DIALOGHI (IM)POSSIBILI #2: GAC – Gruppo Autoaiuto Compositori (Cronaca semiseria di un ipotetico incontro)
Alessandro Cammarano, critico musicale e storico della musica, ha immaginato per noi questa sua singolare esperienza di coordinatore di un impossibile eppur plausibilissimo incontro fra i compositori in programma questa sera.
PREAMBOLO
Da un po’ di tempo mi frullava in testa l’idea di impegnarmi nel “sociale”, di fare del volontariato; di dare una mano a chi ne ha bisogno, insomma. Tra il dire e il fare ce ne passa, più cercavo e meno trovavo; giornate intere a fare ricerche su associazioni, cooperative, gruppi, coordinamenti vari nella speranza, sempre più fioca, di trovare qualcosa nella quale potessi essere davvero di aiuto, qualcosa di attinente alla musica. Niente, per settimane, poi, all’improvviso e quando stavo per gettare la spugna mi imbatto nel GAC – Gruppo Autoaiuto Compositori: bingo! Inizio a raccogliere materiale, leggo, mi informo, anche se il gruppo è alquanto riservato e parco nel rilasciare informazioni e, finalmente, mi metto in contatto. La responsabile è una vecchia signora, Madame Solange, arcigna ma gentile, discendente da nobile famiglia decaduta; superato un colloquio preliminare mi viene affidato un gruppo “abbastanza omogeneo”, assicura madame.
Si riunisce il giovedì sera il GAC e io, puntuale e ignaro di ciò che mi attende, mi presento all’indirizzo dato: un caffè parigino, o meglio una saletta interna tutta velluto rosso e cortine compiacenti… e un pianoforte, un Érard biondo e austero. Da qui parte il mio racconto di una serata strana ed emozionante.
Per facilitare la lettura è bene identificare i partecipanti alla soirèe.
A: Alessandro, Io “narrante”
Ravel: Maurice Ravel (il narciso)
Honegger: Arthur Honegger (l’introverso)
Ibert: Jacques Ibert (lo sperimentatore)
Piazzolla: Astor Piazzolla (il jolly)
Parigi: Café du Pentagramme, un giovedì sera di qualche tempo fa.
A: Buonasera signori, sono alla mia prima esperienza come coordinatore di un gruppo di autoaiuto e spero vogliate perdonare la mia timidezza. Vogliamo iniziare con le presentazioni? Sono Alessandro Cammarano, critico musicale.
Ravel, Honegger, Ibert : Bonsoir Alessandro.
A: Volete, per sciogliere l’imbarazzo iniziale, presentarvi a vostra volta?
Ravel: Sono Maurice Ravel e sono un compositore.
A, Honegger, Ibert: Benvenuto Maurice!
Honegger: Sono Arthur Honegger e sono un compositore.
A, Ravel, Ibert: Buonasera Arthur!
Ibert: Buonasera, Sono Jacques Ibert e sono anche io un compositore.
A, Ravel, Honegger: Benvenuto Jacques.
A: Entriamo nel vivo. Chi Inizia a parlare? Ricordate che, nei limiti imposti dall’educazione, la discussione è libera.
Honegger: Posso cominciare io? Vorrei parlare di una mia composizione che mi sta particolarmente a cuore. Ricordarla mi fa sentire bene.
A: Prego.
Honegger: Si tratta della mia Pastorale d’ été. Avevo ventotto anni quando la scrissi, nel 1920. La guerra era finita da poco, l’avenamo vinta, c’era bisogno di pace, di ritorno ad una normalità almeno di facciata. Inizialmente avrei voluto comporre un pezzo per soli archi, come mi aveva suggerito Léo Sir, il famoso liutaio…
Ravel: E invece?
Honegger: E invece, alla fine non se ne fece nulla e decisi per un organico diverso. Egualmente ridotto ma diverso: cinque archi, flauto, oboe, clarinetto, fagotto e corno. Dieci in tutto.
Ibert: Un organico interessante. Che cosa ne è saltato fuori?
Honegger: Un pezzo per me bellissimo, dall’essenza lirica, in cui la musica procede per piccole pennellate, come in un quadro impressionista. Oddio, forse lo stile è già un po’ passé, ma trovo che comunque si adattasse allo spirito di quei giorni. Io stesso avevo bisogno di respirare aria fresca e di trasmettere questa mia sete di purezza. Ho cercato di evocare i campi baciati dal sole, vallate verdi, brezze leggere.
Ravel: Conosco bene il pezzo. Bello davvero, potrei averlo scritto io, magari calandolo in atmosfere più rarefatte…
Honegger: Sempre modesto, eh Ravel?
Ravel: Più che altro, se mi permetti, conscio delle mie capacità. Se ne fossero accorti quei tromboni del Prix de Rome.
Honegger: Ero giovane, i miei grandi lavori erano di là da venire…
Ravel: Te lo concedo, eri un ragazzino. Talentuoso ma ragazzino, tutto teso a batterti contro il wagnerismo con gli altri cinque amici del tuo gruppo. Eravate sei, vero?
Honegger: Sì, sei, e tutti bravi. Tu all’epoca cosa scrivevi, cher Maurice?
Ibert: Già, sì, tu che scrivevi?
Ravel: Tante cose, ma una in particolare. Tornato dalla guerra avevo terminato Le tombeau de Couperin, avete presente? Di fatto una suite per pianoforte basata su un preludio e cinque danze antiche che voleva essere un omaggio alla grande musica francese del Diciottesimo secolo, ma anche un ricordo di sei amici caduti in guerra.
