Parigi: l’Orfeo intimo, secondo Carsen, in scena al Théâtre des Champs-Elysées
Orfeo è l’artista per eccellenza, che dell’arte incarna i valori eterni.
I temi chiamati in causa dal suo mito – l’amore, l’arte, l’elemento misterico – sono il motivo di una fortuna senza pari nella tradizione letteraria, filosofica, musicale, culturale e scultorea che l’hanno rappresentato.
Secondo le più antiche fonti Orfeo era nativo di Lebetra in Tracia, terra in cui fino ai tempi di Erodoto era testimoniata l’esistenza di sciamani che fungevano da tramite fra il mondo dei vivi e quello dei morti, capaci, tra l’altro, di provocare uno stato di trance tramite la musica.
Figlio di una Musa, Calliope, e di Eagro, sovrano di Tracia, Orfeo appartiene alla generazione precedente a quella degli eroi che parteciparono alla guerra di Troia. Secondo un’altra versione Orfeo fu invece discendente di Atlante e, con la potenza incantatrice della sua lira e del suo canto, placava le bestie feroci e animava le rocce e gli elementi della natura.
Orfeo, in ogni caso, fonde in sé gli elementi apollinei e quelli dionisiaci: è un eroe culturale, benefattore del genere umano, promotore delle arti e maestro religioso ma gode, nello stesso tempo, di un rapporto simpatetico con il mondo naturale.
Una delle più celebri rappresentazioni del mito di Orfeo e del suo amore per Euridice è l’opera in tre atti composta da Christoph Willibald Gluck su libretto di Ranieri de’ Calzabigi che coniuga la mitologia dell’argomento con cori e danze come era costume nel genere dell’azione teatrale. Rappresentata per la prima volta a Vienna il 5 ottobre 1762 Orfeo ed Euridice aprì la stagione della cosiddetta riforma gluckiana, con la quale il compositore tedesco e il librettista livornese si proponevano di semplificare al massimo l’azione drammatica.
Dodici anni più tardi, Gluck rimaneggiò profondamente la propria opera per adeguarla agli usi musicali di Parigi. Il libretto era stato tradotto in francese e ampliato da Pierre Louis Moline, con nuova orchestrazione commisurata ai più ampi organici dell’Opéra, parecchia musica nuova e imprestiti da opere precedenti oltre a un più largo spazio dato alle danze.
Orfeo ed Euridice nella versione viennese è appena tornato sulla scena parigina del Théâtre des Champs-Elysées in un’edizione “all star” che si concentra sulla vicenda umana del protagonista. Lo spettacolo di Robert Carsen che ne firma la regia e le luci con Peter van Praet, mentre scene e costumi sono opera di Tobias Hoheisel, è di un’asciuttezza e di una pulizia senza pari. Rielaborazione di un precedente allestimento andato in scena dieci anni fa a Chicago, quest’Orfeo parigino ripresenta la storia d’amore e morte del celebre cantore come un dramma privato in cui il dolore delle prime scene – Orfeo vuole gettarsi nella fossa in cui è sepolta Euridice e tenta addirittura il suicidio – ha la sua naturale evoluzione nella discesa agli inferi cui il coro partecipa attivamente e nel nuovo incontro con la donna amata che, nel finale, lieto, è il clone di Amore che con il suo uomo l’ha rimessa in contatto.
Orfeo, oggi più che mai, è però anche la sua voce. A Vienna fu quella di un contraltista castrato, a Parigi quella di un tenore, in epoca moderna Orfeo è sempre stato affidato ai più grandi mezzosoprani e contralti delle ribalte internazionali. Il Théâtre des Champs-Elysées ha fatto una scelta diversa e ha dato a un controtenore fra i più richiesti del momento, Philippe Jaroussky, che è però sopranista e cui, in un certo senso, la tessitura di Orfeo non dovrebbe convenire, l’occasione di debuttare nel capolavoro di Gluck.
Con qualche aggiustamento e forte di una presenza scenica e di una recitazione soggioganti, Jaroussky ha avuto modo di vincere la sfida e di aggiungere Orfeo ai suoi grandi personaggi vivaldiani e haendeliani. Tanto più che, dopo le recite parigine e quelle immediatamente successive all’Opéra Royal del Castello di Versailles, lo spettacolo e il suo protagonista saranno in tournée a Toronto, Chicago e all’Opera di Roma che hanno coprodotto la nuova impresa carseniana.
Accanto al nuovo Orfeo sono un’Euridice di forte impatto, scenico e vocale, come Patricia Petibon cui solo si può rimproverare, come a Jaroussky del resto, una restituzione del testo italiano un po’ evanescente, l’impeccabile Amore di Emöke Barath e, magnifico, il Coro di Radio France preparato da Joël Soubiette.
In buca, a capo dei suoi I Barocchisti, un complesso eccellente e giustamente celebrato, Diego Fasolis tiene le fila del discorso musicale con grande competenza e l’ora e mezzo di musica e di spettacolo finiscono per catturare l’attenzione del pubblico, numeroso e partecipe, che affollava il Théâtre des Champs-Elysées e che al termine della rappresentazione cui abbiamo assistito, ha festeggiato con calore tutti gli artefici della serata, Carsen compreso.
Rino Alessi
(31 maggio 2018)
La locandina
Direttore | Diego Fasolis |
Regia | Robert Carsen |
Scene e costumi | Tobias Hoheisel |
Luci | Robert Carsen, Peter Van Praet |
Personaggi e interpreti: | |
Orfeo | Philippe Jaroussky |
Euridice | Patricia Petibon |
Amore | Emőke Baráth |
I Barocchisti | |
Chœur de Radio France |
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!