Parigi: Michieletto mette in scena i due volti di Don Pasquale
E’ un Donizetti, ormai giunto al culmine della celebrità quello che si presenta il 3 gennaio del 1843 nella Salle Ventadour del Théâtre-des-Italiens di Parigi con Don Pasquale, dramma buffo in tre atti su
libretto, firmato da Michele Accursi, che è – in realtà – opera dello stesso Donizetti e di Giovanni Ruffini ed è ricalcato sul dramma giocoso di Angelo Anelli Ser Marcantonio, musicato da Stefano Pavesi nel 1810. La prima rappresentazione dell’opera ebbe luogo con successo e con un cast d’eccezione. Nella stagione in corso Don Pasquale, che Donizetti decise di comporre dopo la lettura casuale del vecchio libretto, entra finalmente del repertorio dell’Opéra National di Parigi che in precedenza ne aveva rappresentato solo il primo atto nel corso di una serata di gala.
La leggenda vuole che l’opera sia stata composta in soli undici giorni, ma è probabile che in questo periodo siano state composte “solo” le linee vocali e che l’orchestrazione abbia invece richiesto altro tempo. Certo è che ben più di undici giorni di preparazione ci sono voluti per realizzare all’Opéra Garnier il nuovo allestimento con cui Damiano Michieletto si è ripresentato al pubblico parigino e che è coprodotto con il Covent Garden di Londra e il Teatro Massimo di Palermo.
Nella tradizione dell’opera buffa il lavoro prende a riferimento i personaggi della Commedia dell’arte. Pasquale è Pantalone, Ernesto è Pierrot, Malatesta è Scapino e Norina è Colombina. Lo spettacolo di cui Damiano Michieletto firma la regia con la collaborazione di Paolo Fantin per le scene, di Agostino Cavalca per i costumi anni Sessanta, di Alessandro Carletti per il disegno luci, con il contributo video di rocafilm, ha avuto però il pregio di realizzare con sobrietà i due diversi livelli di lettura di questo gioiello della maturità donizettiana. Quello, a prima vista preminente, delle moine e dei raggiri di derivazione settecentesca che iscrive il Don Pasquale fra i capolavori ultimi dell’opera comica e quello, meno appariscente, ma non per questo secondario, che connota questo lavoro, donizettiano come un dramma buffo: un’opera cioè in cui la grazia salottiera e una comicità a tratti farsesca cedono il passo spesso e volentieri a un sottile senso di crudeltà umana e di satira sociale.
Lo spettacolo, insomma, non ha lesinato effetti comici, quasi da vaudeville, ma non ha nemmeno sottovalutato l’aspetto se non drammatico, certo crudele, di questa piccola commedia degli equivoci, né la voglia, squisitamente romantica, di melodie struggenti che, se in prima istanza sono la sigla tenorile del giovane e scapestrato Ernesto, finiscono per investire, nel terzo atto anche il beffato (e schiaffeggiato) Don Pasquale e la scaltra e vivace Norina.
Detto questo, la trasposizione negli anni Sessanta del Novecento non ha causato problemi di lettura: se il Barbiere di Siviglia in scena alla Bastille è uno spettacolo magniloquente, questo Don Pasquale di Palais Garnier è intimista, e si consuma in uno spazio ridotto a immagine della vita privata del protagonista, vecchio scapolo immaturo incapace di gestire i suoi sentimenti e facile preda della beffa che ordisce alle sue spalle, con la complicità della scaltra Norina, il falso amico Malatesta.
Va un po’ perso il senso ultimo dell’opera, in cui è rappresentato lo scontro generazionale fra il personaggio maturo desideroso di conservare il casato nel nome della tradizione dei padri, e i giovani che oppongono nuove dinamiche interpersonali e nuovi stili di vita. Qui tutto è più esteriore e alla moda, a cominciare dal défilé in croma key con cui Norina risponde alle sollecitazioni del Dottore che la istruisce per il falso matrimonio.
Quanto alla compagnia di canto, il protagonista poteva contare, comunque, sull’esperienza e sulla vocalità ancora ragguardevolissima – ancorché troppo dichiaratamente baritonale – del versatile Michele Pertusi, sulla verve e sulla simpatia di Florian Sempey che, quando non eccede, fa del suo Malatesta senza scrupoli l’autentico orditore della trama, e sulla vivacità della bella Nadine Sierra, una Norina giustamente primadonna e sexy come vuole lo spettacolo di Michieletto, ma anche molto concentrata e spritosa nella recitazione e molto a suo agio nell’agilità e nel registro acuto. Meno convincente, viceversa, era l’Ernesto in tenuta sportiva di Lawrence Brownlee, abile e appropriato nella linea di canto e sempre gradevole nelle emissioni, ma scenicamente impacciato. Sono stati tutti molto applauditi, e il successo ha coinvolto anche l’eccellente notaio, in quest’occasione più sussiegoso che stralunato, di Frédéric Gouleu e il coro dei servitori preparato da Alessandro Di Stefano.
A tenere le fila del discorso musicale era Evelino Pidò. L’Orchestra stabile dell’Opéra National di Parigi ha suonato piuttosto bene, e dal podio arrivavano il ritmo e la vivacità degni di quest’ultimo capolavoro comico di Donizetti in un’esecuzione, per una volta, integrale.
Don Pasquale è un congegno a orologeria, ogni tassello deve essere al suo posto e in sintonia con il precedente: sta al Maestro metterli in collegamento fra loro. Così è stato e anche il fulcro dell’opera, ossia il grande quartetto del secondo atto “E’ rimasto là impietrato” che chiudeva la prima parte dello spettacolo e in cui Donizetti rifà argutamente il verso a se stesso e ai suoi grandi concertati d’opera seria, ha colpito nel segno.
Rino Alessi
(Parigi, 26 giugno 2018)
La locandina
Direttore | Evelino Pidò |
Regia | Damiano Michieletto |
Scene | Paolo Fantin |
Costumi | Agostino Cavalca |
Luci | Alessandro Carletti |
Video | rocafilm |
Don Pasquale | Michele Pertusi |
Dottor Malatesta | Florian Sempey |
Ernesto | Lawrence Brownlee |
Norina | Nadine Sierra |
Un notario | Frédéric Guieu |
Orchestre et Chœurs de l’Opéra national de Paris | |
Maestro del Coro | Alessandro Di Stefano |
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