Piacenza: una Turandot minimalista

Nel centenario della morte di Giacomo Puccini la Fondazione Teatri di Piacenza mette in scena Turandot in coproduzione col Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena, Teatro Alighieri di Ravenna e Teatro Galli di Rimini.

L’ultimo capolavoro pucciniano, rimasto incompiuto causa la morte prematura in seguito a un intervento fallimentare e terminato da Franco Alfano, è un’opera che segna la fine di un’epoca, quella del melos italiano e, per innovazioni iformali e musicali, spalanca le porte verso il teatro di avanguardia. Tuttavia lo sperimentalismo di Puccini, che fonde passato e presente, non ha seguito nelle generazioni successive, tuttavia ritrova una sua collocazione nella produzione della musica cinematografica.

Il primo atto ne è esempio. Temi epici si alternano ad accordi dissonanti e compulsivi fioriti da timbri metallici, che dipanano un flusso narrativo di particolare impatto sonoro, complice un’orchestrazione raffinatissima che pare riassumere e rifondere le esperienze precedenti del compositore lucchese.

La penna di Puccini cade dopo il finale della morte di Liù, punto in cui Arturo Toscanini depose la bacchetta alla prima scaligera nell’aprile del 1926, dopodiché a partitura assume un’altra tinta, nonostante il tentativo da parte di Alfano di inserirsi nelle intenzioni dell’autore.

Turandot è un’opera monumentale, nonostante abbia in sé momenti di puro intimismo poetico, ricca di contrasti, atmosfere simboliste e una drammaturgia che, se ben gestita, può essere apprezzata anche in un contesto minimalista.

È il caso di questa produzione la cui regia, coreografia, scene e luci affidate a Giuseppe Frigeni nella ripresa di Marina Frigeni, spoglia la vicenda dell’apparato favolistico cinese di stampo oleografico per mirare all’essenza.

Una scena geometrica con una grande scalinata e fondali nitidi fanno da cornice alla vicenda. Ai lati è schierato il coro, un po’ troppo in secondo piano per il ruolo che dovrebbe avere sopratutto nel primo atto.

I costumi, firmati da Amélie Haas, riproducono una Cina antica e, se ben caratterizzano i ministri Ping, Pong e Pang, al contempo penalizzano l’aspetto eroico e sentimentale del Principe Ignoto.

Al minimalismo scenico si inserisce la direzione di Marco Guidarini che cura con gesto geometrico l’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini, facendo trasparire più l’aspetto strutturale della partitura anziché quella trascinante passionalità tipica di una scrittura da colossal cinematografico. Va da se che in alcuni punti topici viene spesso a mancare quel climax emozionale che lo stesso Puccini prescrive tramite una scrittura che si espande in ondate di puro desiderio e abbandono, insite in una drammaturgia che alterna tenui sentimenti con eccessi esplosivi.

Anche la compagine vocale risulta maggiormente controllata a partire dal soprano canadese Leah Gordon la cui vocalità inespressiva, spesso compromessa da una dizione non sempre felice, non da vita all’evoluzione psicologica e sentimentale di Turandot.

Al suo fianco Angelo Villari, rispetto alla prova maiuscola del Trovatore andato in scena nella scorsa stagione piacentina, risulta vocalmente un po’ affaticato, tuttavia scolpisce con perentorie intenzioni la parte di Calaf senza mai però abbandonarsi al carattere estremamente romantico del personaggio.

Sulla stessa linea è la Liù di Jaquelina Livieri, ferma e completamente deprivata di quel pathos che anima la piccola schiava innamorata e fedele, non si abbandona mai a quel lirismo poetico che richiede la parte.

Eccellenti Fabio Previati, Saverio Pugliese e Matteo Mezzaro nelle parti di Ping-Pong, ben caratterizzati e ottimi nella dizione così come si distingue per sonorità timbrica il Timur di Giacomo Prestia. In parte l’Imperatore Altoum di Raffaele Feo e il Mandarino di Benjiamin Cho.

Bene il resto del cast e le Voci bianche del Teatro Comunale di Modena istruito dal maestro Paolo Gattolin.

Buona la prova del Coro Lirico di Modena e del Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretti dal maestro Corrado Casati sebbene la massa corale sia risultata troppo squadrata e presente con non pochi scollamenti con l’orchestra laddove in alcuni punti del primo atto la scrittura dovrebbe farsi più vaga.

Tutto sommato una buona recita accolta positivamente dal pubblico, senza però tributi eccessivi.

Il minimal può essere un’ottima chiave ma le emozioni musicali vanno liberate.

Gian Francesco Amoroso

(22 marzo 2024)

La locandina

Direttore Marco Guidarini
Regia, coreografia, scene e luci Giuseppe Frigeni
Ripresa di Marina Frigeni
Collaborazione artistica alla regia e alla coreografia Marina Frigeni
Costumi Amélie Haas
Personaggi e interpreti:
La principessa Turandot Leah Gordon
L’imperatore Altoum Raffaele Feo
Timur Giacomo Prestia
Il principe ignoto – Calaf Angelo Villari
Liù Jaquelina Livieri
Ping Fabio Previati
Pang Saverio Pugliese
Pong Matteo Mezzaro
Un Mandarino Benjamin Cho
Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini
Coro Lirico di Modena – Coro Del Teatro Municipale di Piacenza
Maestro del coro Corrado Casati
Voci Bianche del Teatro Comunale di Modena
Maestro delle voci bianche Paolo Gattolin

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