Vicenza: ripercorrendo Ravel
A 150 anni dalla nascita (7 marzo 1875), la figura di Maurice Ravel rimane – almeno a queste latitudini – quella di un musicista raffinato e appartato, noto per pochi lavori specialmente nell’ambito della scrittura per orchestra, nella quale eccelleva, probabilmente all’epoca senza possibili confronti: il Boléro, soprattutto, e la Rapsodie Espagnole, La Valse, la Suite dal balletto Daphnis et Chloé, i due Concerti per pianoforte e orchestra. E poi, la trascrizione per grande orchestra dei Quadri di un’esposizione, composizione pianistica di Modest Musorgskij assurta in questa veste a nuova e ben più significativa vita concertistica, evidenza parziale (ma molti altri sarebbero gli esempi da citare) di quanto il compositore francese – che visse anch’egli l’epopea parigina del geniale impresario di balletti Sergej Djagilev, l’uomo che lanciò Stravinskij in Occidente – sentisse il fascino del Pianeta Russia. Un lavoro tale, questa trascrizione, che ormai da tempo – nelle locandine – Ravel è assurto giustamente al ruolo di co-autore.
Tutto il resto, o quasi, è confinato alla curiosità degli appassionati e al senso di sfida dei promotori di concerti, oltre che all’intelligenza degli interpreti. E non sarà l’anniversario a cambiare la percezione di un autore che pure all’inizio degli Anni Trenta era fra i musicisti più in vista in assoluto, a livello planetario. E al quale una morte prematura impedì di confrontarsi con la modernità che avanzava dopo il modernismo, se è consentito il gioco di parole. Se ne andò infatti nel 1937, a 62 anni, pochi mesi dopo il suo collega e buon conoscente George Gershwin, incontrato di qua e di là dell’Atlantico, studiato e considerato abbastanza per dissuaderlo dal prendere lezioni da lui, e per decidere di scrivere un movimento di Sonata per violino e pianoforte intitolandolo, a piena ragione, Blues.
Si parla di un catalogo piuttosto consistente di brani per voci e strumenti vari di accompagnamento, dal pianoforte ai gruppi da camera e all’orchestra – l’unico genere coltivato dall’inizio alla fine della sua attività, in sostanza senza pause. E poi di due opere – una buffa (L’heure espagnole, commedia salace ambientata nella bottega di un orologiaio) e una “fantastica” (L’enfant et les sortilèges, libretto di Colette, protagonista un bambino contro le cui marachelle si ribellano i suoi giocattoli); nonché di vari lavori capitali nell’ambito del pianoforte e della musica da camera. In questi ultimi, i due poli creativi sono costituiti dalla tradizione tardo-romantica – elaborata con una finezza e una forza di astrazione decisamente straordinarie – e dal gusto per l’esotismo, per le musiche altre, per i ritmi originali e “forestieri”. Con il comune denominatore di un “pensiero sonoro” che spesso promana da invenzioni letterarie multiformi e talvolta anch’esse esotiche, ed è capace di rendersene interprete quasi sempre proponendo uno scatto espressivo che evita a queste composizioni la semplicistica etichetta di “musica a programma”.
Con queste premesse sulla presenza di Ravel nella vita concertistica italiana, era quasi inevitabile che il concerto proposto da musicisti raffinati quali il pianista Pietro De Maria, il violinista Massimo Quarta e il violoncellista Enrico Dindo per la stagione della Società del Quartetto di Vicenza proponesse almeno una vera e propria rarità. Così va considerata la Sonata per violino e violoncello, proposta in apertura di serata: un brano poco apprezzato fin dal suo primo apparire (fu eseguita per la prima volta nel febbraio del 1922, dopo un lavoro compositivo durato un paio d’anni) e ben presto relegato sullo scaffale delle “stranezze” dell’autore del Boléro. Il che ha significato confinarlo nel limbo esecutivo.
In realtà l’ascolto ha messo in evidenza quanto magistrale sia questa partitura, resa ancora più affascinante dalla maestria di Quarta e Dindo, che hanno accettato con sensibilità e profondità di pensiero interpretativo il “gioco” inscenato dal compositore con la frequente inversione dei ruoli, la tensione all’interno dell’ambito armonico (fino alla duplicazione della tonalità), la tesa definizione timbrica e sonora, che insegue in una musica a due parti la dimensione del quartetto, la inessenziale caratterizzazione melodica. Per dirla con Mario Bortolotto: «qui Ravel è violentemente sperimentale». Quindi moderno più dei modernisti, che nello stesso torno di tempo si trastullavano con il neoclassicismo più o meno di maniera. Semmai, il linguaggio del compositore francese è in questo lavoro singolarmente vicino a quello di Bartók, e tiene probabilmente conto del Duo di Kodály, composto alcuni anni prima.
La serata si è poi conclusa con il Trio con pianoforte violino e violoncello, la pagina che nel catalogo cameristico di Ravel precede la Sonata per violino e violoncello, però al di qua della Grande Guerra (fu composto infatti nel 1914). Qui De Maria, Quarta e Dindo si sono fatti apprezzare per la chirurgica essenzialità del fraseggio (specie nel Pantoum del secondo movimento e nel Finale), per la qualità mai banale delle definizioni timbriche, per l’eloquenza “parlante” delle dinamiche, per il fascinoso equilibro dinamico assicurato all’insieme dall’evidenza consapevolezza stilistica a fronte di una pagina che non ha lo stesso stacco modernista dell’altra ma rifiuta ogni apparentamento con la maniera, specialmente nella vivacità delle scelte ritmiche.
Il centro della serata era affidato alle atmosfere noir di Gaspard de la nuit, il prodigioso trittico con cui Ravel nel 1908 consegna al pianoforte le chiavi della letteratura “frénetique” primo Ottocento di Aloysius Bertrand, filtrate attraverso la “sensiblerie” di Baudelaire e di Mallarmé. De Maria ne ha offerto una lettura per così dire votata all’essenziale: del tocco, dei colori, della sottigliezza espressiva. Chiamato a scendere in fondo al mare (Ondine), ad aggirarsi nel cupo paesaggio urbano in cui si erge una forca con il suo carico umano (Le gibet), a testimoniare le inquietanti o francamente terrificanti apparizioni di una sinistra figura di nano (Scarbo), il pianista veneziano ha scelto la strada di un’esecuzione nitidamente espressiva, che affondava le radici nel gusto tardoromantico più che additare sviluppi espressivi anticipatori della modernità, ma lo ha tenuto lontano da ogni sospetto di maniera grazie al ben congegnato quanto raffinato controllo delle trascendentali difficoltà esecutive della partitura e alla definizione di un suono “medio” dalle forti valenze suggestive.
La sala del Ridotto del Teatro Comunale di Vicenza era quasi al completo e il pubblico ha mostrato di apprezzare sia la scelta sofisticata del programma sia la sua resa interpretativa. Alla fine, De Maria ha preso la parola per dedicare il concerto a Maria Tipo, scomparsa poche ore prima: la grande pianista e didatta era stata sua maestra e guida all’inizio della carriera, ed è stata ricordata con accenti commossi. Come bis è stato riproposto il Pantoum dal Trio.
Cesare Galla
(10 febbraio 2025)
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La locandina
Pianoforte | Pietro De Maria |
Violoncello | Enrico Dindo |
Violino | Massimo Quarta |
Programma: | |
Maurice Ravel | |
Sonata per violino e violoncello | |
Gaspard de la Nuit | |
Trio in La minore |
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