Recanati: Cabassi e le stelle cadenti
Il “colle dell’infinito” è un magnifico giardino che si trova sul monte Tabor, nella parte più alta di Recanati, a pochi passi dalla casa natale di Giacomo Lepoardi. Originariamente l’orto di un antico monastero, è identificato con “l’ermo colle” dove Leopardi ambientò il suo idillio “L’infinito”: è oggi un bel parco pubblico, adiacente il Centro di Studi Leopardiani, da cui si domina la pianura sottostante.
Nelle notti di bel tempo sul colle dell’infinito ci si trova veramente staccati dal mondo, dove al panorama si abbina un cielo stellato incredibile.
E, a proposito di stelle, proprio la sera del dieci agosto scorso (la notte di San Lorenzo) in questo luogo magico ha avuto luogo un concerto del pianista Davide Cabassi, inserito nell’edizione 2024 di “Armonie della Sera”, festival itinerante giunto quest’anno alla ventesima edizione sotto la direzione artistica di Marco Sollini.
Cabassi ha presentato un programma costruito con grande intelligenza drammaturgica.
Si comincia con il raro “Macbeth e le streghe” di Bedrich Smetana, brano in costante equilibrio tra virtuosismo e colorismo, dal sapore evocativo ed enigmatico, i cui elementi più cupi e torvi erano evidenziati dal buio della notte che circondava il palcoscenico; inoltre, la probabile concezione iniziale del brano in vista di una futura orchestrazione (che però il compositore non realizzò mai) lo pone, rispetto alle opere pianistiche di Smetana di più frequente ascolto, decisamente più in prossimità della ricerca timbrica propria dei poemi sinfonici del compositore boemo: davvero una scoperta interessante.
A seguire, e quasi senza soluzione di continuità, Cabassi ci porta direttamente tra le braccia del suo amato Beethoven, con una “Tempesta” (ossia la sonata op. 27 n. 2) che brilla per emozioni e colori. Anche in questo caso le riflessioni storiche sono molteplici, e ci si chiede come l’ascolto di Beethoven (compositore del tutto sconosciuto in Italia durante la vita di Leopardi) avrebbe potuto inserirsi nel rapporto del poeta di Recanati con le moleplici discipline della cultura germanofona che lo portò a definire – nel 1832 – la Germania “solo paese dotto oggidì”. Punto principale della sonata è stata la conclusione, un “Allegretto” finalmente eseguito come tale, senza gli eccessi di metronomo a cui questo movimento è spesso condannato: il risultato è stato un movimento in cui il moto perpetuo Beethoveniano si è equamente bilanciato tra ansietà e ineluttabilità, un gioco di domande e risposte degno del “Muß es sein? Es muß sein!” che avrebbe, anni dopo, accompagnato il finale dell’ultimo quartetto del genio di Bonn.
Ed è proprio lo spegnersi nel nulla del finale dell’allegretto che ci conduce verso “The angel goes home” di Marco Sollini (direttore artistico della rassegna), brano che ha, altrettanto, potuto beneficiare dell’ampia tavolozza coloristica di Cabassi, fungendo da ideale ponte verso la seconda parte del concerto che prevedeva i celebri “Quadri” di Mussorgskij.
Proprio dall’aspetto coloristico è scaturita la lettura di Cabassi di questo capolavoro che, nella sua unicità, è da oltre un secolo croce e delizia di pianisti e musicologi: infatti, quando si riflette sui “quadri” e sulle loro interpretazioni, si ragiona tipicamente sulla capacita descrittiva di Mussorgskij, sul suo modo di delineare personaggi e caratteri. Invece, è molto più raro che si ragioni sulla possibilità di superare le figure rappresentate e puntare a restituire tutti gli aspetti cromatici di un disegno (quadro, schizzo, acquerello) che non nasce per essere un carboncino abbozzato, ma una tela colorata con dovizia di particolari.
Quello che mi è arrivato dei “Quadri” eseguiti da Cabassi è proprio l’aspetto del colore dei singoli quadri, a partire dalla luce delle varie Promenade (che sembrano illuminate da diverse finestre, con il sole che entra a diverse angolazioni); a seguire, il sottobosco gotico dello gnomo e le nebbie che avvolgono il vecchio castello, la luce pomeridiana che splende sui giochi dei bambini alla Tuileries e il differente aspetto delle vesti del ricco Samuel Goldenberg e del povero Schmuyle; il buio delle catacombe, lo spaventoso antro di Baba-Yaga e infine la luce che si rifrange sulla porta di Kiev, con il bronzo delle sue campane che scintillano al sole. Insomma, Cabassi ci ha consegnato una visione dei quadri davvero al di fuori dell’ordinario, che supera le didascalie e che colora ogni dipinto secondo una estetica che ci riporta non solo a Mussorgskij, ma direttamente a Viktor Hartmann, il pittore a cui è ispirato il brano.
Un finale del genere sarebbe stato sufficiente, ma Cabassi, visti i calorosi applausi del pubblico, ha proposto anche un bis finale, “Over the rainbow”, un tema originariamente nello storico film “Il mago di Oz” con Judy Garland, poi entrato nel repertorio di molti jazzisti, incluso Keith Jarrett, a cui si rifaceva la versione presentata da Cabassi. In quel momento, sotto le tante stelle della notte di San Lorenzo, all'”Infinito” di Leopardi si affiancava il “X Agosto” di Pascoli. Le cesellatissime note di Cabassi volano “oltre l’arcobaleno”, si alzano alte nel cielo: e, oltre a noi spettatori, viene l’idea che probabilmente qualcun altro, lontano chissà quanto nel tempo e nello spazio, le stia ascoltando tutte con attenzione.
Carlo Centemeri
(10 agosto 2024)
La locandina
Pianoforte | Davide Cabassi |
Programma: | |
Bedrich Smetana | |
Macbeth e le streghe | |
Ludwig van Beethoven | |
Sonata 17 Op. 27 n.2 in re minore | |
Marco Sollini | |
The angel goes home | |
Modest Mussorgskij | |
Quadri di un’esposizione |
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