L’ultimo lavoro di Marco Paolini “il Calzolaio di Ulisse” attraversa la storia per arrivare fino a noi
Doppia replica che si avvia al tutto esaurito per Marco Paolini, che il 19 e 20 agosto alle 21.00 arriva al teatro all’aperto Tito Gobbi di Bassano del Grappa, col suo ultimo lavoro Il Calzolaio di Ulisse – Oratorio scritto insieme a Francesco Niccolini, protagonista lo stesso Paolini, che questa volta è sul palco insieme a Saba Anglana, Vittorio Cerroni, Lorenzo Monguzzi ed Emanuele Wiltsch Barbiero, diretti dall’occhio attento di Gabriele Vacis.
L’appuntamento è inserito nel ricco cartellone di Operaestate Festival, che prima di cedere il passo a Bmotion porta a Bassano uno dei maggiori narratori del teatro italiano.
Paolini si misura dunque con la Storia per eccellenza, quella di un viaggio epico, che arriva fino ai nostri giorni. Un progetto che è cresciuto nel tempo, nei suoni e nello spazio, un canto antico di quasi tremila anni, passato di bocca in bocca, e di anima in anima. Una storia che contiene in sé la storia dell’Occidente, a partire da quelle misteriose, ambigue e capricciose entità che sono gli dèi. Perché questa è una storia di dèi, mostri, uomini e guerrieri, imparentati e legati fra di loro. E il perno è Ulisse, nipote di Hermes, amato e protetto da Atena, da Poseidone perseguitato, da Calipso immensamente desiderato e concupito da Circe. Intorno a lui prima o poi si incontra tutto il resto, e i fili del racconto diventano infiniti, così come i suoi protagonisti.
A Itaca cresce un ragazzino, suo padre è re e suo nonno un baro, figlio del dio degli inganni. Su quell’isola il ragazzino diventa uomo, assai scaltro. È diverso dagli altri condottieri, non è splendido in battaglia, spesso vince con l’inganno e l’astuzia, è un uomo che sa pensare. Con la sua mente sa accrescere la confusione degli elementi e ne approfitta per sfuggire alle trappole e abbattere gli ostacoli che trova sulla sua strada.
Ulisse è un Eroe che non si spegne mai, non nei vent’anni di guerra e dell’impossibile ritorno, non negli anni dopo, con le sue nuove disavventure, e nemmeno dopo la sua morte, visto che da 2800 anni si sente l’irresistibile desiderio di cantarne le gesta in ogni variante possibile e immaginabile.
“Perché – si legge sulla scheda di presentazione dello spettacolo – dieci anni di guerra non sono serviti a nulla, dato che tutto è tornato come prima tranne i morti e il lutto che ha piegato i sopravvissuti? perché dieci anni senza riuscire a tornare, in mezzo a disavventure per metà raccapriccianti e per metà di una dolcezza struggente? Perché i posteri avessero il canto, è la risposta che offre Prospero/Alcinoo: dono immenso per tutta l’umanità che non ha mai smesso di goderne.”
E oggi questa storia viene nuovamente raccontata al pubblico, diventando un racconto divertito, sensuale, commosso, ironico, crudele, bugiardo, eccitante, straziato. “E pieno di musica – si continua nelle note di regia – perché è difficile immaginare un aedo senza la sua cetra, che in questa versione ha la forza ritmica di un ensemble variegato e multicolore, un gruppo di musicisti e un coro che insieme sono mediterraneo: mare terra sangue carne profumo lacrime salso vino vento. E un sonno profondo, magico, che ti rapisce una notte e ti accompagna – grazie a navi senza pilota né timoni, veloci come l’ala o il pensiero – e, con la sola forza della mente, ci porta dove un giorno dobbiamo arrivare: là dove un vecchio calzolaio cieco”.
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