Macerata: Norma per sottrazione
Tra le opere difficili da allestire Norma occupa sicuramente una posizione preminente: il rischio è quello di cadere nell’oleografia fra rami di vischio, galli elmocornuti e loriche romane, o, di contro, di ridurre tutto ad una serie di tableu vivant cartolinari.
Nel capolavoro belliniano il “problema” sta nella sua totale astrazione e nella conseguente mancanza d’azione, e dunque si deve lavorare di cesello per trovare un senso drammaturgico plausibile.
Al suo debutto nella regia d’opera Maria Mauti intraprende la via più corretta tra quelle possibili, cogliendo pienamente la metafisicità di Norma e accentuandola fino all’estremo con un lavoro certosino sui personaggi.
Il palcoscenico dello Sferisterio, esso stesso non-luogo, viene sfruttato per sottrazione e gli unici elementi scenici – realizzati da Garcés -De Seta – Bonet Arquitectes con la collaborazione di Carles Brega e illuminati dal genio delle luci Peter van Praet – sono quattro scale ferrigne mosse all’occorrenza da servi di scena e un disco lunare a campeggiare sul muro scabro di mattoni dell’arena.
La Mauti, si diceva, rifugge da qualunque calligrafismo e sviluppa l’azione attraverso movimenti tanto rarefatti quanto densi – ulteriormente valorizzati dai bei costumi di Nicoletta Ceccolini – anche evitando saggiamente di cadere nella trappola di sbracciamenti indisciplinati e occhi roteanti cari ad una certa “tradizione”.
Belle le simmetrie, soprattutto nei duetti Norma-Adalgisa, e perfettamente oliati i movimenti delle masse, tanto da far perdonare le poche ingenuità “da debutto” come l’ingresso del coro dalla platea o alcune salite, e conseguenti discese, di scale un po’ fini a loro stesse.
Eccellente l’esecuzione musicale, illuminata dalla direzione ispiratissima di Fabrizio Maria Carminati – con lui l’eccellente Orchestra Filarmonica Marchigiana – che riapre tutti i tagli e sceglie la versione per due soprani, lavorando su metronomi impeccabili e seguendo una linea capace di rendere con generosità la melodia belliniana senza tralasciare il sostrato ritmico e dinamico indispensabile a sostenere l’impianto narrativo.
Nel ruolo eponimo brilla Marta Torbidoni, nella cui voce si coniugano timbro ammaliatore, drammaticità e agilità sicure, il tutto a disegnare una sacerdotessa capace di irruenze ferine cui fanno seguito abbandoni malinconici.
Non le è da meno Roberta Mantegna che si dimostra ancora una volta fraseggiatrice di rango rendendo all’ascolto un’ Adalgisa ricca di colori ed accenti.
Antonio Poli presta la sua voce dalle ambrature suadenti a disegnare un Pollione convincente sia nel canto che nell’adesione al dettato registico che lo delinea come passivo-aggressivo.
Nobilmente ieratico risulta l’Oroveso del sempre più bravo Riccardo Fassi, e ben risolti il Flavio di Paolo Antognetti e la Clotilde di Carlotta Vichi, questi ultimi comprimari extralusso.
Bene il Coro lirico marchigiano “Vincenzo Bellini” preparato con cura da Martino Faggiani.
Successo pieno e meritato per tutti.
Alessandro Cammarano
(20 luglio 2024)
La locandina
Direttore | Fabrizio Maria Carminati |
Regia | Maria Mauti |
Scene | Garcés – De Seta – Bonet Arquitectes |
in collaborazione con | Carles Berga |
Costumi | Nicoletta Ceccolini |
Luci | Peter van Praet |
Video | Lois Patiño |
Assistente alla regia | Adriana Laespada |
Assistente alla scenografia | Chiara La Ferlita |
Personaggi e interpreti: | |
Pollione | Antonio Poli |
Oroveso | Riccardo Fassi |
Norma | Marta Torbidoni |
Adalgisa | Roberta Mantegna |
Clotilde | Carlotta Vichi |
Flavio | Paolo Antognetti |
FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana | |
Coro lirico marchigiano “Vincenzo Bellini” | |
Maestro del coro | Martino Faggiani |
Banda Salvadei |
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!