Milano: Attila fra le rovine mette tutti d’accordo
Parte dalla platea, tutta rivolta al palco delle Autorità, infiamma i pachi e arriva su fino al loggione l’applauso interminabile che il pubblico della Scala riserva al Presidente Mattarella. Cinque minuti, lunghi e intensi, omaggio allo statista vero e schiaffone sonoro agli “statisti” improvvisati che momentaneamente detengono il potere; poi il “Canto degli Italiani”, che tutti gli Italiani cantano a squarciagola, intonatissimi e quasi sorpresi della propria forza. Emozione, tanta, prodromo ai quasi quindici minuti minuti di applausi giunti a suggellare il successo dell’Attila che inaugura la Stagione 2018-2019.
Nel repertorio verdiano Attila è spesso ascritta fra le opere cosiddette “minori”, eppure in essa, filia delle precedenti, si avvertono già elementi fondanti di quelle che verranno; la natura del protagonista ricorda Oberto e Nabucco, ma in lui sussistono anche tratti di Macbeth.
Il re degli Unni non è, nelle intenzioni di Verdi, un selvaggio sanguinario, anzi è uomo in certo senso morale, di grande nobiltà e per il quale la fedeltà è valore assoluto, al contrario di Odabella, Ezio e Foresto, decisamente inclini al tradimento.
Riccardo Chailly coglie perfettamente le singole caratteristiche dei personaggi e la riporta in una lettura, complice un’Orchestra pressoché perfetta, nella quale il lirismo predomina sugli slanci guerrieri e patriottardi cari ad una certa tradizione.
Il suo Attila si distingue dunque per tempi sostenuti e una pulizia di suono capaci di creare momenti di grande suggestione, ma che al contempo sembra voler negare parte della natura stessa dell’opera, cui non giovano eccessive levigatezze; il suono è bello, le dinamiche coerenti, ma in più di un momento viene a mancare quella visceralità che pur sarebbe necessaria.
Nel ruolo eponimo Ildar Abdrazakov si mette in luce per la bellezza opulenta dei suoi mezzi vocali, messi a servizio di un fraseggiare nobilmente incisivo; il suo Attila baldanzoso ma mai arrogante è perfettamente conscio della propria posizione di forza, della quale non abusa ma che sottolinea con decisione.
Al suo debutto scaligero Saioa Hernández disegna un’Odabella dal bel piglio guerriero, espresso in un canto poggiato su una linea di grande uniformità, ma capace di abbandoni meditativi che trovano risoluzione in mezzevoci suadenti e filati rapinosi.
George Petean tratteggia un Ezio sfaccettato negli accenti e ben meditato nel fraseggio, imperativo e dubbioso, il tutto con voce di bella grana e un controllo dei fiati ammirevole.
Convince il Foresto di Fabio Sartori, che del personaggio coglie con acume la doppia natura, restituendola con una bella tavolozza di colori.
Ottimo Gianluca Buratto come Papa Leone e ben cantato l’Uldino di Francesco Pittari.
Perfetto il Coro che, preparato da Bruno Casoni, canta muovendosi benissimo in scena.
Davide Livermore firma una regia di quelle che non possono non piacere, intelligente e un po’ “furbetta”.
L’azione è trasposta in uno scenario di guerra intorno agli anni Quaranta del secolo scorso e calata – grazie alle scene bellissime, capaci di spostarsi rapide e silenziose realizzate da Giò Forma e illuminate con perizia da Antonio Castro – tra lacerti di ponti bombardati e rovine tardoimperiali.
Soldati romani e guerrieri Unni, donne, profughi e resistenti – tutti vestiti con i costumi geniali di Gianluca Falaschi – si scontrano incessantemente, mossi con fluidità non solo nei combattimenti, ma anche quando nella seconda scena del secondo atto la corte di Attila, fra donne ciondolanti e soldati transgender che richiamano le atmosfere della viscontiana “Caduta degli dei” o di “Portiere di notte” si abbandonano a movimenti inequivocabilmente lascivi.
Il tutto è compensato, a beneficio del pubblico che ama la “tradizione”, con cavalli e fiammate che stupiscono e mettono tutti d’accordo.
Belle le videoproiezioni – realizzate da D-wok – che sul fondo mostrano città distrutte, pronte però a risorgere nel momento in cui vengono ricordate nel canto.
Splendida la scena del sogno e del successivo arrivo di Papa Leone, in cui è ripreso calligraficamente l’affresco di Raffaello nelle Stanze della Segnatura che qui si anima fino a diventare un tableau vivant di grande impatto.
Successo senza sbavature, per tutti, con qualche sparutissimo e neppure troppo convinto dissenso e il Presidente Mattarella che, prima di lasciare il teatro saluta, ricambiato, la Senatrice a vita Liliana Segre, seduta in un palco; un altro bel segno.
Alessandro Cammarano
(7 dicembre 2018)
La locandina
Direttore | Riccardo Chailly |
Regia | Davide Livermore |
Scene | Giò Forma |
Costumi | Gianluca Falaschi |
Luci | Antonio Castro |
Video | D-wok |
Attila | Ildar Abdrazakov |
Odabella | Saioa Hernández |
Ezio | George Petean |
Foresto | Fabio Sartori |
Uldino | Francesco Pittari |
Leone | Gianluca Buratto |
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala | |
Coro di Voci Bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala | |
Maestro del Coro | Bruno Casoni |
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