Vicenza: l’eleganza “prefabbricata” di Bruce Liu
Secondo uno dei suoi più reputati studiosi, il musicologo inglese David Brown, Cajkovskij “era semplicemente incapace di comporre un Valzer noioso”. La boutade era riferita a “Dicembre: Natale”, l’ultimo pezzo delle Stagioni per pianoforte, ascoltato il quale al Teatro Comunale di Vicenza si può senz’altro consentire. Nella biografia pubblicata anche in Italia dal Saggiatore, Brown esprime benevola considerazione per l’intera raccolta, ma l’esecuzione integrale di queste pagine – ferma restando la loro magistrale qualità “artigianale” – non può nascondere la loro origine. Si tratta di piccoli pezzi scritti su commissione (profumatamente pagata) di una rivista mensile di teatro e musica che si pubblicava a San Pietroburgo, Nuvellist; “quadretti” d’ambiente destinati ad esecuzioni domestiche affidate a dilettanti sia pure di qualche livello, da parte di un autore votato a ben altri ambiti espressivi (in quei mesi del 1876, per dire, stava lavorando al Lago dei cigni), che non aveva con il pianoforte un rapporto particolare. Naturalmente, suscita pensieri desolati il confronto con gli “allegati” (non di rado musicali) che tante ormai derelitte pubblicazioni quotidiane e periodiche a stampa propongono oggi nelle sempre più rare edicole, ma questo è un altro discorso.
Tornando alle Stagioni, è parere di chi scrive che la loro esecuzione integrale nel corso di un recital finisca per rendere un cattivo servizio anche ai pezzi che hanno in effetti notevole appeal – e ci riferiamo per esempio, oltre che al citato Valzer natalizio, a “Giugno: Barcarola”, “Settembre: La caccia”, “Ottobre: Canto d’autunno”, “Novembre: Sulla trojka”. Tutte pagine nelle quali l’evocazione naturalistica e descrittiva si coagula in esemplare immediatezza di soluzioni melodiche e coloristiche, non senza le eleganti per quanto mediate allusioni folcloriche tipiche di questo autore.
La sfida è stata assunta da una delle nuove stelle del pianismo internazionale, Bruce Liu, che ha tenuto a Vicenza – dove debuttava nell’ambito della stagione della Società del Quartetto – l’unico recital in Italia di questo scorcio di stagione, prima di partire con lo stesso programma per tappe prestigiose in tutto il mondo, compresa la Carnegie Hall di New York. Il motivo di questa scelta è intuibile: il ventisettenne pianista cresciuto a Montreal dopo essere nato a Parigi da famiglia cinese, vincitore del Concorso Chopin 2021, ha appena pubblicato per la casa discografica Deutsche Grammophon – per la quale registra in esclusiva – proprio Le Stagioni. E il mercato, si sa, ha le sue ragioni.
Evidentemente consapevole del fatto che eseguire queste pagine in un unico blocco di quasi 50 minuti sarebbe forse troppo anche per il pubblico meglio disposto, Liu ha diviso Cajkovskij in due (nella prima parte, da Gennaio a Giugno, nella seconda da Luglio a fine anno) e ha provato a costruire un discorso sul pianoforte in Russia tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento, puntando su due “greatist hits” come la visionaria Sonata n. 4 di Skrjabin (quella il cui secondo e ultimo movimento è “Prestissimo volando”) e la tellurica Sonata n. 7 di Prokof’ev. Discorso peraltro un po’ apodittico, dalla connotazione più geografica che musicale e specialmente strumentale: la tastiera di Skrjabin (che aveva 4 anni quando Cajkovskij scriveva Le stagioni) si muove in una dimensione musicale lontanissima da quella di Cajkovskij; quella di Prokof’ev è consapevole dei percorsi dell’autore del Poema dell’estasi ma nella Sonata n. 7 punta sugli scarti e la complessità ritmica di taglio percussivo, più che sulla irregolarità armonica che rende così affascinante la Sonata n. 4.
Il pianismo di Bruce Liu è caratterizzato da sovrana facilità e indefettibile precisione tecnica. In questa cornice virtuosisticamente brillante e sicuramente accattivante, il pensiero interpretativo si esprime nitidamente, peraltro secondo moduli che appaiono, se così si può dire, un po’ “prefabbricati”, proposti secondo un’elegante ma sempre vagamente manieristica cifra espressiva. Ecco allora la discorsiva eleganza di Cajkovskij, evocatrice dei grandi paesaggi quanto basta per non dimenticare mai che la tastiera si trova in un confortevole salotto, risolta nell’insieme con una certa uniformità di fraseggio, oltre che con una gamma dinamica media, del resto collegata all’insistenza della scrittura sulla zona centrale della tastiera.
In Skrjabin il suono diventa protagonista senza “confini”, sempre con sorvegliata attenzione ad evitare troppo accentuate sbandate espressive (ma il colore in qualche momento è di notevole suggestione); in Prokof’ev ritmo e natura percussiva dell’invenzione trovano affascinante equilibrio, con una precisione che paradossalmente appanna leggermente la naturalezza a tratti stordente del discorso.
Il Teatro Comunale era vicino al tutto esaurito e il pubblico ha applaudito alla fine con molto calore. Ai bis, qualche velato rimpianto sulle scelte di programma ha suscitato l’apparizione di Chopin (Valzer n. 19 in La minore opera postuma, Fantasia-Improvviso op. 66) e di Schumann (Kinderszenen op. 15, “Da genti e Paesi stranieri”), risolti con accattivante bellezza e dolcezza di suono, mai disgiunta dalla brillantezza, ove necessaria. Poesia interiore, a fior di tocco: qui davvero Bruce Liu è parso in prima fila fra i pianisti della nuova generazione.
Cesare Galla
(4 dicembre 2024)
La locandina
Pianoforte | Bruce Liu |
Programma: | |
Pëtr Il’ič Čajkovskij | |
Le Stagioni Op. 37a | |
Pëtr Il’ič Čajkovskij/Sergej Rachmaninov | |
Danza dei cigni da “Il lago dei cigni” | |
Aleksandr Skrjabin | |
Sonata n. 4 Op. 30 | |
Sergej Prokof’ev | |
Sonata n. 7 Op. 83 |
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