Genova: grandi applausi per il Corsaro

Ben dodici applausi a scena aperta hanno punteggiato, al Teatro Carlo Felice di Genova, la recita alla quale abbiamo assistito di un’opera verdiana di raro ascolto, Il corsaro: i battimani entusiastici, pur a volte spensieratamente fuori luogo nel mangiarsi battute di musica e interrompere l’azione scenica, hanno dimostrato il vivo apprezzamento del pubblico nei confronti non solo del tenore genovese Francesco Meli, profeta in patria, ma anche degli altri interpreti principali. Alla fine, ovazioni per tutti, dal direttore Renato Palumbo ai cantanti impegnati nei ruoli minori, dal Coro Opera Carlo Felice con il suo Maestro Claudio Marino Moretti all’Orchestra, fino ai mimi schermidori ottimamente preparati dal celebre maestro d’armi Renzo Musumeci Greco.

Tutti, in effetti, hanno dato il meglio nella ripresa dello spettacolo che il Carlo Felice coprodusse nel 2004 con il Teatro Regio di Parma. L’allestimento firmato da Lamberto Puggelli per la regia (qui ripresa da Pier Paolo Zoni), per le scene da Marco Capuana e per gli eleganti costumi da Vera Marzot fu dato in quell’anno a Parma, l’anno successivo a Genova, dove in questi giorni è riproposto per la prima volta da allora.

Il mare, che è una presenza viva in città, si insinua sul palcoscenico: tutto, nello spettacolo, si svolge sulla tolda di una nave che incorpora i vari ambienti, la torre dove vivono Corrado e l’infelice Medora sua amante, l’harem di Seid, pascià di Corone nel Peloponneso, il porto della città dove Seid fa festa con i suoi guerrieri. L’intelligente soluzione scenica anima l’azione con cambi di vele, barriere di cime sospese, effetti di luce molto efficaci (a opera di Maurizio Montobbio) e riduce via via gli elementi a vista fino a lasciare solo la lunga scala che Corrado salirà, nel finale, con l’intento di uccidersi gettandosi in mare.

L’opera è tratta dall’omonimo poemetto di George Byron, che già in precedenza Giuseppe Verdi aveva preso in considerazione e che fu ridotto in libretto da Francesco Maria Piave. Qualche anno prima, il compositore si era rivolto a un verse play del poeta inglese per I due Foscari, ma fin dall’inizio del lavoro su The Corsair Verdi se ne disamorò, in gran parte per il guastarsi dei rapporti con l’editore Lucca e con lo stesso Piave, ma forse anche per una perdita di interesse nei confronti del soggetto byroniano; il compositore non intervenne quasi nel testo del librettista, a differenza di quanto era solito fare, e dimostrò apertamente la sua scarsa considerazione per Il corsaro evitando di partecipare alla prima, che si tenne al Teatro Grande di Trieste il 25 ottobre 1848. Le recite furono pochissime, preludendo al successivo lungo oblio dell’opera. Sul podio c’era Giuseppe Alessandro Scaramelli e non lo stesso Verdi, che era solito invece dirigere le sue opere nuove e che, in seguito, del Corsaro non volle più sentir parlare. Erano i cosiddetti «anni di galera» e nuovi progetti incombevano, in particolare Luisa Miller che fu rappresentata per la prima volta nel 1849.

In effetti, anche se il genio del grande operista brilla nella partitura e le dà ritmo teatrale e tenuta, dal punto di vista drammaturgico l’opera è scarsa, com’è stato più volte rilevato. Non si sa quale tragico avvenimento abbia sconvolto la vita di Corrado e l’abbia spinto verso la guerra di corsa e uno status di violento mercenario, anche se non di fuorilegge. Nulla vien detto della sua amante Medora, che a quanto pare passa tutta la vita a soffrire perché teme di perderlo. Riguardo al rapporto tra il pascià turco Seid e la sua «schiava protetta» Gulnara si è al corrente solo del fatto che lui l’ha rapita e la ama, mentre lei lo detesta.

