Martina Franca: più Ariodante per tutti!
Il Festival della Valle d’Itria si regge da dieci lustri su due pilastri scolpiti in forma di “B”: Barocco e Belcanto, con qualche incursione – sacrosanta – nel Novecento.
L’edizione numero cinquanta – un record per una manifestazione preceduta per anzianità solo dal Maggio Musicale e dal Festival dei Due Mondi – ha pienamente rispettato la formula, con risultati eccellenti per quanto riguarda il repertorio del secolo scorso, qualche inciampo vistoso nella proposta belcantista, trovando infine il suo punto più alto nella produzione barocca.
Nell’Ariodante in scena al Teatro Verdi funziona davvero tutto, in un’atmosfera di intesa pressoché perfetta tra esecuzione musicale e allestimento che, cosa tutt’altro che scontata, remano insieme per condurre felicemente in porto la navicella haendeliana, per inciso una delle più riccamente ornate tra quelle della flotta del Grande Sassone.
L’intreccio dell’opera è, una tantum, incredibilmente semplice rispetto alle farragini della librettistica barocca, finendo per ridursi – complice anche la linearità cristallina della fonte ariostea da cui trae origine – a tre storie amorose immediatamente intellegibili.
A Torsten Fischer il merito di aver dato indicazioni essenziali, puntualmente seguite, lasciando poi agli interpreti una libertà di espressione rivelatosi vincente per misura e coerenza: tutti si divertono in un clima di complicità crescente e capace di contagiare il pubblico.
All’interno delle cornici bianche ideate da Herbert Schäfer e ben illuminate da Pietro Sperduti i personaggi, nei costumi contemporanei di Vasilis Triantafillopoulos si muovono con intelligente freschezza, sempre a tempo di musica, plasmando il gesto sul variare delle dinamiche e risultando sempre credibili nella molteplicità dei sentimenti ed affetti espressi.
Brilla la parte musicale, con Federico Maria Sardelli – e con lui l’Orchestra Barocca Modo Antiquo – in una delle sue prove migliori per misura e fantasia coniugate in una scelta di tempi mai dettati dalla fretta e declinati anzi con meditata apollineità.
Nel ruolo-titolo svetta Cecilia Molinari, padrona di un canto legato dalle suadenze incantevoli e capaci di cedere il passo ad agilità di precisione folgorante, il tutto senza mai perdere di vista il fraseggio che risulta costantemente rigoglioso.
Teresa Iervolino non le è da meno disegnando il vilain Polinesso capace di risaltare attraverso vocalità imperiosa e poggiata su colorature impeccabili.
Ottima la Ginevra di Francesca Lombardi Mazzulli, adamantina nella linea di canto e minuziosa negli accenti.
Manuel Amati risolve con gusto e grande musicalità il suo Lurcanio, cogliendone con sagacia la sua natura di mezzo-carattere, così come Theodora Raftis è Dalinda dal fraseggiare ben cesellato.
Il Re di Scozia di Biagio Pizzuti – che si spera affronti presto altri ruoli barocchi – è autorevolmente scolpito e declinato in un canto mai meno che meditato.
A completare il cast il buon Odoardo di Manuel Caputo.
Successo trionfale, con bis dell’ultimo da capo di “Dopo notte atra e funesta” subito prima del coro finale.
Alessandro Cammarano
(29 luglio 2024)
La locandina
Direttore | Federico Maria Sardelli |
Regia | Torsten Fischer |
Scene | Herbert Schäfer |
Costumi | Vasilis Triantafillopoulos |
Light designer | Pietro Sperduti |
Personaggi e interpreti: | |
Ariodante | Cecilia Molinari |
Ginevra | Francesca Lombardi Mazzulli |
Polinesso | Teresa Iervolino |
Re di Scozia | Biagio Pizzuti |
Lurcanio | Manuel Amati |
Dalinda | Theodora Raftis |
Odoardo | Manuel Caputo |
Orchestra Barocca Modo Antiquo |
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