Enea Scala, l’arte del baritenore
Nella Semiramide in scena in questi giorni al Teatro La Fenice di Venezia il tenore, o meglio baritenore, ragusano Enea Scala affronta il personaggio di Idreno, che richiede una vocalità quasi impossibile; ci ha dedicato un po’ del suo tempo per rispondere ad alcune domande.
- Declina le tue generalità, per favore Nome Cognome
Enea Scala
- Luogo di nascita
Ragusa
- Indirizzo
Bologna
- Origine di terra o di mare
Di mare
- Artista, interprete, cantante Vocalità
Tenore lirico
- Ma di che tipo ce ne sono tanti che si dichiarano tali
Mi considero un tenore con una vocalità che spazia dal lirico leggero e di coloratura, propria del repertorio serio rossiniano e donizettiano, fino ad una vocalità più lirica propria del repertorio francese e post-belcantista
- Presentati con un titolo per farci capire che cosa canti
Un titolo è poco. Al Guillaume Tell di Rossini con il personaggio di Arnold aggiungo l’Anna Bolena di Donizetti con il personaggio di Lord Percy
- Scorro attentamente la tua biografia sei in carriera da 10 anni. Per riuscire ad arrivare fin qui che strade hai dovuto percorrere
Durante la mia infanzia ho acquisito nozioni basilari di pianoforte classico e più tardi, durante la mia adolescenza, mi sono unito a un coro polifonico a Pozzallo, la mia città natale, nella sezione dei tenori: ciò mi ha permesso di sviluppare la mia musicalità. Il momento in cui si è rivelata la mia autentica passione per il canto è arrivato quando – circa a vent’anni – ho fatto parte del coro polifonico universitario a Bologna.
Da allora, ho iniziato a studiare intensamente canto. Il soprano Wilma Vernocchi, docente al Conservatorio di Bologna, e poi il tenore Fernando Cordeiro Opa, sono state le mie guide vocali.
- Facile o difficile sapersi imporre nel teatro lirico?
Molto difficile! Per imporsi nel teatro lirico internazionale non basta la voce ma bisogna avere tutta una serie di caratteristiche come un carattere gioviale, un certo carisma, ma anche molta diplomazia per saper gestire le richieste – talvolta non facili – di direttori e di registi. E’ importante saper lavorare in gruppo e, dunque, saper rinunciare ai personalismi. Noi cantanti cambiamo teatro ogni uno-due mesi ed ogni volta ci dobbiamo confrontare con ambienti di lavoro già precostituiti, con colleghi e pubblico sempre nuovi: è ogni volta una conquista.
- Il tuo repertorio si sta indirizzando su titoli desueti rispetto alla repertorio più conosciuto per la tua vocalità Ermione di Rossini (Pirro); La Juive di Halevy (Léopold). Cosa preferisci, oppure meglio ancora cosa distingue la vocalità di questi due esempi di repertorio?
La parte vocale di Pirro si distingue da tutte le altre. Per far fronte a questo ruolo, oltre allo studio, è fondamentale aver maturato esperienze in molti ruoli rossiniani. Sia il personaggio di Pirro che quello di Leopold hanno una vocalità molto precisa e uno stile chiaramente diverso. Pirro mette in luce lo stile rossiniano “baritenorile” con precise caratteristiche per quanto riguarda l’estensione vocale, i sovracuti, i gravi e un’estrema omogeneità ed uniformità dell’armonico nelle due ottave. Il Leopold di Havely comunica con i grandi compositori italiani dell’Ottocento: in esso c’è molto Donizetti ma anche Verdi, passa da una vocalità lirico-leggero (nella serenata iniziale) per poi concludersi con una vocalità più centrale e drammatica, dal secondo atto.
- Poi Duca di Mantova Alfredo e Fenton; percorsi vocali altri giusto per rilassarsi?
Anche con questi tre personaggi meravigliosi non ci si rilassa. Quella di Fenton nel Falstaff è una parte in cui bisogna saper dosare la voce per rendere un canto aggraziato e dolce.
