Pisa: l’eterno ritorno della Traviata “degli specchi”
La Traviata, opera monstre, non è composizione affatto semplice da gestire, specialmente nelle intenzioni interpretative prima ancora che per motivi tecnici. Di certo rientra tra le più complesse in assoluto, e proprio per questa ragione può dare grande soddisfazione al podio, qualora le idee siano chiare e nette e ci sia terreno fertile per farle germogliare con dovizia di attenzioni: a volte, però, non si può andare troppo per il sottile, anzi è più opportuno far quadrare il cerchio con intelligenza piuttosto che perdersi in elucubrazione cui non è possibile star dietro, in costruzioni che concedono l’opportunità di ammaliare e sedurre ma che pure rischiano di azzoppare il risultato finale. Nir Kabaretti, direttore di provata esperienza, trova il giusto compromesso, alla perfetta metà di quanto si è detto, e tira fuori dalla non irreprensibile Orchestra Arché – certi attacchi dei fiati, trombe e tromboni, e alcuni pianissimi degli archi potevano essere più precisi – delle belle sonorità, spettrali e suggestive nei due preludi, rifiniti, prediligendo sì tempi serrati, senza però tarpare le ali alle oasi liriche più volatili e vaporose, tenendo insieme tutto il palcoscenico e dirigendo assai bene la scena di zingarelle e mattadori, spesso spinta verso lati più bandistici e fracassoni (qui nulla di tutto ciò). Peccato per certi turgori impropri qua e là e alcuni tagli (la volutamente brutta cabaletta di papà Germont per fortuna c’è, anche se dimezzata), noiosi e ormai obsoleti – ma lo sono sempre stati. Anche il Coro Arché nel complesso si dimostra all’altezza e dispensa, specialmente nel secondo quadro del secondo atto, colori adeguati e d’effetto.
Il cast trova le sue punte di diamante nella Violetta di Ruth Iniesta e nel Giorgio Germont di Simone Piazzola: la prima è interprete di rare delicatezza e finezza, energica nelle sue pur dolci umanità e vocalità, luminosa nel timbro aggraziato e gradevole – che intelligentemente non scurisce mai ad arte – e chiarissima nelle intenzioni, esteriorizzate nel bel fraseggio e nella calibrata partecipazione scenica, giustamente giocata sulla sottrazione, in special modo durante l’ultimo atto. Se la sua vocazione belcantista trova il miglior sfogo nel “Sempre libera”, concluso con un sovracuto di bellissima limpidezza e precisione, anche nel secondo atto, durante la lunga scena del confronto, si apprezzano le sue doti peculiari, come l’incisività e la facilità d’emissione.
Accanto a lei giganteggia Simone Piazzola, eccellente sotto ogni aspetto, sia interpretativo che vocale: la linea di canto è salda eppure morbida, il fiato gestito con encomiabile simbiosi tra voce, bella, ed emissione, misurata. L’aria del secondo atto, infatti, non può che conquistare il pubblico (la cabaletta si sarebbe voluta col da capo), e il duetto con Violetta vede l’artista stagliarsi inquietante e inquieto sulla poveretta combattiva, in un passo a due sentimentale che non lascia indifferenti. Prevedibile e pieno successo per entrambi.
Molte bene anche Paolo Lardizzone, tenore vigoroso ed energico, vocalmente presentissimo e spavaldo in acuto, munito pure di una bella personalità. Il suo Alfredo alterna stati di abbandono a momenti più violenti e burrascosi, risultando pienamente convincente nella scena della vendetta, in cui sono palpabili i suoi sentimenti altalenanti.
Tra il bene e il benino il resto della locandina, in cui si segnalano le ottime prove di Ilaria Casai, Annina, e Alessandro Ceccarini, Dottor Grenvil.
La regia di Henning Brockhaus, con le scene di Josef Svoboda, per molti rappresenta ancora una coccola visiva cui non si può dire no, tanto fortunata che ormai è entrata nel lessico corrente con la definizione “degli specchi”: le quinte, infatti, sono tappezzate da tanti specchi quadrati che ne compongono uno solo, enorme e mobile, riflettente il palco e ciò che vi sta sopra, deformando, sdoppiando e ampliando la visuale di pubblico e personaggi, ma nei fatti opprimendo la protagonista, che osserva, quasi ingabbiata, la sua vita come pura proiezione di ciò che sembra ma che non potrà mai essere. L’impatto, soprattutto nei cambi scena, è sempre apprezzabile, al di là di una regia propriamente detta assai banalotta e stracolma di ballerini (bravi ma troppi): una Traviata, insomma, da vedere ed ascoltare più che da capire.
Mattia Marino Merlo
(8 dicembre 2024)
La locandina
Direttore | Nir Kabaretti |
Regia e Luci | Henning Brockhaus |
Scene | Josef Svoboda |
riprese da | Benito Leonori |
Light designer | Michele Della Mea |
Costumi | Giancarlo Colis |
Coreografie | Valentina Escobar |
Personaggi e interpreti | |
Violetta Valéry | Ruth Iniesta |
Alfredo Germont | Paolo Lardizzone |
Giorgio Germont | Simone Piazzola |
Flora Bervoix | Elena Belfiore |
Annina | Ilaria Casai |
Gastone | Francesco Napoleoni |
Barone Douphol | Tommaso Corvaja |
Marchese d’Obigny | Giorgio Marcello |
Dottor Grenvil | Alessandro Ceccarini |
Giuseppe | Tommaso Tomboloni |
Domestico/Commissario | Marco Innamorati |
Orchestra e Coro Arché | |
Maestro del Coro | Marco Bargagna |
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