Pisa: il Turco in Italia, regia e musica in simbiosi
L’amabile eretico Pier Paolo Pasolini, se avesse visto questo allestimento de Il turco in Italia, avrebbe fatto ripetuti e afflitti cenni di sì col capo: i protagonisti, infatti, sono vittime (in)consapevoli del consumismo e della società dei televisori stordenti, dei Postalmarket© cui vendere l’anima, impaludati in un vagheggiamento degli oggetti (veri o amorosi, entrambi usa e getta), in un pungente crollo psicofisico, in un edonismo sfrenato che è purissimo dramma borghese, quale il Turco è, con la sua malinconia onnipresente, che alla fine, quando la giostra degli scambi si ferma, rischia di ritornare al punto di partenza (e via di nuovo a girare, magari con un altro “turco” o “narciso”).
Roberto Catalano fa qualcosa di molto semplice e molto complesso insieme: legge e capisce libretto e musica, non tradisce nessuno dei due, e anzi è come se restituisse in atto ciò che è più o meno nascosto in potenza: Fiorilla, Don Geronio e Don Narciso si auto immolano al consumismo, alla noia borghese, all’indifferenza novecentesca, al culto dell’ego e dell’adulterio, e per questo pagheranno, tra sorrisi amari e lacrime dolci, con una ricomposizioni del quadro iniziale; gli zingari, invece, fanno da corrieri Amazon d’ogni ben di dio, perfino dell’amore, mentre Selim si trova intrecciato in un nodo avviluppato che rischia di strozzarlo, dunque via di nuovo in Turchia con la schiava ritrovata e perdonata (le usanze occidentali che restino tali); Prosdocimo è invece un geniaccio, un intrigante, uno scrittore a metà tra il verista e lo psicanalista letterario, che agita i composti nel suo taccuino-becher per vedere cosa viene fuori. Catalano, insomma, mette ogni idea al posto giusto – dalla moka per il caffè (Napoli al quadrato), alle merendine confezionate in cui Geronio affoga i dispiaceri (magari ha messo su qualche chilo anche per quelle) – e ogni dettaglio funziona benissimo, nei colori brillanti, nei costumi da graphic novel umoristica, nelle scenografie semplici ma vive, dove c’è tutto quel che serve e anche di più.
Molto interessante la direzione di Hossein Pishkar, giovane bacchetta che sa il fatto suo, a cominciare sia dal gesto limpido e preciso, che dal controllo del palco, mai abbandonato e sempre sostenuto (qualche eccesso nei volumi è peccato che si perdona volentieri, perché anche laddove i decibel aumentano, le voci non sono mai completamente sovrastate – ma attenzione). Quello che piace constatare è anche un’encomiabile attenzione ai colori, alle sfumature dinamiche (deliziose le sottolineature degli archi nell’ouverture), ma soprattutto agli scatti agogici mai indiavolati, a significare che quel “certo foco” rossiniano non è solo, e per fortuna, acceso da tempi inutilmente vertiginosi. Una bella prova, non c’è che dire, e l’Orchestra Giovanile Cherubini lo segue bene, senza particolari errori, splendente e rifinita. Buona la prova del Coro Lirico Veneto, che dà l’impressione di poter fare di meglio.
Il cast, molto affiatato e ben calato nell’idea registica, è nel complesso apprezzabile. L’indisposto Adolfo Corrado viene sostituito da Nahuel di Pierro nella parte di Selim: il basso argentino ha dalla sua grande esperienza; dunque, conosce bene la parte e la snocciola a dovere, con buon fraseggio e ottima recitazione; il timbro, però, non è ahimè dei più suadenti, e la tipologia vocale non è poi così “da basso”, anzi ben sviluppata in acuto (ma non esente da sbavature).
Giuliana Gianfaldoni, Fiorilla, annunciata indisposta, al netto di un assottigliamento del volume, canta assai bene, con colorature apprezzabili, acuti e sovracuti precisi, pianissimi suadenti e immedesimazione scenica rifinita; Francisco Brito tratteggia un Don Narciso efficace, ben cantato e fraseggiato, sicuro in alto, con una vocalità dolce eppure di bella polpa, molto addentro nel tipo umano dell’innamorato di se stesso.
Marco Bussi è uno spassosissimo ed impeccabile Don Geronio, dal bel timbro brunito, abile nello scilinguagnolo rossiniano e animato in scena da mille stimoli diversi: l’aria del secondo atto è accolta da forti applausi.
Mattatore sopraffino, artista di razza, baritono brillante di rara bravura, è Bruno Taddia come Prosdocimo, in un ruolo che si risolve quasi tutto nei recitativi, uno più arguto e cinico dell’altro.
Molto bene fa Francesca Cucuzza come agguerrita Zaida; molto meno bene Antonio Garés, con alcuni suoni fissi e, in alto, poco gradevoli (il giovane deve maturare).
Mattia Marino Merlo
(12 gennaio 2025)
La locandina
Direttore | Hossein Pishkar |
Regia | Roberto Catalano |
Scene | Guido Buganza |
Costumi | Ilaria Ariemme |
Luci | Oscar Frosio |
Coreografie | Marco Caudera |
Personaggi e interpreti: | |
Selim | Nahuel Di Pierro |
Fiorilla | Giuliana Gianfaldoni |
Don Geronio | Marco Bussi |
Don Narciso | Francisco Brito |
Prosdocimo | Bruno Taddia |
Zaida | Francesca Cucuzza |
Albazar | Antonio Garés |
Orchestra Giovanile Cherubini | |
Coro Lirico Veneto | |
Maestro del Coro | Alberto Pelosin |
Maestro al fortepiano | Riccardo Mascia |
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!