Siena: Tracce/1 Gli Indagatori del Suono

Per raggiungere il Teatro dei Rinnovati si attraversa Piazza del Campo. Affondiamo le scarpe nella miscela di tufo e sabbia ancora lì dopo il Palio di Provenzano del giorno prima. I segni dei ferri dei cavalli sono chiari, netti, disegnano un’astratta composizione in tonalità seppia che trasmette gesto, movimento e ci accompagna fin dentro il Palazzo Pubblico tra la curva di San Martino e la curva del Casato. Lì c’è il teatro, un gioiello che ha origini nel 1300, lì ci guidano le tracce dei cavalli, lì ci guida la storia. Lì si terrà il primo evento della decima edizione del Chigiana International Festival & Summer Academy 2024.

Tracce, ecco la parola, il titolo, ma anche l’indirizzo tematico di quest’anno scelto dal Direttore artistico del Festival Nicola Sani. Tracce per raccontare la musica dal Rinascimento alle architetture barocche, dal classicismo, il belcanto fino al romanticismo, dalle avanguardie del Novecento fino alle esplorazioni sonore dei nostri giorni. Memorie che si incrociano, si contaminano, sviluppando ponti, ramificazioni, nuove idee, nuove visioni, tracce nuove.

Già la scelta di dedicare il focus di quest’anno a György Ligeti (1923-2006) la possiamo considerare una dichiarazione di intenti. Se c’è un compositore del Novecento difficilmente etichettabile e collocabile, lontano dalle Avanguardie, da mode e correnti questi è proprio l’artista ungherese. Defilato e appartato, Ligeti non partecipa ai percorsi post-weberniani del puntillismo, questo gli permette una libertà di ricerca che espande in molte direzioni sperimentali soprattutto riguardo l’organizzazione del suono e una personalissima gestione dei timbri. Nella sua produzione, ampia, complessa e composita troviamo tanti stimoli, soluzioni originali e sorprendenti, memorie del patrimonio popolare della propria terra sviluppate in processi di metamorfosi, nel particolare rapporto tra tempo e spazio sonoro, ciclici mutamenti che ti portano sempre dove non ti aspetti. Con Ligeti come guida, linfa vitale del format Today del Festival, è possibile spaziare in mille direzioni.

Lo dimostra ampiamente il repertorio presentato nello splendido evento d’apertura: Anhait di Giacinto Scelsi (1905-1988), il Concerto per orchestra di Béla Bartók (1881-1945), di Ligeti Concerto per violino e orchestra. Se l’influenza bartokiana, nel tempo poi più sfumata, nella poetica del compositore ungherese è indubbia, l’accostamento al misticismo scelsiano è commovente. Anhait (1965) per violino e diciotto strumenti, in tre movimenti senza soluzione di continuità, è dedicata a Venere. Più che una composizione è un atto d’amore dell’uomo venuto dal futuro (come ha definito Scelsi Quirino Principe) dove l’immersione nel suono oltre che di un’inarrivabile eleganza formale, va letta, oltre le caratteristiche timbriche e fisiche, come una riflessione esistenziale, profondamente spirituale. Il violino, preparato con una particolare accordatura, sorvola un ricco magma quasi statico, il mare appena increspato delle corde, a volte rimane solo, per poi inoltrarsi di nuovo in un flusso collettivo cosmico, sublime.

Il Concerto per violino e orchestra (1990-92) in cinque movimenti di Ligeti fa letteralmente esplodere i colori dell’orchestra in una atmosfera astratta, mossa. Anche qui il gioco delle accordature è spiazzante. Primo violino e prima viola utilizzano un’accordatura diversa, calibrata sugli armonici del contrabbasso, il risultato è un suono imperfetto, non intonato e affascinante, che aleggia in una precarietà diffusa e disegna una vera e propria instabile drammaturgia sonora. Il violino solista passa dai lampi, gli strappi del primo movimento ai soavi accenni melodici del secondo che però quasi subito paiono sbriciolarsi risucchiati dall’orchestra scossa da vibrazioni, in un gioco di contrasti forti, sapori popolari e memorie antiche nel suono estraniante delle ocarine, in una spasmodica corsa verso un climax che non arriva mai.

La chiusura con il Concerto per orchestra di Béla Bartók (1943), nella versione revisionata da Roland Freisitzer nel 2018, mette il sugello ad una serata esemplare dove le scelte autoriali e repertoriali ci hanno raccontato tracce di storia della musica che ancora oggi diffondono lunghe onde creative e ci meravigliano. La composizione di Bartók è un immaginifico, potente disegno orchestrale dove il ruolo epico degli ottoni, le onde mobili degli archi, i motivi fugati, gli echi folclorici, sono tutti materiali pulsanti diluiti in uno sviluppo espressivo che passa dal rigore a leggerezze, da canti di morte a esplosioni vitali.

Dopo una serata così non si può non parlare degli interpreti. l’Orchestra della Toscana come un organismo vitale si esalta in tutti i repertori attraverso una compattezza, un’energia in un controllo di volumi e timbri encomiabile. La direzione di Marco Angius non solo garantisce una lettura sfavillante ma pensa ed elabora per ogni opera una sofisticata cura del suono orchestrale che aderisce alle partiture, arricchisce l’emozione dell’ascolto. In fine il violino di Ilya Gringolts, al di là delle difficoltà tecniche e virtuosismi affrontati con notevole maestria, va oltre, scava, cerca gli aspetti esistenziali, umani che stanno dietro ad un segno.

Paolo Carradori
(5 luglio 2024)

La locandina

Direttore Marco Angius
Violino Ilya Gringolts
ORT – Orchestra della Toscana
Chigiana Percussion Ensemble
Programma:
Giacinto Scelsi 
Anahit, Poema lirico dedicato a Venere per violino e 18 strumenti
György Ligeti 
Concerto per violino e orchestra
Béla Bartók 
Concerto per orchestra [elab. R. Freisitzer]

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