  • Qui a Milano è alla guida dell’Orchestra della Toscana, compagine d’eccellenza della quale è diventato direttore musicale da pochi mesi. Ci racconta come è nato questo rapporto con l’ORT?

Tutto è nato con una produzione estiva nelle Ville Toscane circa un anno e mezzo fa, fu una serie di sette concerti che ci mise alla prova ma che ci permise anche di conoscerci bene. Da lì poi subito un altro concerto in stagione per l’appuntamento di Carnevale e infine la nomina.

Sarà scontato e banale dirlo, ma il rapporto che si è instaurato fin da subito è stato fantastico e ogni volta che ci trovavamo a ripetere un programma in una nuova cornice cercavamo di alzare sempre l’asticella.

  • Oltre alla classica le piacciono altri generi musicali?

Onestamente oggi ascolto poca musica al di fuori di quella classica, è talmente variegata che mi permette di avere tutto ciò che cerco.

  • Rispetto ai suoi coetanei, aver raggiunto in età così giovanile un traguardo come il suo ha comportato e comporta sacrifici, professionali ma anche personali?

Certamente, fin da piccolo. Ricordo bene alle elementari, i miei compagni andavano in gita fuori porta oppure alle feste di compleanno, spesso io e mia sorella invece rimanevamo a casa per studiare o per i concerti. Alla fine però, questi sacrifici hanno sempre ripagato, non tanto per i traguardi, ma anche solo per la bellezza del poter fare musica.

  • Oltre alla musica ha altre passioni?

Sì, un esempio è l’orologeria meccanica. Adoro gli orologi e il loro mondo, è sempre incredibile guardare i loro movimenti e la loro complessità.

  • Da giovane ai giovani: come avvicinarsi alla classica senza pregiudizi e finendo con l’apprezzarla?

La risposta è già nella domanda, eliminando i pregiudizi. La musica classica non è “vecchia”, non respinge e non pretende di insegnare nulla, è esattamente l’opposto.

Il consiglio che mi sento di dare è quello di venire ad un concerto con curiosità e con disponibilità, più ti lasci rapire dalla musica e più lei ti ripagherà.

In una sala da concerto puoi vivere anche esperienze uniche, scopri per esempio che il tuo corpo vibra insieme a ciò che viene suonato sul palcoscenico, e che di fatto diventi uno “strumento musicale” insieme agli altri spettatori.

  • Il 6 marzo una grande soddisfazione: debutta nella sua città con la sua orchestra. Come si sente?

Tremendamente emozionato. Un’emozione bella però, il mio ultimo concerto a “casa” è stato nel 2019 con l’orchestra dei Conservatori di Milano e Torino per il Festival MiTo, oggi torno con la mia orchestra e con tante esperienze nel mio bagaglio. Davvero, non vedo l’ora!

Donatella Righini

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