Milano: allo Spazio Teatro 89 grand soirée monteverdiana
La verità è che la musica di Monteverdi ha la forza, sempre sconvolgente, di palesarsi potentissima e piena d’ogni suo affetto anche nella periferia milanese, e questo sorprende positivamente, al di là della bontà del progetto complessivo, non tanto perché siamo distanti da quei teatri in cui siamo abituati a vederlo e sentirlo (ancora troppo poco spesso, ahimè), ma soprattutto perché allo Spazio Teatro 89 si nasconde una gioia atipica, mista a stupore, che si rivela in un pubblico eterogeneo, spettinato e curioso, capace di commuoversi, strabiliarsi e piangere (perché col Divin Claudio va così), e di mostrare una profondità di comprensione e accoglienza che talvolta non si rileva neppure in luoghi ben più celebri e celebrati.
Il progetto accennato, vero tripudio nonteverdiano, si calibra su un pomeriggio diviso in due parti: la prima cogli allievi della Masterclass di Interpretazione di Monteverdi, tenuta da Sonia Prina – celebre contralto che conosce il compositore cremonese come un parente stretto; la seconda composta da quattro pezzi, celeberrimi e bellerrimi, eseguiti e messi in scena senza soluzione di continuità – impresa bella e difficile – dai vincitori del Concorso Aliverta ‘24 e dal Quartetto Alla Maniera Italiana, diretto da una Prina debuttante sul podio (e che debutto!).
Innanzitutto vanno ringraziate le quattro giovani voci femminile che hanno deciso di offrirci un gradevole excursus dell’opera monteverdiana: ciò che si nota, perfino in un giovanissimo soprano cinese, è la grande attenzione, maniacale perché così dev’essere, alla parola, al verso, al senso dei termini presi da soli e in relazione agli altri, e poi la giusta e fondamentale insistenza sulla prosodia metrica e musicale; dunque, al di là di alcune fisiologiche acerbità vocali (Monteverdi è palestra faticosa, certo, perché “spoglia” l’interprete, ma dà anche ottimi frutti), certe voci, in particolare quelle di Veronika Ruello ed Elena Antonini, si mettono in rilievo per la bellezza dello strumento, per la sicurezza della tecnica, per la pulizia della linea di canto, anche nei preziosismi vocali, e per una non secondaria scioltezza in scena.
Finite le esibizioni, giusto il tempo di portare sul palco un letto d’ospedale avvolto in bianche lenzuola, due cuscini, un’asta portaflebo, due sedie, un tavolinetto, di spargere a terra una miriade di fogli scritti di musica e parole, e succede l’inaspettato, perché quello che si credeva un pomeriggio tranquillo inizia a lavorare per smuoverci dentro emozioni sopite. Si parte da Il combattimento di Tancredi e Clorinda, dalla follia amorosa e vitale che pervade le sublimi stanze del Tasso, ed ecco che, dopo breve riflessione, l’idea d’ambientare il tutto in una clinica psichiatrica non è più peregrina: il sommo Torquato fu rinchiuso in un reparto di pazzi per sette anni, all’Ospedale Sant’Anna di Ferrara, perciò il tenore-internato, Tasso e Tancredi insieme, coinvolge un’altra povera anima reclusa nel suo gioco stravagante di sdoppiamenti e sovrapposizioni. I cuscini diventano armi e scudi, l’asta della flebo un’arma micidiale, e dal primo madrigale si passa a Il lamento d’Arianna, in cui crolla la lucidità del soprano e la donna si fa triste, sconsolata, sempre più persa, finché non canta Se i languidi miei sguardi, e l’amico d’ospedale è sempre più vicino, sempre più solidale. Sì dolce è’l tormento chiude il fluire dei sentimenti con un’apertura malinconica sul futuro: il tenore-poeta-compositore regala all’amata delle ali di spartiti (immagine potentissima), cosicché lei possa volare via e passare oltre; lo struggimento si lega al dubbio: è viva? è spirata? è ancora lì con lui? forse non c’è mai stata davvero…
I due interpreti, al di là di un malanno di stagione, si spremono in tutti i sensi, e mettono in campo pregevoli doti vocali: Matteo Laconi ha ottima omogeneità e timbro di bel colore, fraseggio rifinito e sostegno tecnico adeguato alle prodezze vocali; Ludovica Casilli ha figura incantevole, voce dai colori suadenti e mostra grande perizia d’analisi sulla parola; poi entrambi recitano bene, e questo è anche merito di Sergey Egorov, la cui idea non ci si aspettava tanto ben realizzata e impattante. Infine un plauso assai sonoro all’ensemble strumentale, abilissimo nel trascolorare da un pezzo all’altro, e a Sonia Prina, che ha guidato, come fosse un solo polmone, palco e buca, con la pregnanza stilistica che si vorrebbe per un’intera opera.
Mattia Marino Merlo
(19 gennaio 2025)
La locandina
Direttrice | Sonia Prina |
Tenore | Matteo Laconi |
Soprano | Ludovica Casilli |
Regista | Sergey Egorov |
Quartetto Alla Maniera Italiana | |
Violino | Giacomo Coletti e Stefano Raccgni |
Viola | Alessia Menin |
Violoncello | Anna Camporini |
Basso continuo | Andrès Gallucci |
Programma: | |
Prima parte | |
“Pur ti godo” | |
Xiner Li – Adagiati Poppea | |
Veronika Ruello – Quel guardo sdegnosetto | |
Elena Antonini – Addio Roma | |
Sibilla Berardi, Xiner Li – Pur ti miro | |
Veronika Ruello, Elena Antonini – Idolo del cor mio | |
Seconda parte | |
“Pur ti miro” | |
Il combattimento di Tancredi e Clorinda | |
Il lamento di Arianna | |
Se i languidi miei sguardi | |
Sì dolce è il tormento |
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