Ibert, Honegger: Conosciamo. Pezzo meraviglioso, un capolavoro vero, intenso e privo di qualsiasi retorica, doloroso e vivo.
Ravel: Ecco, dite bene, un capolavoro, tanto che decisi di farne una versione per orchestra.
Ibert: Identica nello schema?
Ravel: Ovviamente no. Non devo certo spiegarti che ogni rielaborazione è di fatto una composizione nuova. Espunsi la Fugue e la Toccata, lasciando il Prelude, la Forlane, il Menuet e il Rigaudon.
Honegger: Dunque un inno alla danza.
Ravel: Direi meglio una celebrazione del barocco, come si evince anche dall’organico orchestrale impiegato. In quella sera di fine febbraio del 1920, alla Salle Érard il successo fu travolgente.
Ibert: Non stento a crederlo. Una domanda, magari un po’ estemporanea. A te piace il jazz?
Ravel: Decisamente sì, non è fra le mie fonti d’ispirazione primarie ma m’interessa. Anche a te?
Ibert: Moltissimo! Mi affascina, come mi affascinano gli strumenti per così dire “nuovi”.
Honegger: Tipo?
Ibert: Il sassofono, per esempio. Ho scritto un Concertino per archi e sassofono.
Ravel: Racconta, sono curiosissimo.
Ibert: Lo ho scritto nel 1935 per il mio amico Sigurd Raschèr, virtuoso dello strumento. Gli piacque tanto che volle eseguire in concerto il primo movimento, un Allegro con moto pieno di virtuosismi, come pezzo a sé prima che io potessi ultimare la composizione.
Honegger: Poi lo hai finito?
Ibert: Ovviamente sì. A dicembre del 1935 Raschèr ha eseguito il pezzo completo. Ci avevo aggiunto un Larghetto che fa da contraltare al primo movimento e che, dopo una cadenza folle sfocia nell’Animato molto che chiude. Il sax alto è impegnato in virtuosismi folli. Dio quanto mi sono divertito a scriverlo!
Honegger: Ci credo! È lontano da mio sentire ma mi affascina parecchio. Lo ascolterò.
A: Finora non sono intervenuto. Mi avevano detto che mi sarei trovato di fronte a persone stressate e invece vi vedo decisamente rilassati.
Ravel: Siamo compositori, mica pazzi. Che si aspettava? Che ci azzuffassimo come lavandaie? Quello lo facciamo fare ai mediocri…
Honegger: Ben detto!
Ibert: Sante parole!
(Suono di un bandoneón che si avvicina)
Honegger: Oddio, non sarà mica qualcuno che viene a elemosinare, vero?
Ibert: Spero di no. Però mi pare suoni piuttosto bene.
Ravel: Se piace il genere…a me ricorda gli accordeonisti di Quai des Augustines o di Montmatre…
Piazzolla: Buenas noches! Posso?
A: Certo! Musicista anche lei, suppongo.
Piazzolla: Certo che sì! Mi presento. Soy Astor Piazzolla, de Buenos Aires. Compositore.
Ibert: Buenos Aires? Scrive tangos?
Piazzolla: Naturalmente, collega, naturalmente. Le piace il tango?
Ibert: Moltissimo.
Honegger: Piace anche a me.
Ravel: A me insomma.
Piazzolla: Se volete vi suono qualcosa. Vi piace il pezzo di prima?
Ibert: Sì. Come si intitola?
Piazzolla: Verano Porteño, che significa “Estate di Buenos Aires”
Ravel: Ha scritto anche le altre tre stagioni? Come Vivaldi?
Piazzolla: Noto dell’ironia…comunque sì, la composizione prende spunto, badi bene, spunto, dalle Quattro Stagioni di Vivaldi. Non mi sarei mai permesso di scimmiottare, ma l’ispirazione ai grandi è lecita. Non trova?
Ravel: Devo concordare.
Piazzolla: Dicevo. Il mio organico è diverso, non potrebbe essere altrimenti: violino, pianoforte, chitarra elettrica, contrabbasso e bandoneón. Un quintetto jazz, in sostanza.
Ibert: Lei, tu…possiamo darci del tu? Mi sei simpatico, molto simpatico. Che organico interessante.
Piazzolla: Ti piace? Secondo me conferisce alla narrazione musicale che ho immaginato una sorta di intima malinconia che si stempera nella danza. La tristezza è insita nel tango, ma quando lo si balla allora tutto viene sublimato, si cristallizza.
Honegger: Lo sa che lei piace anche a me? Mi ha fatto quasi venire voglia di prendere lezioni di ballo.
Ravel: Potevi imparare il bolero…
Ibert: Non essere sarcastico, piuttosto mettiti al pianoforte e vedi di improvvisare qualcosa con il nostro nuovo amico…
A quel punto, ascoltandoli suonare insieme, in un’atmosfera di crescente complicità, mi sono domandato di quale aiuto avessero bisogno. Secondo me nessuno. Sono rimasto ad ascoltarli, in silenzio, per quasi due ore poi sono uscito in punta di piedi, lasciandoli soli, a suonare e a discorrere.
Alessandro Cammarano
Dal programma di sala del Concerto del 21 aprile 2018 della Sinfonica Promusica XIV Edizione – Fondazione Pistoiese Promusica
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