Salisburgo: solo l’Idiota può curare il mondo

«Questo mondo è malato. Dobbiamo curarlo» è il mantra  dell’Idiota, ovvero dell’Innocente o Puro Folle, comunque lo si voglia definire, ovvero di quella figura profondamente radicata nella cultura russa alla quale si riconosce una dimensione cristologica e la cui visione della vita e delle persone è improntata a trovare il bene in ogni cosa.

Il principe Myshkin è, nel romanzo di Dostoevskij, colui che, avulso dalla realtà che lo circonda e dalla quale è stato assente per anni, cerca incessantemente di guarire le storture – quando non le aberrazioni – del sottomondo, o forse semplicemente del mondo, che lo circonda.

Il compositore polacco Mieczysław Weinberg, che finalmente ritrova la via ancorché postuma del riconoscimento del suo valore, non poteva non subire, vista la sua storia personale – ebreo sfuggito all’orrore nazista e rifugiato in Unione Sovietica – la fascinazione principe Myškin ed alla sua incrollabile purezza.

Dunque, se nella Passeggera, composta tra il 1967 e il 1968 ma andata in scena postuma nel 2010, Weinberg affronta il tema dell’Olocausto, nell’Idiota – scritto nel 1986-87 e rappresentato solo nel 2013 – ritorna a marcare l’universalità del male che nasce dalle piccole cose e dal vivere quotidiano.

Se il libretto di Alexander Medvevev ricalca fedelmente la fonte letteraria, la musica di Weinberg – amico intimo di Šostakovič col quale fu intellettualmente affine ma mai imitatore – spazia alla ricerca di un’amplificazione delle atmosfere cupe del romanzo attraverso sonorità metalliche e tuttavia capaci di aprirsi in squarci di nitore abbagliante.

L’allestimento proposto al Festival di Salisburgo gode dello spazio straniante – esattamente come il Giocatore in scena negli stessi giorni – della Felsenreitschule che Krzysztof Warlikowski riempie di grande teatro, firmando una regia tra le sue più dense e riuscite.

Il palcoscenico è frazionato in piccoli spazi – le scene sono di Małgorzata Szczęśniak, autrice anche dei costumi vagamente anni Cinquanta – chiamati però contribuiscono a creare un unico luogo teatrale che finisce per assomigliare a qualcosa che sta tra un’aula scolastica e una casa borghese, il tutto animato dai video essenziali di Kamil Polak.

Quello del regista polacco è un omaggio appassionato al simbolismo di Mejerchol’d che si dipana in efficaci pennellate drammaturgiche capaci di assumere tratti di violenza quasi disturbante e comunque sempre totalmente aderenti al testo.

La rappresentazione di Lebedev, il Doppelgänger capace di legare tutti i personaggi in un destino comune – qui una sorta di giullare-vampiro – è dirompente, così come la fragilità di Myshkin-Idiota è sublimata nell’epilessia da cui è afflitto e che diviene specchio crudele degli squallori che lo circondano e ai quali cerca di porre rimedio.

Il gesto scenico è sbalzato al cesello e perfettamente sottolineato dalle luci sapienti di Felice Ross, il tutto a dar vita ad un’azione sempre tesa per non dire costantemente sul filo del rasoio.

Di altissimo livello anche il versante musicale.

Oleg Ptashnikov, chiamato a sostituire in corsa l’indisposta titolare Mirga Gražinytė-Tyla, ha comunque saldamente tenuto in ordine buca e palcoscenico offrendo una prova ispirata e di bella uniformità, il tutto grazie anche ai Wiener Philaharmoniker più collaborativi che mai.

Il Principe Myshkin, l’Idiota, di Bogdan Volkov è un capolavoro sia dal punto di vista della vocalita duttilissima, che da quello della recitazione davvero perfetta.

Vladislav Sulimsky rende con ricchezza di sfumature la complessa figura di Rogozhin, il rivale-alter go che brilla di luce nera, padroneggiando un fraseggio finemente filigranato e una voce imponente.

Da incorniciare la Nastasya irridente e fragile disegnata da Ausrine Stundyte, artista capace come poche di mettersi totalmente a servizio del personaggio e della musica, sfruttando sino in fondo anche il suo timbro “non convenzionale”.

Iurii Samoilov è un Lebedev perfetto sia vocalmente che scenicamente nel dar vita al Grande Officiante dei destini di tutti gli altri protagonisti, così come Xenia Puskarz Thomas non cessa mai di essere convincente nei panni Aglaya, ovvero dell’“altra” innamorata di Myshkin.

Sugli scudi la Yelizaveta Yepanchina tratteggiata con voce imperiosa da Margarita Nekrasova, che per giunta è pure un’attrice fantastica, e molto bene Clive Bayley come Generale Yepanchin.

Degni di lode tutti gli altri, numerosi, a completare la compagnia di canto: Jessica Niles (Alexandra Ivanovna Yepanchina), Pavol Breslik (Gavrila (Ganya) Ardalionovich Ivolgin), Daria Strulia     (Varvara (Varya) Ardalionovna Ivolgina), Jerzy Butryn (Afanassy Ivanovich Totsky) e Alexander Kravets (L’arrotino).

Ultime ma non meno importanti le voci maschili della Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor istruite da Pawel Markowicz.

Successo indiscutibile per tutti, con ovazioni per Volkov, Stundyte, Sulimsky e Samoilov.

Alessandro Cammarano
(18 agosto 2024)

La locandina

Direttrice Mirga Gražinytė-Tyla
Regia Krzysztof Warlikowski
Scene e costumi Małgorzata Szczęśniak
Luci Felice Ross Lighting
Video Kamil Polak
Coreografia Claude Bardouil
Drammaturgia Christian Longchamp
Personaggi e interpreti:
Fürst Lev Nikolayevich Myshkin Bogdan Volkov
Nastasya Filippovna Barashkova Ausrine Stundyte
Parfyon Semyonovich Rogozhin Vladislav Sulimsky
Lukyan Timofeyevich Lebedev Iurii Samoilov
Ivan Fyodorovich Yepanchin Clive Bayley
Yelizaveta Prokofyevna Yepanchina Margarita Nekrasova
Xenia Puskarz Thomas Aglaya Ivanovna Yepanchina
Alexandra Ivanovna Yepanchina Jessica Niles
Gavrila (Ganya) Ardalionovich Ivolgin Pavol Breslik
Varvara (Varya) Ardalionovna Ivolgina Daria Strulia
Afanassy Ivanovich Totsky Jerzy Butryn
L’arrotino Alexander Kravets
Wiener Philharmoniker
Herren der Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor 
Maestro del Coro Pawel Markowicz

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