Verona: Minkowski scandaglia l’ultimo Mozart
A proposito delle tre ultime Sinfonie di Mozart, quel che ne pensa Marc Minkowski sta fra la tradizione esecutiva consolidata e la fascinosa per quanto astratta teoria di Nikolaus Harnoncourt. Nel 2014, due anni prima di morire, il grande direttore austriaco, uno dei capostipiti delle interpretazioni storicamente informate, aveva realizzato per Sony Classical un’incisione di K. 543, K. 550 e K. 551 – i tre capolavori del Classicismo venuti alla luce nell’arco di un mese e mezzo durante l’estate del 1788, in un impeto creativo senza eguali – teorizzando la loro appartenenza, in virtù di analogie compositive, ritorni tematici e clima espressivo, a un unico grande “Oratorio strumentale”.
Presentandosi sul podio dei suoi Musiciens du Louvre al Teatro Filarmonico, in occasione di uno degli appuntamenti clou del brillante festival “Mozart a Verona”, Minkowski si è rivolto al pubblico e in perfetto italiano ha brevemente spiegato che lui vede le tre Sinfonie in questione – ad esse era dedicato il programma della serata – come pagine che nella loro chiarezza formale sono accomunate da una sorta di spirito rappresentativo. Di più, il direttore francese ha specificato, prima di attaccare, che ciascuna Sinfonia può essere definita in relazione al suo legame con gli elementi primordiali, ed ha anche fornito un “apparentamento” fra essi e le partiture, implicita “guida” per addentrarsi nel pensiero musicale mozartiano. E dunque, la Sinfonia in Mi bemolle maggiore K. 543 è stata proposta come ideale rappresentazione sonora dell’Acqua e quella in Sol minore K. 550 del Fuoco. Chi riteneva che secondo questa successione la “Jupiter” in Do maggiore, K. 551, dovesse essere “collegata” all’Aria è rimasto però spiazzato: per Minkowski questo è il lavoro che rimanda alla Terra. Con buona pace del padre degli dèi al quale questa composizione è intitolata, peraltro in maniera apocrifa e tardiva.
Dunque, non un “Oratorio” da eseguire senza soluzione di continuità, come voleva Harnoncourt e come non è avvenuto a Verona, ma in certo modo i tre atti di una rappresentazione dell’umano nella sua capacità di raggiungere il sublime senza mai perdere il contatto con i propri elementi costitutivi, come avviene in questi tre capolavori.
Poi, oltre le speculazioni, le teorie e l’immaginazione, quello che rimane al centro è comunque il fatto musicale nella sua essenza. Ed è di esso che Les Musiciens du Louvre, al loro debutto assoluto sulla scena veronese grazie all’Accademia Filarmonica, hanno fornito un “ritratto” di magistrale profondità. Fondata oltre quarant’anni fa da Minkowski, questa orchestra non fa dell’esecuzione con strumenti originali un punto di arrivo fine a sé stesso, ma un punto di partenza per entrare nel mondo dello stile e del pensiero degli autori che affronta. Il Mozart dei francesi, per esempio, mostra di avere alle radici la grande tradizione del Barocco tedesco, che del resto, all’epoca delle tre ultime Sinfonie era ormai da anni pane quasi quotidiano di studio e di recupero esecutivo per il salisburghese: vi si trova infatti la sottolineatura di una tradizione fatta di rigore, equilibrio, eleganza sofisticata nella scrittura spesso contrappuntistica. Questo approccio, tuttavia, non rinuncia a esaltare con frondosa ricchezza di suggestioni timbriche la personalissima elaborazione realizzata dal compositore sulla struttura stessa dello stile Classico, nella quale le tipiche coordinate formali con sono mai un vincolo che limita la ricchezza e la varietà delle istanze espressive.
Il risultato è stato un “suono d’epoca” calato con straordinaria naturalezza nella rivelatoria dialettica delle parti: una scelta che lungi dal risultare rinunciataria o perfino sommaria, si è affermata come valore estetico primario nell’equilibro impeccabile fra le sezioni degli archi e nella loro duttile immediatezza; nel gioco scintillante e incline alla continua elaborazione espressiva dei fiati, fra i quali hanno assunto una primazia altre volte insospettabile i fagotti; nella rigorosa brillantezza degli ottoni, che hanno animato il discorso fra le parti con grande nitidezza ed efficacia, quasi sempre lontano dalle piccole défaillances tecniche probabilmente inevitabili in questo tipo di esecuzioni.
Se si aggiunge la raffinata sottigliezza dell’interpretazione di Minkowski, nella quale i tempi sono sempre coinvolgenti e a volte travolgenti senza che mai si perda alcun dettaglio, il fraseggio è franto e multiforme, quasi ad inseguire le sfumature di una declamazione attoriale e le dinamiche sono di inesauribile mobilità e di sbalorditiva varietà, si ha il quadro di una serata a tutti gli effetti speciale. Storicamente informata anche nella scelta di evitare a volte la ridondanza dei “da capo”, a favore della drammatica immediatezza della “narrazione”, pur nel rispetto rigoroso, e fervido di suggestioni espressive, dell’equilibro fra le parti. E quindi, Sinfonie più brevi rispetto alla tradizione esecutiva e talvolta perfino rispetto all’incisione discografica dello stesso Minkowski con Les Musiciens du Louvre (Deutsche Grammophon Archiv, 2006). Ma senza ombra di dubbio complete, tali da illuminare di una luce un po’ meno monumentale (nel senso della retorica lasciata da un secolo e mezzo di esecuzioni lontane dalla filologia) questi tre capolavori che parlano un linguaggio altissimo con un lessico musicale di affascinante essenzialità.
Teatro Filarmonico quasi al completo, consensi di vivo apprezzamento e bis nel nome di Rameau: un raffinato distillato di eleganza a rimpiattino fra archi e fiati.
Cesare Galla
(13 gennaio 2023)
La locandina
Direttore | Marc Minkowski |
Les Musiciens du Louvre | |
Programma: | |
Wolfgang Amadeus Mozart | |
Sinfonia in mi bemolle maggiore n. 39 KV 543 | |
Sinfonia in sol minore n. 40 KV 550 | |
Sinfonia in do maggiore n. 41 “Jupiter” KV 551 |
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