Budapest: Nel Fliegender Holländer 2.0 va in scena la condanna del conformismo
“Der fliegender Holländer si rappresenta più o meno sempre uguale a se stesso fin dal 1843, perché allora non dargli una rinfrescata portandolo più vicino alla sensibilità contemporanea? Anzi no, visto che ci siamo raccontiamo direttamente una storia nuova, inventata da zero; è più divertente.”
Questo potrebbe essere il pensiero, in una nostra un po’ temeraria ipotesi, che ha spinto Balázs Kovalik all’elaborazione di un progetto drammaturgico che chiameremo Holländer 2.0 in scena al Müpa nell’ambito dei Budapesti Wagner napok.
L’azione resta in Norvegia, lo sottolinea con forza la gran quantità di bandiere incontrovertibilmente norvegesi, ma il tutto il resto cambia in funzione del nuovo percorso narrativo.
Un preambolo mostra un cantante d’opera acclamato alla fine di un concerto e tampinato da Mary in cerca di autografi e forse anche di qualcos’altro: è lui l’Olandese, o meglio l’interprete dell’Olandese. Nel corso dell’ouverture scopriamo che Senta è una groupie sfegatata, e con tendenze suicide-omicide, dell’Olandese e che è fidanzata con Erik, uno che non ha le idee chiarissime visto che gioca a travestirsi con l’ abito da sposa dell’amata. Daland è a capo di una florida società che gestisce con l’aiuto del pugno di ferro del Timoniere e di altri accoliti tra cui alcune donne “uome”, tutti armati e cattivissimi, oltre che dediti a seviziare ragazzine minorenni che cercano invano di sottrarsi al loro dominio. Vivono tutti felici nello scheletro candido di una Mjødhall vichinga, girevole, immaginata da Péter Horgas e che si potrebbe reperire facilmente, smontata e sotto il nome di Kåsa, in uno dei negozi della nota catena della nazione confinante con la suddetta Norvegia. Le donne, quelle che non sono “uome”, invece di fare le filatrici si occupano di lavatrici in cui si centrifugano allegramente graziosi orsacchiotti di peluche, ma attenzione, Kovalik ci tiene a precisare che non vi è analogia alcuna tra arcolaio e centrifuga in quanto «La lavatrice è simbolo del mondo consumista e conformista nel quale si ricerca la comodità e la tranquillità». La vicenda si dipana tra majorettes e marinaretti, ragazze che fanno jogging, tifosi norvegesi con elmi di pezza con tanto di corna e l’equipaggio dannato dell’Olandese in nero e sempre sullo sfondo, tutti vestiti, piuttosto bene, da Mari Benedek e danzanti sulle coreografie spericolate e folli di Dániel Ódor.
Alla fine non muore nessuno, nessun sacrificio si compie in nome della redenzione: l’Olandese riprenderà il suo trolley con dentro l’abito di scena e se ne andrà per la sua strada lasciando Senta ad ascoltare in cuffia uno dei suoi dischi, in preda ad una specie di trance mistica.
Ci è piaciuto? Non esattamente, però al pubblico sì, e parecchio. Dobbiamo comunque dare atto a Kovalik di una straordinaria capacità di riempire lo spazio teatrale in maniera completa e di saper muovere solisti e masse con una fluidità strabiliante. È teatro che ci lascia perplessi ma comunque è teatro.
Di ottimo livello la compagnia di canto con su tutti l’Olandese dal fraseggio perfetto e imponente nella vocalità di John Lundgren, in grado di scandagliare ogni più remota sfumatura del personaggio.
Elisabet Strid disegna una Senta intensa e che esibisce un canto riccamente colorato e ben sfaccettato negli accenti, così come Ric Furman è Eric dalla fisicità prorompente e dal fraseggio rigoglioso.
Ottimo il Daland mellifluo e spietato di Liang Li, che la natura ha dotato di voce sopraffina e semplicemente incantevole lo Steuermann di Franz Gürtelschmied.
Sugli scudi i due Cori, preparati da Zoltán Pad e Csaba Somos.
Non indimenticabile la direzione di Michael Boder che, alla testa di una precisa Orchestra Sinfonica della Radio Ungherese, indulge in calligrafismi talora eccessivi trascurando la ricchezza dinamica e ritmica della partitura, privilegiando il “suono bello” a scapito del “suono vero”.
Applausi per tutti.
Alessandro Cammarano
(Budapest, 8 giugno 2018)
La locandina
Direttore | Michael Boder |
Regia | Balázs Kovalik |
Scene | Péter Horgas |
Costumi | Mari Benedek |
Coreografia | Dániel Ódor |
Assistente alla regia | Zsófia Geréb |
Daland | Liang Li |
Senta | Elisabet Strid |
Erik | Ric Furman |
Mary | Bernadett Wiedemann |
Steuermann | Franz Gürtelschmied |
Der Holländer | John Lundgren |
Hungarian Radio Symphony Orchestra and Choir | |
Hungarian National Choir | |
Maestri dei Cori | Zoltán Pad, Csaba Somos |
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