Trieste: Sciortino e i Solisti della Scala danno il bentornato a Poulenc
Anticipato dal brano in programma nel concerto di Ettore Pagano e Maximiliano Kromer, è finalmente arrivato a destinazione “Bentornato, Monsieur Poulenc!”, l’appuntamento di lunedì scorso, al Teatro Verdi, in cui la gloriosa Società dei Concerti di Trieste ha reso omaggio, con una serata speciale, al grande Poupol, – così Poulenc era chiamato dagli amici, – e al legame particolare che unisce questo grande musicista parigino a Trieste e allo storico sodalizio triestino. Che, va affermato a suo onore, seppe fruttuosamente coltivare, e ancor oggi sviluppa, importanti rapporti con i compositori della contemporaneità.
A eseguire il programma dedicato integralmente alle musiche di Poulenc, e che prevedeva alcuni dei brani più accattivanti della sua produzione da camera per fiati e pianoforte, erano Orazio Sciortino, pianista e compositore, uno dei più brillanti talenti musicali contemporanei, e i Solisti del Teatro alla Scala, una formazione nata da un’idea di Riccardo Muti, in cui le prime parti Soliste dell’orchestra del Teatro alla Scala e dell’omonima Filarmonica si combinano in varie formazioni a seconda del repertorio proposto.
La storia dunque: la Società dei Concerti di Trieste ebbe ospite l’eccentrico e geniale Poulenc, grande protagonista della musica del Novecento, per ben due volte. Nel 1940, al Teatro Nuovo, Poulenc fu invitato a partecipare alla diciottesima stagione di SdC per accompagnare al pianoforte il grande tenore (e poi baritono) Pierre Bernac in un repertorio quasi integralmente francese. Duparc, Debussy e Ravel si alternavano a brani di Mario Labroca e Virgilio Mortari, su testi, rispettivamente, di Giorgio Vigolo e Diego Valeri, con una sezione dedicata a Poulenc
L’avvenimento che lo legò ancor di più alla città di Trieste fu la rappresentazione, al Teatro Verdi nel 1957 – secondo teatro italiano dopo la Scala -, di Les dialogues des Carmélites (I dialoghi delle carmelitane), nella versione italiana di Flavio Testi, il lavoro drammatico certamente più ambizioso e complesso se non il più originale del musicista parigino. La prima triestina fu mediata da Raffaello de Banfield, all’epoca già nel già nel consiglio d’amministrazione della Società dei Concerti, amico di Poulenc, che scese a Trieste ad assistere ammirato allo spettacolo di Franco Enriquez, diretto da Oliviero De Fabritiis. Poulenc ritornò ancora alla Società dei Concerti nel 1962 – accolto tra l’altro trionfalmente dalla folla al suo arrivo alla stazione di Trieste – quando accompagnò al pianoforte la sua Musa ispiratrice, il soprano Denise Duval, in un repertorio esclusivamente francese e con la prima esecuzione a Trieste, in versione da concerto, de La voix humaine (La voce umana), su testo di Cocteau. La tragédie lyrique che si consuma nel corso di una telefonata fu rappresentata successivamente, sei di anni dopo la prima della Società dei Concerti, al Teatro Verdi nella forma scenica con orchestra e in versione italiana, protagonista Magda Olivero. Un’altra presenza di Poulenc a Trieste è legata, sempre nel 1962, un anno prima di morire, alla sua partecipazione, non un momento di gloria per lui, alla giuria internazionale del Premio di composizione “Città di Trieste”.
È un percorso musicale frastagliato quello di Poulenc, la cui musica Cocteau definiva “priva delle nuvole impressioniste e dei turgori romantici, leggera e vivace, graffiante ma non troppo, aliena alle forme accademiche, attenta alle prospettive cubiste e surrealiste”. Da sempre bersaglio di ogni avanguardia, da cui si tenne lontano, Poulenc non è totalmente ascrivibile nemmeno al neoclassicismo, in cui lo collocano l’amicizia con Cocteau e Stravinskij e il Gruppo dei Sei di cui fece parte.
Il concerto di SdC ha quindi ripercorso a volo d’uccello alcune tappe di quello che è stato un percorso, discontinuo ma geniale, e si è concentrato sulla musica da camera per fiati e pianoforte consentendo di rivedere l’immagine che abbiamo di Poulenc e della sua musica che coniuga sapientemente lievità e malinconia. Non a caso è un “Allegro malinconico” che ha aperto la prima Sonata in programma, quella per flauto FP 164 (magnifico Andrea Manco), la sua pagina più famosa, dedicata alla memoria della mecenate statunitense Elizabeth Sprague Coolidge.
Meno conosciute ma meritevoli di esserlo come il concerto ha dimostrato, le Sonate per clarinetto e per oboe del 1962, eseguite splendidamente da Fabrizio Meloni e da Fabien Thouand, quest’ultimo perfetto nella sorprendente conclusione in una accorata déploration, e la più breve Elegie del 1957, per corno (l’ottimo Emanuele Urso) e pianoforte, in memoria del grande Dennis Brain. A una prima parte governata a dovere dal pianismo delicato di Orazio Sciortino è seguita la seconda in cui Sciortino e i suoi colleghi scaligeri hanno affrontato brani che risalgono agli anni della gioventù di Poulenc, come il Trio per oboe, fagotto (Gabriele Screpis) e pianoforte, considerata la prima grande opera da camera di Poulenc, che nel pieno della sua notorietà scrisse il Sestetto FP 100, dedicato al curatore del Louvre, Georges Salles, in cui il palcoscenico ha accolto tutti gli esecutori in cartellone e ha chiuso in modo divertente e piacevole giocando sul ritmo e sul colore una serata cui il pubblico ha aderito con piacere. Tanto più che per ricreare l’atmosfera anni Sessanta evocati dal concerto, davanti al Teatro Verdi è stata organizzata un’esposizione di auto d’epoca in collaborazione con il Club 20.
Rino Alessi
(6 maggio 2024)
La locandina
Pianoforte | Orazio Sciortino |
I Solisti del Teatro alla Scala | |
Flauto | Andrea Manco |
Oboe | Fabien Thouand |
Clarinetto | Fabrizio Meloni |
Corno | Emanuele Urso |
Fagotto | Gabriele Screpis |
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