I punti principali della trama si possono riassumere in poche righe: dopo aver salutato Medora che lo supplica di non partire, Corrado, sicuro della vittoria contro Seid, si presenta travestito al suo cospetto per introdursi di nascosto nel campo del nemico; i corsari suoi sottoposti, però, sono sconfitti dopo che hanno assaltato le navi turche, causando un pericoloso incendio. Il capitano dei corsari è scoperto e imprigionato; Gulnara, che si è invaghita di lui suscitando la gelosia di Seid, lo salva, dopo aver ucciso fin troppo facilmente l’odiato pascià, e lo accompagna da Medora che nel frattempo si è avvelenata perché convinta che l’amato sia morto; Medora spira tra le braccia di Corrado mentre Gulnara la compiange. Tutto qui.

In più, i personaggi sono stereotipati e non c’è traccia di approfondimento psicologico: il corsaro è temerario e un po’ stolido nella sua cocciutaggine, la sua amante palpitante e inconsistente, il potente musulmano crudele e sanguinario, la donna rapita vendicativa fino all’omicidio, che però, siccome lei è pur sempre femmina e sensibile, la lascia un po’ turbata.

Una vicenda a due dimensioni, senza spessore e senza scavo, che la regia di Puggelli riesce comunque a sostenere in modo convincente, grazie anche a momenti molto spettacolari come la lotta a colpi di spada tra corsari e turchi.

Ma a decretare il grande successo genovese hanno contribuito in massima parte gli interpreti. Il tenore Francesco Meli, voce piena, ben timbrata e sempre attentamente controllata, ha disegnato benissimo un Corrado spavaldo, sempre impavido, piegato solo dal ricordo del misterioso dramma del passato e dalle sofferenze, con relativa triste fine, di Medora; questa era interpretata dal soprano russo Irina Lungu in modo felice, in particolare per la sua capacità di dare alla linea vocale, pur nella puntualità, una delicatezza quasi evanescente. Il baritono Mario Cassi appariva così piacente e aristocratico, tanto nella figura del pascià quanto nel canto, da spingere a chiedersi come mai Gulnara non ci facesse un pensierino. Quest’ultima, infine, il soprano russo Olga Maslova, reduce dalla recente Turandot al Maggio Musicale Fiorentino, ha sciorinato qualità vocali e interpretative di prim’ordine, con una voce non potentissima ma solida d’impianto, duttile e sicura nel registro acuto.

Sul podio c’era Renato Palumbo, come alla prima parmense di vent’anni fa. Direttore di lunga e ampia esperienza in campo verdiano, ha offerto del Corsaro una lettura convinta e convincente, regolando con grande cura la temperatura drammatica e sottolineando con sensibilità situazioni e caratteristiche dei personaggi. Nelle Note di direzione del programma di sala, Palumbo scrive: «In una storia povera di narrativa ma ricca di arie, cabalette, duetti, concertati e declamati stentorei, il mio compito sarà quello di sottolineare lo stato d’animo dei personaggi, di evidenziarne il carattere e le motivazioni, ricreando nella concertazione in orchestra le atmosfere dolenti di Medora e Corrado, gli accenti virili e aggressivi di Seid, il canto incalzante e seduttivo di Gulnara, che Verdi coniuga con il suo solito e ineffabile talento». Compito svolto con onore.

In gran forma l’Orchestra, così come il Coro, per un’opera non priva di pecche ma che, se rappresentata con le giuste componenti, funziona e non manca di avvincere il pubblico.

Patrizia Luppi
(19 maggio 2024)

La locandina

Direttore Renato Palumbo
Regia Lamberto Puggelli
ripresa da Pier Paolo Zoni
Scene Marco Capuana
Costumi Vera Marzot
Maestro d’armi Renzo Musumeci Greco
Luci Maurizio Montobbio
Personaggi e interpreti:
Corrado Francesco Meli
Medora Irina Lungu
Seid Mario Cassi
Gulnara Olga Maslova
Selimo Saverio Fiore
Giovanni Adriano Gramigni
Un eunuco Giuliano Petouchoff
Uno schiavo Matteo Michi
Mimi  Andrea Barbagallo, Pietro Desimio, Francesco Bianchini, Emiliano Mondini, Giulio Venturini, Davide Riminucci, Andrea Bagossi, Samuel Moretti
Orchestra, Coro e Tecnici Opera Carlo Felice Genova
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti

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