Fiume: una Norma in fuga dalla tradizione Neoclassica
Non si è ancora spenta l’eco dell’ultima Norma di Mariella Devia alla Fenice, che il Teatro Ivan Zajc di Rijeka, l’antica Fiume, chiude la sua stagione 2017/2018 con un nuovo allestimento dell’opera di Bellini assente dalle scene della città croata dal 1996.
Tratta dalla tragedia di Louis-Alexandre Soumet (1786-1845) Norma, ou L’infanticide, Norma è la più popolare tra le dieci opere di Vincenzo Bellini. Composta, nel 1831, in meno di tre mesi su un libretto di Felice Romani, fu tenuta a battesimo alla Scala il 26 dicembre di quello stesso anno, a inaugurazione della stagione di Carnevale e Quaresima 1832.
Il soggetto, ambientato nelle Gallie al tempo dell’antica Roma, presenta espliciti legami con il mito di Medea. Fedele a quest’idea di classica sobrietà, Bellini adottò per Norma una tinta orchestrale particolarmente omogenea, relegando l’orchestra al ruolo di accompagnamento della voce.
Alla prima l’opera andò incontro a un fiasco clamoroso, dovuto sia a circostanze legate all’esecuzione, sia alla presenza di una “claque” avversa a Bellini e alla primadonna, il soprano Giuditta Pasta. L’inconsueta severità della drammaturgia e l’assenza del momento di maggiore effetto, il grande concertato che tradizionalmente chiudeva il primo dei due atti, qui sostituito da un terzetto tra le due donne rivali in amore e l’oggetto della loro contesa con interventi corali fuori scena, spiazzò il pubblico milanese. Cavallo di battaglia di ogni grande Primadonna votata al Belcanto, Norma, a dispetto della sua complessità, è sempre rimasta nel repertorio dei teatri, grandi e piccoli, Ivan Zajc compreso.
Lo spettacolo visto a Fiume più che sul nome della protagonista in scena puntava su quello della primadonna che ha ideato il progetto drammaturgico che dello spettacolo è origine: Dunja Vejzovic. L’artista croata è non solo un’icona del canto wagneriano per le sue numerose e indimenticabili collaborazioni con Herbert von Karajan, ma è la musa ispiratrice di Christian Romanowski che di questa Norma fiumana firmava la regia, le scene e il disegno luci e si avvaleva della collaborazione di Dzenisa Pecotic per i costumi.
Lo spettacolo è, in effetti, molto originale e ripresenta il mito di Norma in una veste spoglia, lontana dal neoclassicismo della tradizione, per immergerla in un clima severo e lunare. Gli elementi scenici sono pochissimi e largo spazio è dato alla ritualità che si accompagna al ruolo sacerdotale di Norma. La sua apparizione nel primo atto, installata su una sorta di portantina sopraelevata, è di effetto. Come bella evidenza ha la sua trasformazione da vergine orante in madre affettuosa e amante appassionata nelle scene in cui emerge il suo privato “scandaloso”, tenuto nascosto al padre Oroveso, che non a caso lo spettacolo rappresenta cieco.
Una Norma emozionante sotto il profilo scenico, insomma, cui non corrisponde sul piano musicale un’esecuzione altrettanto originale.
Daria Masiero, nel ruolo del titolo, è una buona artista, preparata e molto professionale, ma è un soprano sostanzialmente lirico cui, di là da ogni paragone impossibile, di Norma sfugge la complessità. Il canto è corretto, certo, il legato belliniano rispettato, l’agilità a posto, mancano il carisma e i dettagli caratteriali di un personaggio diviso a metà e perciò stesso così difficile da restituire. Mario Zeffiri in Pollione pone problemi di altra natura. Tenore rossiniano in origine e a suo agio nelle elevate tessiture del pesarese, qui l’artista greco si confronta con una tessitura centralizzante. Di là dalla forte presenza scenica, il risultato è alterno e, nonostante qualche aggiustamento per rendersi la parte più comoda, quello che si riscontra nel suo Pollione è un canto forzato e poco in sintonia con la purezza della linea melodica del catanese.
Nonostante ne fosse stata annunciata un’indisposizione, chi ha imposto una presenza forte nello spettacolo è stata l’Adalgisa di Diana Haller, fiumana di origine e quindi molto attesa in questo debutto. Linea di canto morbida, fraseggio accurato, agilità irreprensibili, timbro vellutato, la Haller è stata in tutto e per tutto all’altezza della sua fama che, non a caso, la sta rivelando, specie nel repertorio barocco, come un elemento molto interessante nel panorama lirico internazionale. Un’Adalgisa di lusso.
Bene, come si suol dire, gli altri ossia Slavko Sekulic, Oroveso, l’intensa Clotilde di Emilia Rukavina, Matej Predojevic Petric che è Flavio e il Coro stabile del Teatro Ivan Zajc di Fiume preparato a dovere da Nicoletta Olivieri e Domeniko Briski.
Dirigeva, con competenza e buona scelta di tempi, Stefano Rabaglia. Norma però, per il direttore d’orchestra è un osso duro e restituirne efficacemente l’uniformità della tinta e la purezza lunare delle melodie è impresa che riesce a pochi. Nella fattispecie, l’impresa è riuscita a metà, e l’Orchestra stabile del Teatro Nazionale Croato di Fiume è incorsa, più d’una volta, in incidenti di percorso che hanno inficiato la complessiva buona esecuzione del capolavoro belliniano. Alla prima pubblico molto attento, partecipe e generoso di applausi.
Rino Alessi
(11 giugno 2018)
La locandina
Direttore | Stefano Rabaglia |
Regia | Christian Romanowski : Dunja Vejzović |
Costumi | Dženisa Pecotić |
Scene | Christian Romanowski |
Luci | Christian Romanowski |
Personaggi e interpreti: | |
Pollione | Mario Zeffiri |
Oroveso | Slavko Sekulić |
Norma | Daria Masiero |
Adalgisa | Diana Haller |
Clotilde | Emilia Rukavina |
Coro e Orchestra stabile del Teatro Nazionale Croato di Fiume |
Condividi questo articolo