Milano: il Brahms intimo di Janine Jansen
Per tentare di descrivere l’indescrivibile – ovvero la musica, qualcosa che è accessibile ai sensi per un tempo molto ridotto – a volte si cercano metafore provenienti dalla vista o dal tatto: nel caso di Janine Jansen, l’associazione alla morbidezza del burro è totale. Fin dalle primissime note, nel concerto tenuto nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano il 5 novembre scorso, spiccano un vibrato morbidissimo e un legato continuo che restituiscono uno dei Brahms più intimi mai ascoltati.
Rispetto al programma stampato dalla Società del Quartetto, una variazione: si inizia dalla Seconda Sonata. Scritta nel 1886 a Thun, in Svizzera, riflette il periodo felice di Brahms. «Ci sono tante melodie che vagano nell’aria che devo fare attenzione a non calpestarle», diceva, e questa Sonata ne è il risultato evidente.
«Sonata per pianoforte e violino»: così l’ha intitolata ufficialmente Brahms, invece del più comune «Sonata per violino e pianoforte». Il motivo è presto svelato, risiede nella pari importanza attribuita ai due strumenti nel corso della Sonata, tanto che il tema d’apertura non è annunciato dal violino, come accade di solito, ma dal pianoforte.
Chissà se la scelta di iniziare da qui sia dovuta al desiderio di mettere in luce da subito Janine Jansen e Sunwook Kim come un duo e non come una violinista e un accompagnatore. Un intento ammirevole, eppure, specialmente all’inizio, si apprezza più il divario tra i due strumenti che non la loro unione: il suono della Jansen è intenso, scurissimo e così intimo da essere a tratti ai limiti dell’udibilità; quello di Kim è chiaro, ordinato, puntuale e forse un po’ più asciutto di quanto ci si aspetterebbe nell’ascoltare un lavoro brahmsiano.
Ma proseguiamo nell’Andante tranquillo. L’inizio, che è un esempio magistrale di delicatezza, non può che essere congeniale alla violinista, che sa trascinarci tra le note come vibrassimo tutti nelle sue stesse dita, mentre il pianista la segue pedissequamente. Peculiare in questo movimento è l’alternanza tra questo motivo e quello del Vivace, più deciso e risoluto, di una sonorità che richiama alla memoria un tempo antico. La Jansen decide, piuttosto che per il contrasto, per la continuità, e così il tempo sì cambia, come comandato dalla partitura, ma il carattere permane lirico cantabile anche negli incisi più frammentari. L’Allegretto grazioso finale nella sua forma di rondò offre infine pane per le mani della Jansen, che lega le frasi ancor più di come lo prescrive Brahms, con una tecnica che rapisce tutti i violinisti in sala.
Nessuno meglio di Brahms è riuscito a descrivere «l’impressione dell’imponderabile e del dissolvimento della coscienza nel paese meraviglioso del sogno per mezzo di quei giochi sottili di ritmi contrari e sovrapposti, che sembrano non avere una precisa consistenza»: questa la descrizione del musicologo Paul Landormy della Prima Sonata, che si riconosce fin dal primo tema. C’è anche qualcuno, come Hanslick, che sosteneva che questa Sonata non andasse eseguita in pubblico: troppo introversa e intima, come se fosse un diario personale e segreto in musica. In effetti, nel corso dei movimenti, si alternano momenti sereni e slanciati ad altri malinconici, ma sempre mantenendo il carattere liederistico: in effetti la Sonata contiene qua e là riferimenti al Regenlied, la «Canzone della pioggia», dello stesso autore.
Janine Jansen deve aver ben presente questo riferimento, perché la sua interpretazione è fortemente vocale: il violino nelle sue mani, molto più di uno strumento, è tutt’uno con la sua espressione, vera emanazione del suo pensiero musicale. In questo secondo brano l’affiatamento con il pianoforte cresce, Kim segue la Jansen negli slanci melodici e in ogni cambiamento di tempo e respiro. A fine terzo tempo, i musicisti terminano con un ampissimo decrescendo che porta al piano e a una corona lunghissima che si perde nel silenzio: il pubblico rimane stregato, attendendo qualche – magico – secondo in più per gli applausi.
Se durante l’intervallo ci può essere passato per la testa il pensiero che, nonostante le sofisticate sfumature e l’intimissimo fraseggio, la Jansen si fosse trattenuta un po’ troppo negli slanci, anche in quanto a massa sonora – in netta prevalenza i piano e i pianissimo sui forte – nel secondo tempo abbiamo l’occasione di ricrederci.
Fin dal suo ritorno sotto i riflettori, la presenza sonora della violinista è nettamente cresciuta, seppur l’atmosfera sia ancora quella cantabilissima delle Tre Romanze di Clara Schumann. Il clima si è riscaldato per la Terza Sonata brahmsiana e, finalmente, per una Jansen impetuosa e appassionata, che aspettavamo da una buona ora.
Fin dal piano delle prime battute dell’Allegro, l’incisività dell’olandese si discosta dall’impasto scuro – sicuramente ricercato – delle altre due Sonate, ma è nel forte appassionato che segue che finalmente si libera la potenza esecutiva della virtuosa e anche il pianista appare più sicuro e interessante nella sua parte.
Nell’Adagio ancora una volta – e ancora di più – spazio alla qualità stasera più notevole della Jansen: la capacità di legare le frasi come se non fosse costretta a fare su e giù con l’arco e come se questo non fosse fatto di crini che sfregano, ma di una seta morbidissima, con le dita della mano sinistra mai stanche di vibrare e con il braccio destro sempre pronto a ricercare ogni sfumatura possibile rimanendo sempre ancorato, mai rigido, alle corde.
Il movimento finale, Un poco presto e con sentimento, che alterna brevi incisi melodici ad altri ritmici, è una buona prova di resistenza.
Il pubblico, composto da numerosissimi giovani tripudianti, va in visibilio e gli applausi sono fragorosi. La violinista, dopo gli inchini di rito, concede due bis brahmsiani, di cui il secondo, lo Scherzo dalla FAE Sonata, colpisce per l’impetuosa incisività, così distante dall’inizio di serata. In definitiva, un concerto che ha saputo colpirci per l’ampio caleidoscopio di sfumature: dagli intimi pianissimo alle melodie più aperte, fino agli episodi ritmici e frammentati, Janine Jansen ha saputo accompagnare gli ascoltatori in luoghi tra loro lontanissimi, con la delicatezza di cui probabilmente lei sola è capace.
Elisa Nericcio
(5 novembre 2024)
La locandina
Violino | Jeanine Jansen |
Pianoforte | Sunwook Kim |
Programma: | |
Johannes. Brahms | |
Sonata n. 2 in la maggiore op. 100 | |
Sonata n. 1 in sol maggiore op. 78 | |
Clara Schumann | |
Tre romanze op. 22 | |
Johannes. Brahms | |
Sonata n. 3 in re minore op. 108 |
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!