Verona: le Cinque Giornate nel Nabucco secondo Arnaud Bernard

Quarto titolo del Festival della rinascita il Nabucco areniano come da tempo non si vedeva nell’anfiteatro scaligero torna ed è di nuovo successo, con tanto di applausi e “ooohhh” ad ogni cambio di scena.

Barricate, fucilieri, carrozze, dragoni a cavallo, martinit, nobili, borghesi, popolani, sorelle infermiere, bandiere del Sacro Romano Impero e tricolori, cannoni e moschetti, il tutto intorno e dentro al Teatro alla Scala che da Tempio della Lirica e simbolo di Milano diviene il Tempio di Gerusalemme, con uno scarto temporale dell’azione, spostata da Arnaud Bernard nel 1848, durante i moti contro l’abdicando Kaiser Franz Karl d’Asburgo Lorena.

Bernard, che oltre alla regia firma anche i costumi curatissimi, non cerca solo la spettacolarità, il coup de théâtre e consegna alla scena un allestimento di grande intelligenza.

L’idea di teatro nel teatro non è nuova, ma in questa occasione è usata con oculatezza, messa com’è al servizio di una drammaturgia che non torce un capello al dettato verdiano: Nabucco diventa il Generale Radetzky, Zaccaria un patriota che assomiglia molto a Mazzini e che a lui si oppone arringando i milanesi insorti. Le atmosfere richiamano immediatamente quelle viscontiane di Senso, sia nella ricerca quasi ossessiva del particolare che nell’eleganza composta del gesto scenico, comunque sempre denso di significato.

La Scala immaginata da Alessandro Camera e illuminata splendidamente da Paolo Mazzon ruota silenziosa rivelando via via via un foyer-studio nel quale Abigaille canta la sua cabaletta in piedi su una tavola, calpestando la carta d’Europa che vi è stesa sopra, per aprirsi poi nella sala, dove, guarda caso, si rappresenta proprio Nabucco.
Qui Bernard compie una riuscitissima operazione metateatrale, dove i milanesi dai palchi intonano Va’ pensiero fra le proteste dei militari austriaci che, insieme ad Abigaille usurpatrice, stanno in platea: ancora una volta il richiamo a Senso è evidente, anche se lì il teatro era La Fenice e l’opera rappresentata Il trovatore. Nel finale il Nabucco-Radetzky, insieme a tutti gli altri protagonisti, diverranno parte del Nabucco nel Nabucco dando vita ad uno straniante gioco di piani narrativi; l’Abigaille seduta in platea vedrà se stessa morire sulla scena e alla fine, sconfitta, abbandonerà il teatro.

Rispetto allo scorso anno si è notato un più uniforme dispiegamento delle masse ma anche una certa, non del tutto condivisibile, tendenza ad accentuare eccessivamente il gesto scenico. Alto piccolo neo la soppressione delle cannonate “dal vivo” a favore di rombi registrati che hanno sortito un effetto più di temporale che non di battaglia.

Jordi Bernàcer si conferma direttore di livello e perfettamente a suo agio nell’immensità dell’Arena, rinnovando una concertazione gagliarda nei tempi e dinamicamente tesa ma al contempo pervasa da una vena di intima introspettività. Si è tuttavia rilevata qualche scollatura con il Coro, preparato da Vito Lombardi e protagonista di una prestazione comunque buona.

Il Nabucco Amartuvshin Enkhbat, già Rigoletto applaudito nella scorsa stagione, è protagonista di una prova del tutto convincente per incisività di fraseggio e attenzione alla parola.

Susanna Branchini è un’Abigaille provvista di artigli affilati, ma la voce è agretta e ballerina e alla fine soccombe alla parte prima ancora che all’ira di Jehovah.

Ancora una volta ottimo risulta lo Zaccaria di Rafał Siwek, dalla linea di canto impeccabile e ottima la Fenena dalla vocalità intensa di Géraldine Chauvet, protagonista di un incidente (lo strascico del costume impigliato nella scena in una delle rotazioni) affrontato e risolto con classe ancorché con comprensibile spavento.

Lodi incondizionate all’Ismaele di Luciano Ganci, capace di un fraseggio ricco e colorato.

Completano il cast il Gran Sacerdote di Belo ben centrato di Nicolò Ceriani, Roberto Covatta Abdallo poco più che dignitoso e Elisabetta Zizzo, Anna di qualità.

Pubblico entusiasta, applausi scrocianti e meritati per tutti, bis un po’ moscio del Va’ pensiero.

Alessandro Cammarano
(7 luglio 2018)

La locandina

Direttore Jordi Bernàcer
Regia e costumi Arnaud Bernard
Scene Alessandro Camera
Lighting Designer Paolo Mazzon
Nabucco Amartuvshin Enkhbat
Ismaele Luciano Ganci
Zaccaria Rafał Siwek
Abigaille Rebeka Lokar
Fenena Géraldine Chauvet
Gran Sacerdote di Belo Nicolò Ceriani
Abdallo Roberto Covatta
Anna Elisabetta Zizzo
Orchestra, Coro e Tecnici dell’Arena di Verona
Maestro del Coro Vito Lombardi

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