Firenze: Gatti fa rinascere Tosca
Tante sono le eroine pucciniane, donne dal destino tragico protagoniste delle sue opere. Nell’anno del centenario dalla morte del compositore toscano, dopo la ripresa della storica Turandot datata 1997, il Teatro del Maggio ha proposto Tosca in un nuovo allestimento (5 recite, dal 24 maggio all’8 giugno), con la direzione musicale di Daniele Gatti e la regia di Massimo Popolizio.
La lettura di Gatti ha colpito molto positivamente: distante dalle sfumature veriste che molto spesso si sentono, ha messo in evidenza, in maniera cristallina e con fraseggi ben dosati, tutta la tavolozza sonora e ha creato fra cantanti e orchestra un dialogo continuo. Gli strumenti – grazie all’ esecuzione di un’orchestra brava come sempre, ma in questo caso si potrebbe dire in stato di grazia – cantavano insieme a loro, raccontavano con i suoni la storia e tutte le sue emozioni.
E a questo processo di simbiosi si è unito l’elemento registico. Nonostante l’ambientazione negli anni ’30 non sia niente di nuovo, la scelta di Popolizio con le scene geniali di Margherita Palli – coppia formatasi con Ronconi, qualcosa vuol dire – hanno sortito effetti molto originali. Nel primo atto, con un ambiente che rievoca una chiesa ma anche strutture architettoniche fasciste, l’aspetto duplice sacro/profano che permea la narrazione era evidente a colpo d’occhio. Popolizio ha detto di essersi ispirato al film Il conformista di Bertolucci perché la partitura pucciniana offre molti spunti cinematografici. Vero.
E citiamo, come esempi, per il primo atto le provocazioni sensualissime di Tosca a Mario, o il contrasto realizzato dal comportamento di Scarpia che entra per sentire il Te Deum e protesta perché i bambini fanno baccano in chiesa, mentre i suoi scagnozzi stanno fumando. Molto intelligente la scelta nel secondo atto di usare la radio come mezzo per far sentire la cantata in cui Tosca è solista e che Scarpia ascolta a distanza (si legge nel libretto “dall’aperta finestra odesi la Cantata eseguita dai Cori nella sala della Regina”); l’interior design della stanza di Scarpia con oggetti così macabri; oppure lo svelare la stanza delle torture solo dopo che Mario è svenuto. Ma anche la scena dell’assassinio è ben introdotta. Nel terzo atto ha un effetto molto cinematografico il dialogo fra Cavaradossi e Tosca, in cui si percepisce che Mario non crede all’esecuzione simulata, ma finge di crederci per far contenta lei, la sua amatissima.
E, ultimo esempio che scegliamo della felice regia dagli spunti filmici, l’esecuzione di Cavaradossi con un colpo di pistola alla tempia prima ancora che partano i colpi di fucile. E che dire della scena che si apre, che fa comparire la scala da cui Tosca si butta con il suo intenso “O Scarpia, avanti a Dio!”.
Scene, ma anche costumi ben scelti, di Silvia Aymonino, anche per dare a volte risalto – come per Scarpia – alla deviazione morale del personaggio, depravato e crudele anche sotto abiti elegantissimi, oppure alla bellezza e sensualità di Tosca.
Nella felicissima miscela di musica e regia, le voci dei tre ruoli principali sono state un’altra perla assai preziosa, a partire da Vanessa Goikoetxea, soprano ispano-americano, vera rivelazione, dalla presenza vocale e scenica sensuale e raffinata, attrice oltre che cantante sopraffina, la cui vocalità non sempre “corposa” è stata valorizzata da Gatti, in momenti anche topici come l’aria “Vissi d’arte”, eseguita in tempo lento, con sonorità delicate, filati intensi e con grande fiato. Toccante. In tutta l’opera è stata la regina assoluta, per la duttilità vocale mostrata e per l’arte scenica.
Anche Piero Pretti ha offerto un ottimo Cavaradossi, con tinte più da innamorato che da rivoluzionario, in linea con la scelta musicale più novecentesca di Gatti.
Aleksey Markov ha già trionfato come Scarpia in molti teatri del mondo e ha confermato la sua adeguatezza al ruolo, che ha reso la triade dei protagonisti apprezzatissima dal folto pubblico ovante.
Ma anche gli altri sono stati degnissimi interpreti: da Gabriele Sagona (Angelotti) a Matteo Torcaso (Sagrestano), Oronzo D’Urso (Spoletta), Dario Giorgelè (Sciarrone), Cesare Filiberto Tenuta (carceriere) e il pastorello (ogni recita un diverso membro del Coro di Voci Bianche dell’Accademia del Maggio). Inutile dire che la prestazione delle due compagini corali è stata ottima come sempre, grazie ai due direttori Lorenzo Fratini (coro) e Sara Matteuzzi (coro voci bianche) che il teatro ha la fortuna di avere. E grazie alla regia, alle scene e ai costumi, nonché alle luci d’arte di Pasquale Mari, è bello che ancora una volta il racconto di Tosca e i rapporti fra i personaggi che lo popolano, abbiano toccato le corde del pubblico e abbiano di nuovo evidenziato quali potenzialità abbia il Maggio Musicale Fiorentino tutto, davanti e dietro le quinte.
Donatella Righini
(26 maggio 2024)
La locandina
Direttore | Daniele Gatti |
Regia | Massimo Popolizio |
Scene | Margherita Palli |
Costumi | Silvia Aymonino |
Luci | Pasquale Mari |
Personaggi e interpreti: | |
Floria Tosca | Vanessa Goikoetxea |
Mario Cavaradossi | Piero Pretti |
Scarpia | Alexey Markov |
Cesare Angelotti | Gabriele Sagona |
Il sagrestano | Matteo Torcaso |
Spoletta | Oronzo D’Urso |
Sciarrone | Dario Giorgelé |
Un carceriere | Cesare Filiberto Tenuta |
Un pastore | Lorenzo Mastroianni |
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino | |
Maestro del Coro | Lorenzo Fratini |
Coro di voci bianche dell’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino | |
Maestra del Coro di voci bianche | Sara Matteucci |
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!