Ottavio Dantone: «Non esiste una sola verità nel contenuto, figuriamoci nel suono.»
Ottavio Dantone, con la sua Accademia Bizantina, è una delle figure artistiche di riferimento per quanto attiene all’esecuzione storicamente informata del repertorio barocco. Lo abbiamo raggiunto per porgli qualche domanda.
- Dalla prima Barocco-Renaissance ad oggi si è fatta molta strada per quanto attiene alla prassi esecutiva. A che punto siamo?
Siamo sempre allo stesso punto, ovvero quello di pensare di non aver capito tutto.
È necessario continuare e approfondire la ricerca del linguaggio e di tutte le componenti che aiutano a rivelarlo ai nostri occhi e alle nostre orecchie.
La cosiddetta prassi esecutiva è solo una delle prime e basilari tappe per giungere alla conoscenza della musica del passato.
- Gli strumenti originali, o le loro copie, bastano a garantire la “verità” del suono?
Gli strumenti originali sono solo un mezzo, pur indispensabile, per ottenere una delle tante verità possibili. Non esiste una sola verità nel contenuto, figuriamoci nel suono. A mio parere il punto fondamentale della musica antica è la massima verità possibile delle emozioni originali, ovvero quelle che il compositore voleva trasmettere all’ascoltatore. Per arrivare a questo è necessario un profondo lavoro di studio e analisi del rapporto fra musica, parola, retorica, semiologia e conseguente estesi del discorso. Affrontare la musica antica affidandosi solo agli strumenti antichi, a qualche “messa di voce”, o a qualche abbellimento posticcio sarebbe quanto mai limitativo e rischierebbe di rendere parziale o equivoco il significato.
- La “filologia ad ogni costo” è un valore o un limite?
È un valore quando sfrutta la conoscenza delle fonti per giungere a quella consapevolezza estetica che permette la massima onestà intellettuale possibile nell’affrontare il difficile lavoro di “decodificazione” del linguaggio.
È un limite quando si riduce a sterile nozionismo, riproduzione passiva di elementi pseudo storici o al vuoto tentativo di ricreare situazioni o testimonianze del passato, più vicine a una arida storiologia che a una viva e attuale ricerca e condivisione delle emozioni.
- Quanto conta il gusto del pubblico in un’interpretazione?
Conta oggi esattamente come due o tre secoli fa. Nella musica barocca la condivisione emotiva di cui parlavo poc’anzi si realizza attraverso una complessa trama di codici che i musicisti devono ben conoscere e che il pubblico recepisce anche inconsapevolmente, perché instillati gradualmente durante la storia. Ecco perché
è molto importante la conoscenza e l’evoluzione dei fenomeni di “significazione”, ovvero la semiotica di cui parlavo prima.
Il pubblico di oggi è pronto a recepire gli affetti e le emozioni del passato semplicemente perché sono le stesse, oltre a essere inscindibili dalla musica stessa.
- Negli anni lei è approdato anche ad altro repertorio, Mozart ad esempio. Cambia l’approccio interpretativo?
In parte sì, perché nella seconda metà del settecento è in atto quel graduale processo di acquisizione dei meccanismi retorici, che rende l’atto creativo sempre più generato dall’uomo stesso, piuttosto che da una razionale “dispositio” di elementi strutturali e espressivi. Ci si avvicina progressivamente alla più moderna interpretazione che lascia spazio a una più personale visione e corrispondenza delle emozioni. Queste ultime diventano sempre più un prodotto dell’umano sentimento. È un passaggio storico affascinante, ma non bisogna incorrere nell’errore di non considerare quanto ancora siano essenziali e determinanti i gesti e i codici espressivi del passato.
- Ci parla un po’ del suo ultimo Cd vivaldiano, che mi è parso davvero ben riuscito?
A mio parere è stata una bellissima occasione di dimostrare quanto delle semplici e brevi miniature musicali, come i Concerti per Archi, possano racchiudere tanti colori, ritmi, elementi nascosti e tante influenze culturali, tali da renderli dei piccoli gioielli che possono raccontarci brevi ed emozionanti storie.
Nel caso dei Concerti per Viola d’Amore era doveroso rendere noto, se non lo era già, quanto espressivo, esotico e misterioso possa essere questo affascinante strumento, che, nelle mani di un compositore come Vivaldi, acquista una personalità e una potenza comunicativa di incredibile spessore.
Alessandro Cammarano
Info:
Vivaldi: Concerti per archi III & Concerti per viola d’amore | |
Viola d’amore | Alessandro Tampieri |
Direttore | Ottavio Dantone |
Accademia Bizantina | |
Naive, 2018 |
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