Bergamo: sia gloria al Devereux
Lo spettacolo perfetto non esiste, ci sono però alcune occasioni in cui alla perfezione di si va davvero molto vicini e il Roberto Devereux – produzione di punta del Festival Donizetti Opera 2024 – rientra pienamente in questa categoria.
Il capitolo conclusivo della “trilogia Tudor”, che di fatto potrebbe diventare una tetralogia se vi si comprendesse anche il Castello di Kenilworth, restituisce la figura gigantesca di Elisabetta Prima giunta all’ultima parte della sua vita, dubbiosa e gelosa nei confronti di un amore senile per Roberto conte di Essex che potrebbe essere suo figlio.
Il dramma che Salvadore Cammarano trae dalla tragedia Elisabeth d’Angleterre di François Ancelot è tutto intimo e la politica – come sarà di lì a pochi anni con Verdi – fa semplicemente da sfondo alle passioni tutte umane e tutte profondamente segnate dall’intimità.
Devereux è dunque il racconto dell’amore che fugge, delle illusioni tradite, ma soprattutto del tramonto della vita e la musica di Donizetti – qui sublime come non mai – incalza perentoria aprendosi a quegli squarci di malinconia che sono parte integrante della sua estetica.
Stephan Langridge incentra la sua lettura del capolavoro donizettiano sul “Tempus fugit” e “Memento mori”, che diventano il Leitmotiv della racconto.
Tutto è evidente da subito: sulla scena immaginata da Katie Davenport – che disegna anche i costumi sontuosi – caratterizzata da spazi scanditi da paratie lignee a richiamare le strutture dei teatri elisabettiani, campeggia una natura morta con teschio, clessidra, candela, fiori appassiti e libro, il tutto a richiamare la caducità del tempo e l’incombere della morte.
Il teschio ritorna, insieme alla corona, sulla gonna dell’abito di Elisabetta e del suo doppio-scheletro – marionetta animata benissimo da Noemi Giannico e Matteo Moglianesi, con la regia di Poppy Franziska – che danza la “volta” con l’erede al trono Giacomo in una sorta di macabro balletto prima di concedersi a lui sul letto rosso, uno dei temi fissi dello spettacolo, simbolo di passione e di distruzione.
È tutto rosso e nero, con le luci taglienti e gelide di Peter Mumford ad illuminare il palcoscenico e il corteggio funereo dei dignitari che rimanda alla pittura fiamminga della fine del sedicesimo secolo.
Il regista britannico impone una recitazione tanto essenziale quanto intensa, incentrata su una gestualità misurata nella quale è lo sguardo a svolgere il ruolo principale, concedendo agli interpreti una sorta di libertà espressiva capace di mettersi a servizio del canto.
Lodi incondizionate all’esecuzione musicale, che una volta si sarebbe definita “discografica”.
Riccardo Frizza – e con lui l’Orchestra Donizetti Opera in grande spolvero – scegli tempi incalzanti, perfettamente aderenti alla narrazione, sfumando al contempo attraverso una minuziosa ricerca agogica atta a richiamare ogni singola preziosità contenuta della partitura e con un’attenzione costante al palcoscenico.
Se si avesse un solo aggettivo per descivere la compagnia di canto, questo sarebbe senza alcun dubbio “suoerba”.
John Osborn entra con pieno diritto tra i Devereux di riferimento, offrendo dell’eroe eponimo un interpretazione coinvolgente. Il tenore statunitense squilla, smorza, fila, colora rendendo il personaggio vividamente appassionato e allo stesso tempo intimamente tormentato.
“Come uno spirto angelico” è stato bissato a furor di pubblico.
Non gli è da meno Jessica Pratt, donizettiana di gran rango, nel disegnare un’Elisabetta furiosa e tenera, impulsiva e fragile, impreziosendo tutto con un canto sempre sul fiato, lussureggiante negli accenti, folgorante nelle agilità.
Raffella Lupinacci, voce incantevole dalle suadenze ambrate, è Sara – quasi un’Amelia “in nuce” – in perfetto equilibrio tra amore e dovere e tutta poggiata su una linea di canto adamantina.
Ottimo Simone Piazzola, Nottingham inquieto e cantato con generosa partecipazione emotiva.
Buone le prove dei personaggi di contorno, a cominciare dal Gualtiero nobile di Ignas Melnikas, allievo della Bottega Donizetti, e dei puntuali David Astorga nei panni di Lord Cecil e Fulvio Valenti nel doppio impegno come Famigliare di Nottingham e un Cavaliere.
Assai bene fa il Coro dell’Accademia Teatro alla Scala diretto da Salvo Sgrò.
Applausi copiosi a scena aperta e successo al calor bianco al termine di una serata destinata a rimanere a lungo nella memoria.
Alessandro Cammarano
(23 novembre 2024)
La locandina
Direttore | Riccardo Frizza |
Regia Stephen | Langridge |
Scene e costumi | Katie Davenport |
Luci | Peter Mumford |
Regia Animazione Pupazzo | Poppy Franziska |
Assistente alla regia | Katerina Petsatodi |
Personaggi e interpreti: | |
Elisabetta | Jessica Pratt |
Il duca di Nottingham | Simone Piazzola |
Sara | Raffaella Lupinacci |
Roberto Devereux | John Osborn |
Lord Cecil | David Astorga |
Sir Gualtiero Raleigh | Ignas Melnikas |
Un famigliare di Nottingham e Un Cavaliere | Fulvio Valenti |
Mimo | Luca Maino |
Burattinai per Animazione Pupazzo | Noemi Giannico, Matteo Moglianesi |
Orchestra Donizetti Opera | |
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala | |
Maestro del Coro | Salvo Sgrò |
Condividi questo articolo