Il Duca di Mantova è un caposaldo assoluto per i tenori! E’ un ruolo che richiede molta resistenza con un legato in zona acuta che riporta tutte le difficoltà di quello donizettiano. Ritengo l’Alfredo verdiano molto interessante sia dal punto di vista vocale che della resa psicologica: Alfredo cambia, si trasforma da giovane innamorato di Violetta ad uomo cinico ed irruento. E’ dunque importante curare particolarmente il lato interpretativo e recitativo così che non venga schiacciato dalla personalità forte di Violetta.
- Con chi ti prepari per essere sempre pronto a parti che richiedono sempre qualcosa in più nella voce?
Sono sempre in stretto contatto con il mio maestro di tecnica vocale e con maestri preparatori pianisti. Con loro mi confronto sulla vocalità, sull’interpretazione e sulla lettura dello spartito cercando di capire e studiare con attenzione il mondo musicale e psicologico che ciascun autore ci ha lasciato in eredità.
- Cosa significa per te Belcanto?
Belcanto non è solo emissione di un bel suono. Il bel suono deve essere sempre porto con estrema attenzione al testo ed al gusto con cui vengono resi gli abbellimenti, le colorature, gli accenti. Non ritengo il belcanto legato ad un preciso periodo storico. In senso lato, per me è belcantista ogni cantante che dotato di gusto e di una buona tecnica vocale è capace di creare emozioni grazie ad un magnetismo interpretativo che lo rende unico.
- Variazioni o scelte filologiche? Parliamo della Semiramide alla Fenice di Venezia (opera che Rossini scrisse proprio per questo teatro)
Variazioni! Ma variazioni in linea con la filologia: è una delle grandi lezioni che mi ha lasciato il compianto Maestro Zedda. Egli mi raccomandava sempre di presentare variazioni originali, eleganti ma adatte alla mia vocalità.
- Semiramide è stato un lavoro critico di Alberto Zedda: cosa ti ha lasciato in eredità il lavoro in Accademia Rossiniana?
Al Maestro Zedda e all’Accademia devo l’inizio della carriera. Zedda mi ha dato l’”imprinting” rossiniano, con lui ho imparato moltissimo di tutto ciò che oggi metto in atto cantando Rossini e non solo. Mi ha insegnato ad interpretare un personaggio grazie alla voce ed ai colori. Sono orgoglioso e grato
di essere stato fra gli ultimi tenori, nati con lui in Accademia, su cui ha riposto la sua fiducia.
- A Venezia, ti esibisci con Jessica Pratt con la quale hai cantato nella Sonnambula 2010 per l’AsLico. A distanza di 8 anni, come ti vedi professionalmente?
Certo, a distanza di otto anni sono maturato sia come persona che come artista. Non mi sento, però, artista arrivato: caratterialmente non sono mai sereno, mai fermo e questo mi porta a sentire di dover imparare e sperimentare ancora tante cose sia vocalmente che interpretativamente.
- Come giudichi la parte di Idreno… non sembra facile! E’ un bel confronto tra protagonisti del belcanto
Cantare le due straordinarie arie “Ah dov’è, dov’è il cimento” e “La speranza più soave” mi emoziona già molto. Quella di Idreno è una parte molto difficile ma anche parecchio stimolante ritengo anche di aver raggiunto la maturità psicologica necessaria e abbastanza matto per affrontare questo personaggio.
- Tieni conto degli interpreti del passato? ti servono come modelli?
Da ogni grande cantante del passato ho tratto qualche insegnamento. Senza dubbio Pavarotti, per la freschezza, la luminosità, la capacità di colorare in fraseggio, la sincerità interpretativa. Nel repertorio rossiniano, il mio riferimento principale è Chris Merritt, insuperabile nei ruoli di baritenore.
Anche Gregory Kunde, il cui iter vocale è molto simile al mio perché ha iniziato come tenore molto leggero per arrivare alle parti liriche e lirico-spinte: un esempio della duttilità di una voce con il passare del tempo.
Cosa ti riserva il futuro prossimo?
Molti debutti. I primi due all’Opera de Marseille: Rodrigo ne La donna del Lago e Il Duca di Mantova nel Rigoletto. Poi Hoffmann de Les contes d’Hoffmann a Brussels e Otello di Rossini a Francoforte. Rossini serio e repertorio francese con qualche assaggio verdiano che rappresentano delle sfide non facili
Federica Fanizza
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